Produttività e salari: un confronto tra Francia e Italia

Nella teoria economica si fa spesso riferimento al concetto di produttività per spiegare la crescita di un paese, a fronte della combinazione tra capitale investito e lavoro impiegato per determinare uno specifico livello di produzione.

La produttività ha diverse matrici. Infatti, sempre nella teoria, si identificano la produttività da lavoro e la produttività da capitale – nelle stime più recenti in realtà, sono molti, e più articolati, i fattori che influenzano tale variabile – ed infine viene considerato anche il residuo di produttività che non dipende né dal lavoro né dal capitale – cosiddetto residuo di Solow.

Il concetto di produttività, come spiegato, ci consente di analizzare l’andamento di un paese, e più in particolare, ci consente di misurare l’efficienza generata dallo stato della tecnica – la combinazione di capitale e lavoro – di quel paese.
Alcuni economisti sostengono che, un discostamento tra produttività e quota dei salari potrebbe ripercuotersi negativamente sulla domanda interna, dunque sull’offerta ed infine sull’ economia nel suo complesso. Per capire meglio il problema ipotizziamo un’economia che produce un solo bene, il grano, e che scambia tale bene contro moneta.
Se ogni anno vengono prodotti 100 quintali di grano – al netto di quelli utilizzati per la semina dell’anno successivo – e i salari pagati consentono di acquistare solo un terzo del grano prodotto, la parte restante di grano come verrà impiegata? Ammesso di poter stoccare in magazzino la parte eccedente, come si risolverebbe il problema per l’anno successivo e per quelli a venire?
Ovviamente il problema esposto sopra è semplificato al massimo, non  considerando né la possibilità di investire il grano eccedente né la possibilità di produrre più beni eterogenei, tali semplificazioni però servono a chiarire il nucleo del nostro problema.

Compreso il motivo per cui l’analisi dei salari e della produttività è cruciale in un sistema economico, possiamo concentrarci sul core di questo articolo, ossia il confronto tra Francia ed Italia circa l’andamento dei salari e della produttività.

Produttività

Partendo dall’analisi della produttività, è da precisare che considereremo solamente la produttività del lavoro, che è una frazione della produttività totale ma che ci consente di tracciare le linee della nostra analisi in maniera compiuta e coerente.
Secondo le stime OCSE, la produttività del lavoro si può identificare con il totale delle ore lavorate, e nella nostra analisi prenderemo a riferimento il suo tasso di crescita annuo.

Come si nota dal grafico, sia in Francia che in Italia, immediatamente dopo la crisi del 2008, la produttività ha subito una battuta d’arresto non indifferente, andando a registrare un valore ampiamente sotto lo zero. Ovviamente tale dato è spiegato proprio dal fatto che la crisi finanziaria iniziata negli Stati Uniti ha messo in ginocchio tutto il sistema produttivo europeo, incidendo trasversalmente sulla domanda e sull’offerta ed infine sulla capacità produttiva del sistema economico. Tra il 2009 e il 2013 si nota una leggera ripresa, più per la Francia che per l’Italia, che invece ha mantenuto una media negativa, ancora sotto lo zero – proprio in quegli anni cadeva il governo Berlusconi (fine 2011) e prendeva le redini del paese Mario Monti – per poi viaggiare su una linea pressochè identica dal 2014 in poi. La similitudine dell’andamento della produttività del lavoro dopo il 2014 può essere ricondotta alle leggi gemelle di Francia e Italia sul mercato del lavoro – Jobs Act e Loi Travail.

Salari

Se spostiamo l’analisi sul lato dei salari, dobbiamo avere l’accortezza sul fatto che il loro livello segue per definizione un trend positivo, ossia cresce a prescindere dalla situazione storica, sia perchè cresce il PIL sia perchè cresce la popolazione. Per esigenze di confronto, dunque, è  necessario ragionare in termini di quota dei salari, ossia in termini di percentuale di PIL che viene destinato ai salari.
Per poter confrontare l’andamento della quota dei salari con l’andamento della produttività bisogna guardare al loro tasso di crescita, ossia alle variazioni percentuali che in un anno si sono verificate rispetto all’anno precedente.

Guardando al grafico in alto, escludendo la piccola “ripresa” in Francia nel 2012, si nota come, dal 2009 in poi, la strategia europea per uscire dalla crisi, che prevedeva la deflazione salariale, ossia la riduzione della crescita dei salari, e il taglio del costo del lavoro, abbia mantenuto sotto lo zero la crescita della quota dei salari. Da notare inoltre il fatto che il picco positivo delle due curve nel 2009 sia dovuto in realtà, più che ad un aumento dei salari, alla forte diminuzione del PIL, sia in Francia che in Italia, conseguente alla crisi del 2008. Lo stesso ragionamento vale per la ripresa francese del 2012.


Ciò risulta evidente dall’analisi del tasso di crescita del PIL delle due nazioni (nel grafico in alto):

Il picco negativo inferiore allo zero, a seguito della crisi, è spiegato dalla depressione della produttività. La decrescita del PIL ha influito positivamente sulla quota dei salari rispetto al reddito, lo stesso vale per il 2012, almeno per la Francia, dove il reddito è cresciuto meno rispetto ai periodi precedenti.

Conclusioni

Per chiudere l’analisi, dovremmo guardare allo scarto che intercorre tra il tasso di crescita della quota dei salari ed il tasso di crescita della produttività, tenendo bene a mente le specificazioni che si sono fatte fin qui.

Se si guarda al grafico che rappresenta tale scarto, si nota come in genere la differenza tra i due tassi sia sempre negativa, a parte per quegli anni in cui il tasso di crescita della quota salari risulta positivo a causa della diminuzione del reddito. A sua volta, tale diminuzione, deriva dall’effetto della depressione della produttività – la quale, per definizione, ha portato ad una diminuzione ulteriore della differenza tra i due tassi di crescita. In altre parole, l’effetto congiunto della riduzione del reddito e della minore produttività ha portato la differenza tra i due tassi ad assestarsi su valori positivi, anche se la quota salari è continuata a decrescere.

Come abbiamo detto, tale problematica è di vitale importanza per capire le dinamiche interne ad un paese. Il fatto che si assista ad un risultato del genere ha in parte – è bene specificarlo – i suoi riflessi sul sistema economico preso nel complesso. Ad esempio, l’effetto congiunto della crisi finanziaria ed economica, della differenza negativa tra i due tassi di crescita e delle ultimissime riforme del mondo del lavoro non hanno fatto altro che gonfiare il tasso di disoccupazione in entrambe le nazioni. Infatti, nel primo trimestre del 2015 la disoccupazione era al 10.4% in Francia e al 12.3% in Italia; nel primo trimestre del 2016 si è passati invece al 10.1% in Francia ed al 11.6% in Italia, per poi assestarsi nell’ultimo trimestre del 2016 rispettivamente al 10% e al 11.8% – dati Eurostat aggiustati per la stagionalità, si trovano qui.

Quella che si delinea è pertanto una situazione drammatica, in cui viene prodotto più di quanto necessario, in un momento storico economicamente avverso, nel contesto di un mercato del lavoro fortemente deregolamentato dalle ultime “riforme”. Insomma, i dati sembrano lasciare un monito per Macron e per l’eventuale successore di Gentiloni: mala tempora currunt!

 

 

Fonti e Approfondimenti

http://stats.oecd.org

http://www.imf.org/external/ns/cs.aspx?id=28

http://ec.europa.eu/eurostat/data/database

 

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