Il 9 settembre 1948 nasceva la Repubblica Democratica Popolare di Corea (DPRK), comunemente chiamata Corea del Nord. Dopo una guerra sanguinosa tra il 1950 e il 1953, l’isolamento prolungato e lo sviluppo costante del programma missilistico che ha allertato il mondo occidentale, il sistema di socialismo reale costituito a Pyongyang 70 anni fa è ancora saldamente nelle mani della dinastia Kim.
La Corea del Nord è lo stato socialista più longevo ancora esistente, superando paesi noti come la Cina (1949), Cuba (1959), il Laos (1975), il Vietnam (1976). L’Unione Sovietica fu il primo, il più grande geograficamente e il più longevo paese che abbia mai sperimentato il modello socialista. Nato dal fallimento della Russia zarista, durante una fallimentare I Guerra Mondiale, e con la leadership di Lenin e le teorie marxiste, l’URSS ha mantenuto per 72 anni un sistema di opposizione a quello capitalista occidentale. Nonostante ciò, la mancanza di adattamento alla realtà storica e le politiche implementante durante la fine degli anni ’80 sotto la leaderhsip di Gorbacev, l’URSS è inevitabilmente implosa.
La nascita della DPRK però è totalmente differente rispetto a come l’URSS si è sviluppata. Il 9 settembre 1948 è stato solo un evento successivo alla decisione della Corea del Sud, al tempo già sotto estrema infuelnza USA, di indire elezioni “democratiche” da tenere il 15 agosto 1948. Syngman Rhee, candidato sostenuto fortemente dagli USA, vinse le elezioni e il suo anti-comunismo e nazionalismo spinsero inevitabilmente Pyongyang a prendere delle contromisure. Se nei tre anni tra il 1945 e il 1948 lo status della Penisola coreana era ben definito ma ancora non ufficiale, le elezioni sudcoreane ufficializzarono la divisione della Corea.
Il regime politico nordocreano può essere definito come totalitarismo ereditario. Infatti, esiste un solo partito, il Partito dei Lavoratori di Corea (WPK), il quale detiene il potere sui mezzi di comunicazione e l’esercito, concentrando tutte le decisioni nell’unico leader, Kim. E proprio il concetto di ereditarietà rende la Corea del Nord un caso unico nella storia delle non-democrazie contemporanee. Infatti, è l’unico paese socialista che ha applicato questo metodo di governo nel quale la famiglia Kim detiene il potere e alla morte del leader, il figlio prende potere. Fin ora sono stati tre i leader supremi: Kim il-Sung, Kim Jong-il, e Kim Jong-un.
Nonostante i tre leader siano accomunati da un legame di sangue, le loro differenze sono profonde e hanno permesso alla Corea del Nord di adattarsi allo (e contrastare lo) sviluppo politico internazionale. Il padre della patria, Kim il-Sung, anche chiamato il “Grande Leader”, è stato il più longevo leader e ha dato al paese un assetto fortmente socialista. La sua carriera mlitare gli ha permesso di intraprendere azioni come la Guerra di Corea negli anni ’50 e di stabilizzare il paese sia politicamente che militarmente da possibili minacce esterne. La sua morte nel 1994 ha lasciato in sospeso momenti cruciali per le relazioni bilaterali con gli USA, come l’Accordo Quadro con l’ex Presidente USA Jimmy Carter. La leadership del figlio Kim Jong-il è stata molto breve, conclusasi con la sua morte per malattia nel 2011. In questo periodo la Corea del Nord intraprese soprattutto la politica de “i militari prima”, azione che secondo il “Caro Leader” sarebbe servita ad assicurarsi la stabilità del paese da un possibile colpo di stato ideato dai militari. Le carestie degli anni ’90 e gli investimenti nel settore missilistico dei primi anni 2000 infatti portarono i nordcoreani ad essere fortemente impoveriti.
La morte del Caro Leader però sembrava poter lasciare un vuoto di potere importante, dovuto all’inesperienza del figlio Kim Jong-un e al suo mancato inserimento all’interno dell’apparato burocratico nordcoreano. Inoltre, Kim Jong-un non aveva esperienza militare, e i suoi studi in Svizzera lo avevano portato lontano da Pyongyang invece di farlo rimanere in DPRK per inserirlo piano piano all’interno del WPK, così come era successo con suo padre. Quindi, Kim sembrava essere il “ventre molle” di una dinastia apparentemente in flessione.
Nonostante ciò, l’attuale leader nordcoreano ha conquistato saldamente la guida del Partito, dei militari e dello stato. La fine della politica de “i militari prima”, gli investimenti massicci nel settore missilistico e la crescita economica degli ultimi anni dovuta all’industria pesante hanno fatto in modo da sottolineare come il nuovo leader di Pyongyang fosse altamente qualificato per la posizione ricoperta.
Ma il suo più grande traguardo rimane ancora in campo diplomatico. La capacità di scongelare i rapporti con la Corea del Sud dopo 11 anni di ostilità è stato sicuramente un primo, importantissimo passo. L’incontro con il Presidente Moon Jae-in il 27 aprile 2018, e di nuovo qualche settimana dopo per evitare un deterioramento delle relazioni, è stata la chiave per lo sviluppo di nuove strategie nordcoreane. Kim Jong-un è stato anche il primo leader nordcoreano a stringere la mano di un Presidente USA in carica quando, il 12 giugno 2018, ha incontrato Dondal J. Trump a Singapore.
La parata del 9 settembre 2018
La parata del 2018 è stata diversa da quello che ci si aspettava, lasciando intravedere delle prospettive future che la Corea del Nord potrebbe intraprendere. Infatti, i tanto attesi missili intercontinentali (ICBMs), testati soprattutto tra il 2016 e il 2017, non hanno sfilato per le strade di Pyongyang. Al posto loro, la manifestazione ha visto una presenza inattesa di civili mirata a far vedere lo sforzo del popolo nordocreano in campo economico. In questo modo la strategia politica di Kim Jong-un sembra possa essere racchiusa nel concetto di sviluppo delle tecnologie militari per poter avere delle leve internazionali maggiori in campo economico. Se la DPRK dovesse essere consistente con questa linea, lo sviluppo economico soppianterebbe totalmente la politica de “i militari prima”, cercando e consolidando il sostegno alla legittimità politica direttamente negli oltre 3 milioni di cittadini.
Un altro importante segnale suggerito dalla giornata nazionale è la presenza di Li Zhanshu, il terzo politico cinese più importante di Pechino e membro del Politburo Permanente. La sua missione a Pyongyang è avvenuta dopo un periodo di apparente difficoltà diplomatica tra i due paesi socialisti e solo in parte recuperata durante le tre visite di Kim Jong-un in Cina (due a Pechino e una Dalian). Xi Jinping ha quindi deciso di dare seguito alle visite del leader nordcoreano, ma attraverso un approccio più graduale, senza una sua visita di stato come primo passo. I due leader, cinese e nordocreano, presero il potere quasi simultaneamente (2012 Xi e 2011 Kim) ma Xi non ha ancora mai prestato visita a Pyongyang. La fragilità della questione nucleare e l’atteggiamento della DPRK nel sistema internazionale hanno sicuramente influito fortemente sul rapporto diplomatico e la mancata esibizione degli ICBMs durante la parata può essere un segnale importante per la finale riconciliazione tra Pechino e Pyongyang.
Un ulteriore elemento simbolicamente importante è stata la presenza di diverse delegazioni sia di governo che di partiti socialisti o comunisti alla parata nordcoreana. Nonostante l’isolazionismo, le sanzioni internazionali e l’atteggiamento aggressivo che Pyongyang ha avuto negli ultimi anni, la presenza di delegazioni estere segnala la presenza di una rete che Kim Jong-un sta coltivando diplomaticamente, soprattutto sottotraccia. E’ inoltre da notare come la maggior parte di queste delegazioni provengano da paesi in via di sviluppo e dal “sud” del mondo. Oltre i paesi del sudest asiatico, anche paesi africani, sudamericani e centro-americani e centro-asiatici hanno partecipato alla cerimonia. La strategia nordcoreana, quindi, sta probabilmente cambiando grazie al cambiamento di leadership, nonostante le caratteristiche socialiste stiano rimanendo saldamente ancorate al governo di Pyongyang.
Fonti e Approfondimenti:
Fiori, A., (2014), Il Nido del Falco, Le Monnier