ONU e Responsibility to protect

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Nel 2005, durante il World Summit delle Nazioni Unite, si è stabilito il concetto della “Responsibility to protect” (R2P) ossia il principio per cui si deve intervenire in difesa dei diritti umani fondamentali e per evitare che qualsiasi Stato possa commettere gravi violazioni contro la popolazione. La responsabilità di proteggere andava ad inserirsi nel framework della protezione dei diritti umani che si era cominciato a delineare nel 1948 con la Convenzione per la prevenzione e repressione del delitto di genocidio e, nel 1949, con le quattro convenzioni di Ginevra.

Questo principio, divenuto centrale nei dibattiti dalla fine della seconda guerra mondiale, soprattutto con il sopraggiungere di nuovi conflitti interni ai singoli Stati e con le tragedie del Rwanda e nei Balcani negli anni ’90, trovò la sua prima formulazione ufficiale nel 2001, nel report della Commissione Internazionale sull’Intervento e Sovranità dello Stato. Nel secondo capitolo, intitolato “Un Nuovo Approccio: La responsabilità di proteggere” si sottolineava infatti che:

 

2.1 Milioni di esseri umani sono alla mercè di guerre civili, repressioni statali, rivolte e collassi statali.  Questa è una cruda e innegabile verità (…) L’interesse non è quello di rendere il mondo più sicuro per le grandi potenze (…) ma fornire una protezione alla gente comune che si trova in pericolo di vita, perché il proprio Stato non vuole o non è in grado di proteggerla.

2.2 (…) Ci sono stati fallimenti e successi, forse questi ultimi sono stati di più, nella protezione internazionale negli ultimi anni. Permangono comunque le paure riguardo al “diritto di intervenire”. Se viene accettato l’intervento per la protezione degli esseri umani, incluso l’intervento tramite azione armata, rimane obbligatorio che la comunità internazionale ha sviluppato consistenti standards per guidare la pratica statuale e intergovernativa. L’esperienza della Somalia, Rwanda, Srebrenica e Kosovo, così come gli interventi e non-interventi in moltissimi altri stati, hanno fornito una chiara indicazione riguardo al fatto che i mezzi  e le idee delle relazioni internazionali necessitano ora di essere completamente rivalutati, per andare incontro alle necessità del 21′ secolo. 

I due articoli andavano quindi a stabilire la base del principio e, soprattutto, il perché ci fosse la necessità di svilupparlo quanto più presto possibile. Intanto in quegli anni, precisamente nel 2001, l’atto costitutivo dell’Unione Africana andava a stabilire il diritto di intervento degli Stati membri, deciso dall’Assemblea, qualora in uno Stato si fossero verificati crimini di guerra o violazioni dei diritti umani.

Si arriva, seguendo l’andamento cronologico, al World Summit del 2005 in cui, nella risoluzione adottata alla fine dei lavori dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, fu previsto un intero paragrafo relativo a questo principio sotto il nome di “Responsibility to protect populations from genocide, war crimes, ethnic cleansing and crimes against humanity“. Gli articoli che stabiliscono il principio sono il 138-139 e sono stati a volte letti come intesi a giustificare l’ingerenza negli affari degli altri stati:

138. A ciascuno Stato compete la responsabilità di proteggere le popolazioni da genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità. Tale responsabilità comporta la prevenzione dei crimini, compresa l’incitazione a commetterli, mediante mezzi appropriati. Noi, Capi di Stato e di governo,riuniti nella sede delle Nazioni Unite a New York dal 14 al 16 settembre 2005 accettiamo la responsabilità e agiremo in maniera conforme (…)
139.La comunità internazionale, nel contesto delle Nazioni Unite, ha anche la 
responsabilità di utilizzare i mezzi diplomatici e umanitari, nonché altri mezzi pacifici appropriati, in conformità ai Capitoli VI e VIII della Carta, per favorire la  protezione delle popolazioni dal genocidio, dai crimini di guerra, dalla pulizia etnica e dai crimini contro l’umanità. In questo quadro, siamo pronti ad implementare azioni congiunte in modo decisivo e tempestivo, sulla base di una valutazione caso per caso del Consiglio di sicurezza, ai sensi della Carta delle  Nazioni Unite ed in particolare del Capitolo VII. 
Tali azioni collettive, da basarsi sulla cooperazione con le pertinenti organizzazioni regionali, sarebbero adottate qualora i mezzi pacifici dovessero rivelarsi inadeguati e/o le autorità nazionali non si facessero carico della protezione delle loro popolazioni dal genocidio, dai crimini di guerra, dalla pulizia etnica e dai crimini contro l’umanità
Da un’attenta lettura degli articoli si possono trarre tre principi fondamentali. Primo fra tutti riguarda il fatto che lo Stato ha la responsabilità di proteggere la propria popolazione da qualsiasi crimine grave, ossia qualsiasi violazione di diritti considerati parte dello Ius Cogens, ossia valori fondamentali e inderogabili in qualsiasi situazione (come genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità). Nello svolgere questo compito lo Stato deve essere supportato dalla comunità internazionale che ha la responsabilità di assisterlo durante l’esercizio della protezione. Infine la comunità internazionale assume, secondo l’articolo 139, la responsabilità di usare ogni mezzo diplomatico, umanitario e pacifico per proteggere le popolazioni nel caso in cui lo Stato in cui stanno avvenendo determinati crimini fallisca nel suo obbligo. Ogni azione della comunità internazionale deve, infine, seguire i principi del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite.

A seguito del World Summit ci sono stati notevoli sviluppi nella materia anche se, ancora oggi, vi sono due correnti di pensiero, di cui una tendente alla difesa del principio, mentre la seconda al sottolinearne gli aspetti negativi e a vederlo come una “copertura” all’ingerenza negli affari interni degli altri Stati.

Il primo sviluppo si ebbe, comunque, già nel 2006, con la Risoluzione 1674 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite volta a riaffermare le risoluzioni precedenti sulla difesa dei civili e sulla cooperazione ONU-Organizzazioni Regionali per il mantenimento della pace e sicurezza nazionale. In particolare in questo testo si trova per la prima volta un riferimento chiaro e diretto alla R2P da parte del Consiglio stesso quando, al paragrafo 8, si afferma che, con il documento, si vuole enfatizzare la responsabilità dello stato nel perseguire tutti coloro che possono essere ritenuti responsabili di crimini di guerra, genocidio, crimini contro l’umanità e violazioni serie del diritto internazionale umanitario.  Questa risoluzione è stata poi usata nell’agosto del 2006 quando, con la risoluzione 1706, si è autorizzato il dispiegamento delle truppe di peacekeeping delle Nazioni Unite in Darfur.

Il passo decisivo si ebbe però solo nel 2009, anno in cui il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, pubblicò il report “Implementing the responsibility to protect“, grazie al quale venne stabilita la cornice della Responsabilità di Proteggere, le linee guida da seguire e i paesi coinvolti, stabilendo sempre come base i tre principi del 2005 riguardanti la responsabilità dello Stato, l’obbligo di aiuto da parte della comunità internazionale e la responsabilità della comunità internazionale qualora lo Stato fallisca.
A seguito del report di Ban Ki-Moon, nel settembre dello stesso anno, si ebbe la prima risoluzione ufficiale in materia firmata dai membri delle Nazioni Unite ed iniziarono, negli anni successivi, i dibattiti dell’Assemblea Generale sulla questione. L’ultimo si è avuto nel 2016 ed ha portato alla pubblicazione del report “Mobilizing collective action: the next decade of the responsibility to protect“.

Per quanto riguarda le azioni pratiche il principio della R2P è stato richiamato svariate volte. La prima, di cui abbiamo già parlato, è stata nel 2006 per il Darfur. A questa è seguita, nel 2011 la Libia di Gheddafi (risoluzione 1970). Si chiedeva la protezione della popolazione ed il cessate il fuoco, imponendo varie sanzioni internazionali sul paese. Il Consiglio di Sicurezza, a seguito di un’ulteriore risoluzione, ha autorizzato l’intervento degli Stati Membri e, pochi giorni dopo è iniziato l’intervento della NATO. Sempre nel 2011, a seguito delle elezioni nel paese e delle crescenti violenza, venne adottata la risoluzione 1975 sulla situazione della Costa D’Avorio. Nell’aprile dello stesso anno sono iniziate le azioni militari delle Nazioni Unite nel paese che hanno portato alla destituzione del Presidente. Nel luglio invece fu il turno del Sudan del Sud, seguito, nell’ottobre, dalla condanna internazionale allo Yemen, per cui si è incoraggiata una transizione ad una nuova forma di potere guidata dagli stessi yemeniti. Negli anni successivi si è avuto poi il caso siriano, nel 2012, che ha segnato un arresto nella pratica della R2P. Il Consiglio di Sicurezza ha infatti, in questo caso votato una risoluzione per appoggiare un piano della Lega Araba per risolvere la crisi, che è stato però bloccato dal veto di Cina e Russia. L’ultimo caso in cui si è potuta registrare una concreta applicazione della R2P è stato, infine, quello del Kenya, nel 2013, definito da alcuni come il primo caso di successo completo nell’applicazione del principio.

 

 

Fonti e Approfondimenti

http://www.responsibilitytoprotect.org/index.php/about-rtop#annan

Lunelli, La dottrina delle Nazioni Unite sulla “responsabilità di  proteggere”: un itinerario tra illusione, realtà e disincanto dalla sua fondazione all’applicazione sul campo.  Aspetti etici, filosofici e politici in una prospettiva storica dei concetti di “responsabilità”, “protezione dei diritti umani” e delle tradizioni della “guerra giusta”, 2013

 

La responsabilità di proteggere

ICISS Report: http://responsibilitytoprotect.org/ICISS%20Report-1.pdf

2005 World Summit Report :
http://www.un.org/en/preventgenocide/adviser/pdf/World%20Summit%20Outcome%20Document.pdf#page=30

Secretary General’s Report 2009:
http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/63/677

Report 2016: http://www.responsibilitytoprotect.org/SG%20Report%202016.pdf

Kenya:http://www.globalr2p.org/media/files/kenya_occasionalpaper_web.pdf

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