di Ilaria De Gennaro
Se é vero che certi crimini ricevono la condanna pressoché unanime della comunità internazionale, più controverso può essere il loro inquadramento giuridico.
Cerchiamo di capire cosa si intenda per “crimine contro l’umanità” e le principali critiche giuridiche di cui è bersaglio.
La locuzione “crimini contro l’umanità” designa azioni criminose che suscitano una generale repulsione morale, e per la loro gravità ed efferatezza sono percepite come perpetrate in danno all’intera umanità.
Rientrano nel novero dei reati perseguibili sotto la fattispecie in questione, il genocidio, la pulizia etnica, lo sterminio di massa, il democidio, la deportazione, la sparizione forzata, la tortura e talvolta anche i crimini di guerra, lo schiavismo o la distruzione di opere d’arte di grande valore.
Tali crimini sono sempre stati una triste costante storica, ma iniziano ad essere perseguiti e sanzionati a partire dal XX secolo.
A sedere sul banco degli imputati sulla base di queste accuse sono solitamente dittatori e capi di Stato, o più in generale personalità detentrici del potere politico. Gran parte delle accuse di crimini contro l’umanità sono state formulate in sede di giudizio storico, come il caso di Stalin e Mao Zedong, contro i quali non é mai stato intentato alcun processo.
Celebri sono invece il processo contro i gerarchi nazisti, quello contro l’ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, e quello che ha visto imputato Saddam Hussein.
L’espressione viene utilizzata per la prima volta nel 1915, quando una joint declaration di Francia, Gran Bretagna e Russia condanna il genocidio armeno, definendo i misfatti turchi “reati commessi contro l’umanità e la civiltà”. Il pesante bilancio della seconda guerra mondiale, poi, scuote la coscienza internazionale in direzione del riconoscimento di un diritto universale, inerente alla natura stessa dell’essere umano, un corpus normativo universalmente valido ed applicabile che trascende le specificità valoriali e culturali dei diversi paesi.
L’espressione “crimini contro l’umanità” si ripropone nel 1945 quando l’Accordo di Londra, istitutivo del tribunale di Norimberga, li enumera tra i reati contestabili ai criminali nazisti, per poi figurare anche nella Carta di Tokyo.
Un ulteriore passo in avanti verso la codificazione del reato sarà la “Convenzione per la prevenzione e punizione del crimine di genocidio”, siglata all’ONU nel 1948 con la risoluzione 260/ 1948, che fornisce una prima definizione normativa di genocidio, poi recepita dallo Statuto del Tribunale per l’ ex-Jugoslavia e da quello per il Ruanda, negli anni novanta del XX secolo.
Infine, nel 1998, l’art 5 dello Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale, ascrive i crimini contro l’umanità alla competenza giurisdizionale della Corte, facendone uno dei reati perseguibili dalla stessa, insieme ai crimini di guerra e a quelli di aggressione. Per disposizione statutaria, però, quella della Corte non è giurisdizione ordinaria, ma si affianca ad essa. Questo ha portato taluni ad eccepire il rischio di pregiudicare una garanzia procedurale vigente presso la maggioranza degli ordinamenti e per la quale il reo non può essere giudicato due volte per lo stesso delitto.
La nozione giuridica é oggi considerata parte integrante del diritto internazionale penale, ma poiché manca in materia una codificazione chiara, il concetto non é unanimamente accolto da tutte le giurisdizioni nazionali.
Tra i punti maggiormente controversi é stata sollevata la questione circa la possibilitá per l’intero genere umano di configurarsi come soggetto passivo di reato (vittima) e di chi avrebbe titolo a costituirsi in giudizio in nome dell’umanitá.
C’é inoltre chi sostiene che la mancanza di unanimitá internazionale si presterebbe ad una più facile politicizzazione di una questione che é essenzialmente etica. I non pochi contrari al concetto eccepiscono che la diversità di orizzonti morali e valoriali potrebbe favorire l’opportunismo politico in sede giudiziale, poiché la diversità di vedute morali dei diversi paesi non permetterebbe alla fattispecie di assumere quel grado di universalità necessario ad un’applicazione uniforme.
LE CRITICHE TEDESCHE
Tra i Paesi più critici figura al primo posto la Germania, la quale ha sempre dimostrato una scarsa disposizione ad accogliere la figura dogmatica dei crimini contro l’umanità. Numerose sono state le riserve espresse in merito sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, che mettono in dubbio non solo la definizione giuridica del crimine contro l’umanità, ma l’esistenza stessa della fattispecie normativa in quanto tale. Le argomentazioni avanzate sostengono che i crimini in questione non farebbero parte del diritto internazionale penale, in quanto non si sarebbe affermata una consuetudine consolidata (prassi e opinio iuris). Inoltre si nega la necessità stessa della nozione, soprattutto se definita in termini vaghi e imprecisi, dal momento che é riconducibile ad altre categorie giuridiche consolidate quali i crimini di guerra ai sensi delle convenzioni di Ginevra e il genocidio.
Indicativa dell’impostazione giurisprudenziale del paese è anche la riserva apposta dalla Germania in sede di ratifica della CEDU all’articolo 7 comma 2 della Convenzione. L’articolo, dopo aver sancito il principio nulla poena sine lege al comma precedente, fa salva la possibilità di perseguire chi si sia reso colpevole di fatti che costituiscono “crimine secondo i principi generali riconosciuti dalla comunità internazionale”, sancendo dunque l’applicabilità del diritto internazionale penale. La Germania nell’apporre la riserva invoca l’art 103 comma 2 della Legge Fondamentale (il testo costituzionale tedesco) il quale contempla una rigida versione del principio nullum crimen, nulla poena sine lege, che ha costituito il fulcro della difesa dei criminali di guerra durante il processo di Norimberga.
Fonti e Approfondimenti :
http://www.internationalcrimesdatabase.org/Crimes/CrimesAgainstHumanity
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