Il movimento ecologista sapeva già benissimo di avere davanti 4 anni duri, soprattutto paragonati alla seconda amministrazione Obama, ma il primo mese della presidenza Trump fa presagire una situazione ancora più cupa. La nuova politca energetica americana si mostra priva di interesse per la sostenibilità e i lavori dei controversi oleodotti Keystone XL e Dakota Access non hanno tardato a essere sbloccati.
Entrambe le grandi opere, in tempi diversi, si erano viste intimare uno stop ai lavori da parte delle autorità federali a causa dei possibili danni ambientali che rischiano di causare nell’evenienza di fuoriuscite di greggio, facendo guadagnare al Genio civile il tempo di fare nuove valutazioni e in casi estremi revocare i permessi di costruzione. Questi provvedimenti sono stati recentemente ribaltati da un ordine diretto della Casa Bianca.
Già pochi giorni dopo la presa dell’incarico il nuovo Presidente ha proceduto in fretta alla firma di due ordini esecutivi pensati per faclitare lo sblocco dei progetti dei due grandi oleodotti, ribadendo come la sua amministrazione ritenga strategico il potenziamento della produzione domestica di energia da fonti fossili, mentre non dia la stessa importanza all’impegno alla sostenibilità ambientale.
Questa concezione era stata espressa più volte durante la campagna elettorale, quando Donald Trump si era spinto molto oltre in questo discorso. Senza mezzi termini l’allora candidato repubblicano aveva infatti spiegato di ritenere il riscaldamento globale una sorta di teoria del complotto anti-industriale (nonostante le solide prove scientifiche) e aprendo addirittura a un parziale reimpiego al carbone se questo risultasse strategico per le politiche energetiche e di occupazione degli Stati Uniti.
Le due grandi opere potrebbero quindi diventare uno dei tanti simboli dell’avvenuto passaggio di consegne della guida del paese, passando da segno tangibile dell’impegno ecologista Democratico all’impegno nell’aumento della produzione energetica domestica dei Repubblicani. Ma cosa prevedono esattamente i loro progetti?
Keystone XL
Questa conduttura è stata pensata come un ramo addizionale del già esistente sistema di oleodotti Keystone, per aumentare il volume delle possibili importazioni di petrolio estratto dalle sabbie bituminose canadesi dell’Alberta. Lo scambio di materie prime tra i due paesi è infatti previsto in crescita nel prossimo futuro e questa nuova conduttura assicurerebbe 830.000 barili di greggio addizionali al giorno.
Il progetto era stato approvato dalle autorità canadesi nel 2010 ma l’amministrazione Obama aveva volutamente temporeggiato nel concedere i rimanenti permessi di costruzione su consiglio dell’EPA, l’ente americano per la protezione dell’ambiente.
La possibilità che l’infrastruttura garantisca effettivamente vantaggi strategici e posti di lavoro in misura tale da giustificarne i rischi è infatti ancora dibattuta, ma il nuovo corso repubblicano riguardo l’energia sta creando fortissime pressioni politche in favore dello sblocco del progetto.
Dakota Access
Abbiamo già parlato del Dakota Access, il grande oleodotto da 1.270 miglia progettato per trasportare il petrolio estratto con il fracking (shale oil) in North Dakota fino alle raffinerie dell’Illinois. Il progetto era diventato protagonista delle cronache americane soprattutto per la fiera opposizione di Standing Rock, una tribù di nativi Sioux il cui territorio dovrebbe essere attraversato dalle tubature. I nativi lamentano come il DAPL metta a rischio le loro fonti d’acqua potabile e alcuni loro luoghi sacri di sepoltura e si sono opposti in ogni modo alla sua costruzione.
Forti del largo supporto ricevuto dall’opinione pubblica, i nativi avevano chiamato in causa l’Army Corps of Engineer (il reparto dell’esercito responsabile delle grandi opere pubbliche), ottenendo da una corte che questi si pronunciasse ufficialmente sul rischio ambientale riguardante il fiume Missouri e il lago Ohae. Lo stesso presidente Obama aveva rivolto un appello pubblico in questo senso, ribadendo come la sicurezza del territorio e delle persone avessero la priorità sull’oleodotto.
Effettivamente il reparto dell’esercito aveva fermato i lavori lo scorso 4 dicembre, sostenendo di voler esprimere un nuovo parere ufficiale sul tratto controverso del Dakota Access, che già allora risultava l’ultima sezione ancora da costruire.
Il cambio dell’inquilino della Casa Bianca coincide con un momento cruciale della vicenda: due giorni prma dell’insediamento di Trump, il 18 gennaio 2017, l’esercito rende noto che il report su cui sta lavorando uscirà il 20 febbraio successivo, ma le cose cambieranno in fretta.
Il 24 gennaio Donald Trump emette un memorandum diretto al segretario della Difesa in cui preme per la velocizzazione della pratica, sottolineando come il Dakota Access rappresenti un’opera strategica per l’interesse nazionale e auspicando lo sblocco repentino del cantiere secondo il vecchio progetto.
Dopo un breve periodo di pressioni incrociate alla fine il 7 febbraio l’esercito cede, garantisce il permesso mancante e la Energy Transfer ricomincia i lavori di trivellazione. L’Army Corps of Engineer si riserva comunque di completare la valutazione ambientale su cui stava lavorando, che esce puntuale ma non contraddice le decisioni già prese. Nel frattempo i legali delle tribù Standing Rock e Cheyenne River hanno tentato di ricorrere in appello in tutte le sedi possibili, non riuscendo comunque a intervenie incisivamente.
Anche la protesta sul campo ha subito un giro di vite: terminata la contesa legale e riaperti i cantieri il governo del Nord Dakota è intervenuto per garantirne la sicurezza. Il 22 febbraio, allo scadere del termine imposto dopo la pronuncia dell’esercito, le autorità del North Dakota hanno sgomberato l’Oceti Sakowin, il campo di tende dove si erano stabiliti in protesta permanente un migliaio degli attivisti contro l’oleodotto, con la scusa del rischio inondazione dato dalla neve in scioglimento.
Il portavoce della tribù di Standing Rock ha comunque annunciato la volontà del movimento contro il Dakota Access di continuare la battaglia legale contro l’infrastruttura.
I guai giudiziari degli oleodotti in realtà non vengono quindi superati con il semplice intervento presidenziale (come non erano stati bloccati da quello di Obama), gli atti esecutivi non sono al di sopra della legge. In essi è però contenuto un principio molto chiaro, che segnala la posizione dell’amministrazione e il taglio all’azione di governo che prevede di dare nei prossimi 4 anni.
Queste esternazioni dettano le linee guida che gli uffici governativi seguiranno, che sia per senso di responsabilità, per fedeltà o per semplice prevalere nello scontro tra interessi nella dialettica politica. Gli atti di Trump hanno quindi indicato chiaramente l’indirizzo che seguirà la politica americana durante il suo mandato, che rappresenta uno smantellamento sostanziale di molti provvedimenti “verdi” della precedente amministrazione.
Nei già citati piani di produzione energetica e aumento dell’impiego non rientrano solo gli oleodotti ma una lunga serie di progetti che riguardano i tradizionali combustibili fossili, con un sostanziale semaforo rosso per le fonti rinnovabili. Questi progetti comprendono la questione delle nuove trivellazioni off-shore lungo la costa atlantica, attualmente bloccate da Obama per il periodo 2017-2022 ma adesso responsabilità del nuovo Presidente, e soprattutto l’intensificazione dell’attività mineraria in varie parti del paese.
Ciò che stupisce di questo approccio è la cieca e monolitica convinzione che moderna concezione di sostenibilità sia una preoccupazione inutile e anti-economica, denotando una visione a breve (se non brevissimo) termine di ciò che sono le ricadute negative dell’industia estrattiva.Una politica energetica attenta è in grado di prevenire enormi costi futuri in termini di bonifiche territoriali e spese per la salute pubblica, che però non risponde agli interessi predatòri delle industrie del settore, gelose dello status quo e intimidite dalla prospettiva di spendere ingenti capitali in innovazione per la sostenibilità ambientale.
Con la promessa di un approccio del genere da parte sua il Presidente Trump ha infatti incassato il supporto morale ed economico di moltissimi gruppi industriali e finanziari impegnati nei combustibili fossili, compresi la Energy Tranfer (costruttore del DAPL), i petrolieri e i proprietari delle discusse miniere di carbone. Tutelare questi interessi rientra quindi nelle priorità del nuovo governo, e a testimoniarlo è la rapidità con cui è intervenuto nei confronti del Keystone XL e del Dakota Access.
Ulteriore prova del disinteresse della nuova amministrazione per la sostenibilità è anche la nomina di Kevin Cramer come consigliere di Trump per le politiche energetiche: scettico riguardo il cambiamento climatico e sostenitore di un sistema di carbon tax (provatamente debole e soggetto a speculazione) piuttosto che di un piano nazionale di tutela ambientale.
Se la nuova posizione degli Stati Uniti segnerà il rallentamento dell’avanzata della nuova coscienza ecologista è tutto da vedere, per ora resta la certezza per innovatori, studiosi e attivisti americani di aver perso il supporto di Washington alle loro attività. L’attenzione per la sostenibilità (e il suo mercato) potrebbe quindi concentrarsi altrove, come sui paesi di recente sviluppo o su quelli europei, ridefinendo in parte alcuni equlibri economici internazionali.
Fonti e Approfondimenti:
Presidenziali USA: come vengono finanziate le campagne elettorali
http://www.reuters.com/article/us-usa-trump-pipeline-idUSKBN15820N
http://www.bbc.com/news/world-us-canada-30103078
Fai clic per accedere a DakotaAccessConstruction.pdf
https://www.scientificamerican.com/article/meet-donald-trump-s-new-energy-adviser/