Dopo mesi di stallo e contrattazioni, finalmente c’è un accordo sulla Brexit. Il 14 novembre, infatti, le due parti hanno pubblicato la bozza di accordo sull’uscita del Paese dall’Unione, seguita, pochi giorni dopo, dalla dichiarazione politica sulle relazioni future.
Il Consiglio Europeo straordinario, convocato per il 25 novembre, ha approvato entrambi i documenti. Il Parlamento Europeo dovrà votare tra febbraio e marzo, ma è richiesta solo la maggioranza semplice. A Londra la strada è in salita e il governo May dovrà lottare per ottenere i voti necessari in Parlamento.
Ma cosa prevede l’accordo sulla Brexit e quali ostacoli potrebbe incontrare nel suo cammino?
L’accordo: UE premiata dalla strategia dell’unità
Prima di tutto, è bene ricordare che l’accordo sul recesso del Regno Unito dall’Unione europea regola solo i termini della separazione e il periodo di transizione. Durante questo periodo, che dovrebbe terminare il 31 dicembre 2020, il Regno Unito continuerà a essere vincolato alle norme comunitarie, perdendo però il diritto di rappresentanza nelle istituzioni.
Quanto costa uscire dall’Unione? Il conto finale, non esplicitato nell’accordo, ammonta a 39 miliardi di sterline. Di questa somma, circa 10,8 miliardi costituiscono il contributo al bilancio comunitario per l’accesso al mercato unico durante il periodo di transizione. Il Regno Unito dovrà onorare gli impegni assunti nel bilancio pluriennale 2014-2020 e nei progetti in corso, come l’11° Fondo Europeo di Sviluppo per i paesi in via di sviluppo. Dovrà inoltre contribuire ai fondi pensionistici degli impiegati nelle istituzioni europee.
È un netto miglioramento rispetto alla richiesta iniziale di 100 miliardi di sterline; tuttavia, gli hard Brexiteers sostengono che il conto sia ancora troppo alto, e che potrebbe essere notevolmente ridotto eliminando il periodo di transizione. Questa possibilità esiste, ma significherebbe creare un vuoto normativo immediato e bloccare improvvisamente tutti gli scambi e le attività economiche tra i due blocchi, tornando alle regole WTO.
Sulla questione irlandese, l’UE ha accettato la proposta britannica d’includere tutto il territorio del Regno Unito nel backstop. Qualora le due parti non riuscissero a raggiungere un accordo sulle relazioni future entro luglio 2020, il Regno Unito avrebbe due opzioni: prolungare il periodo di transizione o adottare il backstop temporaneo. Questa misura di tutela manterrebbe tutto il Paese (e non solo l’Irlanda del Nord) in un’area doganale temporanea con l’UE; ciò garantirebbe l’assenza di controlli, almeno per lo scambio di beni.
Questo punto rischia di far saltare il governo May, se non riuscirà a ottenere il supporto in Parlamento. Pur eliminando tutte le barriere sull’isola irlandese, il backstop introduce dei controlli tra l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito. Inoltre, il backstop potrà essere sospeso solo previo consenso di entrambe le parti. Il senso è chiaro: la misura è la tutela essenziale contro l’imposizione di una barriera in Irlanda, che avrebbe conseguenze catastrofiche. Secondo i critici, la clausola mette in pericolo l’unità nazionale, mantenendo l’Irlanda del Nord ancor più legata al mercato unico rispetto al resto del Paese.
Dichiarazione politica: un quadro flessibile
La dichiarazione politica congiunta, nelle intenzioni delle parti, fornisce la base per le discussioni che avverranno nei mesi a venire. In quanto atto politico, costituisce dunque un indirizzo piuttosto che un vincolo. Il testo completo, reso pubblico solo alla vigilia del Consiglio Europeo straordinario, è stato anch’esso approvato dai capi di Stato e di governo.
Il tono della dichiarazione appare più conciliante rispetto a quello dell’accordo, non solo per la diversa natura dei due documenti; sembra infatti riflettere gli equilibri politici di Londra e risponde indirettamente ad alcune critiche sollevate da laburisti e conservatori.
La dichiarazione, dunque, contiene diverse promesse al Regno Unito. La prima è la fine del libero transito per le persone. Per viaggi brevi non sarà necessario il visto, mentre saranno introdotti accordi di mobilità per ragioni particolari, come studio e ricerca, ma non per lavoro. Theresa May cercherà di presentare questo punto come vittoria politica per il governo, in risposta alle richieste di controllo su frontiere e immigrazione. Meno ovvio è che anche i cittadini britannici perderanno il diritto di stabilirsi liberamente nei Paesi dell’UE.
Il quadro legale per le relazioni commerciali dovrebbe essere un accordo di associazione, presumibilmente più ambizioso di quelli conclusi con altri Paesi, come Canada o Giappone. Il trattato, che riprenderà l’accordo sulla separazione, istituirà un’area di libero scambio per i beni e accesso più limitato per i servizi.
La dichiarazione prevede la possibilità per il Regno Unito di partecipare a progetti e iniziative dell’Unione, ad esempio nell’ambito della ricerca e degli scambi culturali, e a meccanismi di consultazione informale e cooperazione in politica estera, difesa comune, sicurezza e antiterrorismo. Dovrà ovviamente versare una quota corrispondente nel bilancio comunitario.
Come trovare un accordo?
La domanda più pressante è: come evitare il backstop senza ripristinare il confine sull’isola irlandese? Su questo punto, il testo è volutamente ambiguo. Al di là dell’impegno a sostenere il processo di pace (e finanziare il fondo PEACE a esso dedicato), non ci sono soluzioni concrete sul futuro assetto del confine irlandese. Il testo cita generiche “soluzioni tecnologiche” per ovviare ai controlli di frontiera senza creare barriere; il problema è che queste soluzioni, se esistono, non sono attualmente utilizzate in alcun Paese.
Un concetto ribadito più volte è la flessibilità. La dichiarazione garantisce che in futuro le parti potranno ridiscutere i termini stabiliti in precedenza e ricercare una cooperazione più stretta, oppure, al contrario, allontanarsi, sia in termini di partnership che di allineamento normativo. È un messaggio ai critici di Theresa May, ma in particolare ai laburisti di Jeremy Corbyn, che puntano a elezioni anticipate prima del 2022.
L’enfasi sulla flessibilità, allo stesso tempo, è anche una garanzia per Bruxelles. I rappresentanti dell’UE hanno più volte ribadito che la Brexit è una scelta del Regno Unito ed è un percorso reversibile in ogni momento; le porte rimangono aperte a un’unione doganale, o persino al rientro nell’UE. A maggiori diritti e partecipazione, però, corrispondono anche maggiori doveri, costi e responsabilità.
Finora, la strategia di coesione ha premiato l’UE, che ha mantenuto una posizione di forza, anche grazie al maggior peso economico. Il messaggio è chiaro: nessun accordo sarà più vantaggioso rispetto alla membership nell’UE, e “riprendere il controllo” comporta dei sacrifici.
Nel caso del Regno Unito, qualsiasi restrizione alle quattro libertà (libera circolazione delle persone, in questo caso) comporta un accesso più limitato al mercato unico rispetto agli Stati Membri.
Questioni in sospeso
La questione di Gibilterra è stata risolta all’ultimo minuto, dopo che la Spagna aveva minacciato di boicottare l’accordo. Qualsiasi futuro accordo tra Regno Unito e UE non si applicherà automaticamente a Gibilterra e dipenderà dal consenso della Spagna. Gibilterra, di fatto, passa dall’essere una questione comunitaria a una controversia tra due Stati.
Dopo il 29 marzo 2019, si apriranno le trattative formali per il nuovo accordo. Londra tenterà sicuramente di strappare condizioni favorevoli sui servizi, mentre alcuni stati UE, tra cui la Francia, chiedono concessioni in materia di pesca.
Tutto dipende dall’esito del meaningful vote nel Parlamento britannico. Gli hard Brexiteers sostengono che il Regno Unito diventerà di fatto una colonia dell’UE: dovrà accettare molte delle sue regole senza essere rappresentato nelle istituzioni, e la Corte di Giustizia Europea conserverà la giurisdizione sugli atti normativi dell’UE. I partiti indipendentisti in Scozia e Galles minacciano la scissione. La questione più complessa resta comunque il confine irlandese, per il quale finora non esistono soluzioni pratiche fattibili, a parte il backstop. Theresa May non può sbagliare: qualora l’accordo sul tavolo fosse respinto, l’Unione ha già dichiarato che non ci sarà un piano B.
Fonti e approfondimenti
BBC, “Brexit: What’s in the political declaration?“, 22/11/2018
BBC, “Reality Check: Brexit withdrawal agreement – what it all means“, aggiornato al 25/11/2018
Commissione Europea, “Brexit negotiations: What is in the Withdrawal Agreement“, 14/11/2018
Consiglio Europeo: tutti i documenti sul summit del 25 novembre
Financial Times, “Brexit deal to cost up to £1,100 per person per year“, 26/11/2018
Pagina del Governo britannico: contiene il testo dell’accordo e la dichiarazione politica e riassume i punti essenziali
Governo britannico: questione di Gibilterra
National Institute of Economic and Social Research, “The economic effects of the government’s proposed Brexit deal”, 26/11/2018