Nel corso dei decenni, la Cina ha conosciuto una politica molto composita in termini di emigrazione ed immigrazione. In accordo con i mutamenti di carattere politico, si sono, infatti, susseguite fasi alterne di compressione e facilitazione del fenomeno migratorio. In altre parole, se stagioni di profonda apertura si sono vissute nel periodo immediatamente precedente alla nascita della Repubblica popolare cinese, con il passare del tempo, tale fenomeno è decresciuto sino agli anni più recenti, in cui l’emigrazione è generalmente scoraggiata, soprattutto per i giovani altamente qualificati: il governo cinese, in pratica, sta investendo molto nel contrasto alla ormai consolidata fuga di cervelli, molto nota nell’Europa meridionale.
A partire dagli ultimi decenni del XIX secolo, il Canda si è collocato tra le mete più apprezzate dalla comunità cinese. Il sentimento di interesse non è stato però reciprocato dalla popolazione locale, la cui protesta ha condotto all’istituzione di una tassa sull’immigrazione dal 1885 al 1923. A ciascun migrante era chiesto il pagamento di 50 dollari per poter accedere in Canada, poi aumentato a 100 e 500 sotto i governi liberali. Il provvedimento sarebbe stato reso più restrittivo fino al 1947, quando l’ingresso di cittadini cinesi, per altro non più tutelato dalle leggi statali di Pechino, è stato completamente vietato. Ancora oggi, la comunità cinese ricorda tale evento il 1 Luglio, tristemente celebrato come l’Humiliation Day. I cinesi, infatti, erano l’unica nazionalità esclusa dalle leggi in tema di migrazione in Canada: secondo un’apposita commissione federale, incaricata di dare pareri sulla migrazione cinese e giapponese, i primi furono definiti come non adatti ad ottenere la completa cittadinanza in quanto pericolosi per la stabilità dello Stato.
A partire dal 1988, la principale area di provenienza della comunità cinese è stata Hong Kong, che nell’arco di soli 5 anni ha registrato un flusso di 166.478 persone. Nulla di strano, in tal senso, in considerazione della particolare situazione di Hong Kong che, pur geograficamente parte del territorio cinese, era ancora sotto la sovranità del Regno Unito. A seguire, ed a causa delle precarie condizioni di vita ed economiche delle zone rurali, le aree di Tai Shan, Kai Ping ed En Ping. Secondo l’ultimo censimento del 2011, 1.324.700 persone risultano vivere in Canada, ma provenire dalla Cina.
Sin dall’inizio dello scorso secolo, la comunità cinese si è concentrata nelle aree urbane, creando i noti ghetti di Chinatown. Tra le Chinatown più vivaci, anche in pieno periodo d’umiliazione, va ricordata Vancouver, in cui, tuttavia, furono avviate procedure per evitare l’acquisto di beni immobili da parte dei cinesi. Il timore, piuttosto diffuso, risiedeva nella possibilità che i cinesi potessero acquistare case e negozi al di fuori dei ghetti, espandendo la propria influenza culturale nelle restanti aree delle città.
La maggior parte dei migranti ha trovato impiego nella costruzione delle ferrovie, soprattutto sul finire del XIX secolo, ma, immediatamente dopo, il settore commerciale e della ristorazione sono stati preferiti. Il legame tra la realizzazione delle principali direttrici ferroviarie del Canada e la Cina è di assoluto rilievo. Dopo aver provato invano a trasportare la comunità cinese in California nella Columbia britannica per la costruzione della Canadian Pacific Railway, la compagnia si rivolse al bacino lavorativo presente nella provincia di Guandong e di Taiwan. La paga prevista era pari a circa un dollaro al giorno e molti lavoratori vivevano in tende di fortuna realizzate nei pressi dei cantieri. Ancor meno favorevoli, invece, le condizioni di coloro che erano costretti a lavorare nelle aree industriali. Considerati fonte di lavoro a basso costo e di sfruttamento, essi vivevano in contesti molto simili a quelli descritti nei migliori romanzi sociali inglesi.
A partire dagli anni Trenta dello scorso secolo, tuttavia, l’importanza dell’educazione come motore di un riscatto sociale è stata compresa appieno. Ciò ha significato che le scuole cinesi non erano più ritenute un valido luogo di formazione, mentre quelli inglese e francesi garantivano la possibilità di una completa integrazione nella società. Questa, almeno, era la prospettiva dei cinesi, ancora una volta delusa dalla realtà: i bambini cinesi erano generalmente sottoposti ad un regime di esclusione, che si è riflesso, almeno fino agli anni Sessanta anche nella vita lavorativa. Non potendo accedere all’istruzione universitaria, anche alcune posizioni lavorative erano “vietate” ai cinesi.
Negli ultimi anni, invece, si è registrata una tendenza praticamente opposta: la comunità cinese, perfettamente integrata in termini linguistici, ha riscoperto l’importanza della cultura natia, con la fondazione di specifiche associazioni culturali, molto fiorenti nella Columbia britannica, sede di una vastissima comunità cinese.
Il rapporto tra i canadesi e le comunità cinesi ha riscontrato una sostanziale svolta nel Giugno 1968, sotto la presidenza canadese del padre di Justin Trudeau, Pierre Trudeau. Nell’ottica della normalizzazione dei rapporti con la Cina, nel periodo del tripolarismo, egli ha voluto perseguire una linea di integrazione non solo internazionale, ma anche nazionale della comunità cinese. La vicinanza di Pierre Trudeau alla Repubblica popolare cinese fu anche modellata dalla visita che egli condusse nell’immediato indomani della rivoluzione comunista che portò Mao Zedong al potere. Dopo un periodo florido di circa un trentennio, ad ogni modo, le relazioni tra i due Paesi hanno vissuto fasi molto negative, soprattutto sotto la guida conservatrice canadese.
Con l’elezione di Justin Trudeau, invece, qualcosa è cambiato di nuovo: importanti accordi turistici, ingresso nella Banca d’investimenti infrastrutturali in Asia, la realizzazione di una partnership strategica sono tutti elementi che hanno consentito alle comunità cinesi di sentirsi ancora una volta apprezzate e centrali nella politica del governo di Ottawa.
Ciononostante, la parte canadese, almeno nella sua componente non al potere, si è mostrata piuttosto rigida nei confronti di un avvicinamento di carattere economico alla Cina. Ciò, infatti, alla luce delle grandi capacità di export e di crescita che Pechino sta vivendo, è apparso come una minaccia alla stabilità dell’economia canadese ed ha portato alla ribalta isolati fenomeni di razzismo, che si ritenevano sopiti.
Fonti e Approfondimenti:
http://www.canadainternational.gc.ca/china-chine/index.aspx?lang=eng
http://thediplomat.com/2016/01/justin-trudeau-and-canada-china-relations/
Beyond Chinatown: New Chinese Migration, Thuno M. (Ed.), 2007
Chinese in Canada, Li P., Oxford University Press, 2009
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