L’opera di ENI in Africa: investimenti, progetti, scandali

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

La storia dell’ENI non può essere considerata senza il suo imprescendibile rapporto con l’Africa. La società fondata dallo Stato Italiano nel 1953, con Enrico Mattei a capo, è presente nell’Africa sub-sahariana dagli anni ‘60 ed è operativa in progetti di esplorazione e produzione in Angola, Congo, Ghana, Gabon, Mozambico, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Togo, Kenya e Liberia.

La forte presenza in Africa e le strategie per lo sviluppo di progetti in varie parti del Continente Nero hanno trasformato il cane a sei zampe nel principale operatore petrolifero mondiale in Africa. L’amministratore delegato dell’ENI, Claudio Descalzi, ha dichiarato più volte che l’Africa è la priorità per il gruppo e che la compagnia petrolifera continuerà ad investire massicciamente per rafforzare la produzione nei mercati africani.

L’ENI ha stanziato un budget di quasi 30 miliardi per sviluppare una serie di progetti di trivellamento e per l’ammodernamento strutturale e ambientale. In particolare, saranno investiti circa 7 miliardi all’anno per 5 anni in Paesi prioritari come: Ghana, per lo sviluppo di  Fpso Kufuor, l’unità galleggiante di produzione, stoccaggio e offloading del gruppo nell’offshore del Paese; Nigeria, dove le probematiche prinicipali da risolvere riguardano i problemi ambientali nel Delta del Niger, i sabotaggi dei luoghi di trivellazioni e le accuse di corruzione; Mozambico, dove ENI ha scoperto un giacimento “giant” di gas naturale nell’area di Rovuma e si tratta della più grande scoperta mai fatta dalla compagnia che potrebbe fornire 80 trilioni di piedi cubici di gas; Angola, con i progetti East & West Hub, che fanno parte dei sette progetti record della società. Le attività si concentrano principalmente nel settore Exploration & Production nell’offshore convenzionale, per una superficie complessiva, sviluppata e non sviluppata, di 21.051 chilometri quadrati.

Nonostante ciò, l’Africa è considerata la regione con i più gravi problemi al mondo in fatto di sicurezza delle operazioni petrolifere. L’area del Golfo di Guinea è ricca di giacimenti petroliferi sia onshore, stanziati sul suolo africano, che si concentrano in grandi quantità lungo il lembo di terra del delta del Niger, sia a largo dalle coste del Golfo, con strutture di estrazione offshore.

I principali problemi di instabilità dell’area riguardano la questione della pirateria costiera e del “bunkering”. Per “bunkering” s’intende la pratica di rubare petrolio dalle pipeline di trasporto, rimuovendo tratti di condotta o perforando i tubi, con forte frequenza d’incidenti mortali. Il fenomeno del bunkering, riscontrato soprattutto in Nigeria, è uno dei motivi per il quale tutte le maggiori compagnie straniere stanno pensando di lasciare il Paese, come Shell e Total. In particolare, ENI perde in Nigeria, all’incirca 30 mila barili al giorno per furti e sabotaggi.

Il processo di bunkering è strettamente collegato alle iniziative di pirateria nel Golfo; dietro al bunkering ormai si è consolidata una rete di contrabbando ben radicata anche a causa della connivenza con esponenti del Governo che consentono alla criminalità organizzata di trasportare il greggio sulle petroliere che navigano verso altri mercati.

Il profitto illegale viene poi fatto transitare sulle principali piazze finanziarie del mondo, tramite un network capace di spostare i capitali ottenuti nei vari paradisi fiscali del pianeta, aggirando i controlli bancari. I governi dei Paesi del Golfo sono estremamente instabili, con corruzione molto profonda e diffusa: proprio questa instabilità ha favorito la nascita del “Mend”, quello che fino a qualche anno fa era il più organizzato e militarizzato dei gruppi di lotta armata del Delta del Niger e che nell’ultimo decennio ha creato seri problemi alle compagnie che operano nel Sud del Paese. Oggi sono diversi i gruppi armati che lottano per costringere lo stato a una politica redistributiva che tenga maggiormente in considerazione i bisogni delle popolazioni locali.

 

Ma nonostante i rischi e le perdite economiche la Nigeria resta un “gigante petrolifero”: è il Paese più popoloso dell’Africa e ha una prospettiva di crescita pari al 6%, secondo un report della World Bank. A differenza di altre compagnie petrolifere leader della zona, come la Total e la Shell, che hanno subito perdite che superano il milardo di euro, Descalzi ha dichiarato che ENI non ha intenzione di abbandonare il petrolio nigeriano, anche perchè secondo le loro stime, il cane a sei zampe non ha subito perdite così gravi. La volontà di continuare le trivellazioni nel Golfo di Guinea però deve andare di pari passo con le politiche di rispetto ambientale, per non aggravare l’inquinamento dovuto dallo sfruttamento estremo delle acque profonde. Per essere realmente leader regionale, ENI deve promuovere progetti che diminuiscano l’impatto ambientale; sul sito dell’azienda è possibile leggere che:

“La tutela dell’ambiente è una componente imprescindibile del nostro modo di operare. Svolgiamo le nostre attività in conformità agli accordi e agli standard internazionali, nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e delle politiche nazionali. La nostra gestione dell’ambiente è basata su criteri di prevenzione, protezione, informazione e partecipazione.”

La realtà dei fatti è purtroppo molto diversa dalle belle parole presenti sul sito;: l’ENI è stata più volte accusata dalla comunità nigeriana per aver contribuito all’inquinamento nel Delta del Niger, ma è riuscita a uscire quasi sempre indenne anche grazie agli accordi con il personale amministrativo del Paese.

La questione più spinosa per il gigante italiano è sicuramente far sì che si plachino le voci che la accusano di corruzione e transazioni poco chiare, di società fittizzie e compravendite di maxi giacimenti in varie parti dell’Africa, in particolare in Nigeria e in Congo-Brazzaville.

OPL245 è la sigla di riconoscimento del maxi giacimento offshore a largo delle coste nigeriane, acquistato nel 2011 da ENI e Shell per quasi 1,3 miliardi di euro. Il principale problema è che questi soldi non sono arrivati al governo nigeriano, se non in minima parte. Il giacimento, tra i più ricchi del Paese, era stato acquistato nel 1998 da una società sconosciuta, la Malabu Oil & Gas, senza esperienze precedenti negli investimenti petroliferi, fondata poco tempo prima dell’accordo con il governo nigeriano, per una cifra intorno ai 2 milioni di euro. Dietro a questa società si nascondeva l’ex Ministro del petrolio Dan Etete, oggi 72enne, che era riuscito ad accapararsi il giacimento più redditizio del Paese per una cifra assai inferiore all’effettivo valore miliardario.

Secondo l’indagine di SaharaReporter, Etete è riuscito durante il suo mandato dal 1995 al 1999, a costruire una serie di società anonime che gli hanno permesso di riciclare ingenti somme di denaro provenienti da compagnie petrolifere operanti nel Paese, spostando i capitali in conti bancari esteri. All’inizio del 2010 la Shell ha cercato di intavolare una trattativa per l’acquisto dell’OPL245, tramite alcuni intermediari. I contatti tra Shell e Malabu sono sempre stati considerati dagli inquirenti come “coscienti”, nel senso che la compagnia anglo olandese era sicuramente a conoscenza che la transazione sarebbe stata accreditata su conti correnti intestati all’ex Ministro, scavalcando il governo centrale. Shell ovviamente ha sempre smentito tutto.

 

Il coinvolgimento di ENI inizia nel 2010 quando, a causa del temporeggiamento di Shell nell’acquisto, anche dettata dall’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro nei confronti di Etete, la compagnia italiana tenta di inserirsi per l’acquisizione del 50% della concessione con Shell, essendo anche già in possesso del giacimento vicino, l’OPL 244.

Secondo l’inchiesta fatta da Report, ENI e Shell sarebbero complici dunque nel più grande scandalo dell’industria petrolifera, avendo stipulato un accordo di compravendita per più di 1 milardo di dollari, più di tutto il bilancio sanitario nigeriano. Nella maxi tangente sono coinvolte moltissime personalità legate agli alti ranghi dell’ENI, alcuni intermediari che avevano il compito di far transitare i soldi in banche svizzere o paradisi fiscali come le Mauritius e delle società offshore di facciata che coprivano le manovre finanziarie. Guardato in prospettiva, lo scandalo del giacimento nigeriano è l’ennesimo esempio di come le risorse naturali del Paese siano servite ad arricchire una piccola élite di affaristi locali, con la complicità più o meno chiara di imprese occidentali, a scapito dei comuni cittadini e dello sviluppo della nazione.

 

L’altro grande scandalo che ha colpito ENI riguarda il Congo-Brazzaville: qui ENI è impegnata da molti anni nella ricerca ed estrazione di petrolio e, sopratutto, gas. La maxi-riserva di gas al centro del caso si chiama Marine XI e vale circa due miliardi di euro. Nel 2013 una misteriosa società appena costituita, Wnr Congo, ha acquistato il 23 per cento di quel giacimento per 15 milioni di dollari, anche se quella quota in realtà valeva già allora 430 milioni. Dietro questa società si nasconderebbero alcuni vertici dell’amministrazione di ENI della sede di Londra. A cedere quel pezzo di giacimento alla Wnr Congo è stata la Aogc, un’azienda accusata da varie autorità internazionali di essere una “cassaforte del regime” congolese: una società-satellite usata da politici e burocrati per portare soldi all’estero

 

In merito alle nuove accuse, il gruppo petrolifero controllato dallo Stato italiano «dichiara la propria totale estraneità da presunte condotte illecite in relazione alle operazioni oggetto di indagine, operando nel pieno rispetto delle leggi stabilite da Stati sovrani, e continuerà a fornire la propria collaborazione alla magistratura affinché possa essere fatta la massima chiarezza sulla vicenda».

La presenza di ENI in Africa è quindi, da un lato, ben orientata al rafforzamento degli investimenti per aumentare il profitto e diventare leader assoluto nel mercato africano mentre dall’altro, gli scandali e le inchieste sui presunti atti di corruzione, appalti truccati e riciclaggio di denaro, fanno pensare che forse le orme del cane a sei zampe siano penetrate sin troppo profondamente  nel terreno della corrotta amministrazione dei paesi africani.

Fonti e Approfondimenti

Le risorse africane: panoramica sul petrolio

http://www.worldbank.org/en/country/nigeria

Fai clic per accedere a policy_la_sostenibilita.pdf

https://www.eni.com/it_IT/media/dossier/la-nostra-posizione-sulla-nigeria.page

http://saharareporters.com/2013/06/16/how-ex-nigerian-petroleum-minister-dan-etete-laundered-millions-dollars

http://archives.aefjn.org/index.php/370/articles/the-activities-of-eni-in-congo-brazzaville.html

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