First Nations: gli indigeni canadesi

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Come negli Stati Uniti, anche in Canada sono presenti minoranze indigene nella popolazione. Queste popolazioni indigene hanno preso, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, il nome di “Prime Nazioni”, o in inglese “First Nations”. Una denominazione dovuta all’intenzione di dare una visione maggiormente rispettosa della multiculturalità del Paese, andando quindi a sostituire la precedente espressione di “bande indiane”.

Oltre a queste Prime Nazioni, che rappresentano la comunità predominante di indigeni canadesi, esistono anche gli Inuit, uno dei gruppi principali di eschimesi, e i Métis, cioè i meticci direttamente discendenti dalle unioni fra aborigeni e franco-canadesi, inglesi e scozzesi. Questi tre gruppi vengono riconosciuti e chiamati, nel loro insieme, come “aborigeni canadesi“.

Cenni storici

Dopo il primo contatto con gli europei, in breve tempo, il Canada divenne una colonia di Inghilterra e Francia, le quali si divisero il territorio fino al XIX secolo, quando gli inglesi presero il controllo definitivo. Gli indigeni canadesi, sin dall’inizio, subirono umiliazioni e vessazioni da parte dei nuovi arrivati, i quali cercarono di rimuoverli forzatamente.

La prima legge di grande importanza nei confronti degli aborigeni canadesi fu l’Indian Act del 1876. Nonostante avesse una forte logica di assimilazione al proprio interno, tale legge confinava gli indiani canadesi all’interne di riserve in aree geografiche prestabilite. Inoltre, attribuiva lo statuto indiano agli uomini di sangue indiano appartenenti a una determinata banda, ai loro bambini e alle donne che sono (o sono state) sposate a un uomo che dispone di statuto indiano. La legge, ovviamente, rendeva incompatibile lo statuto indiano con la cittadinanza canadese.

Nei periodi immediatamente successivi alla promulgazione dell’Indian Act, si diede avvio a un processo di assimilazione forzata con la creazione di collegi scolastici residenziali fondati dall’Indian and Northern Affairs Canada. Scopo di tali istituti era quello di togliere i bambini dall’influenza culturale delle loro famiglie, per poterli così assimilare alla nuova cultura canadese di stampo occidentale. Il tentativo di assimilazione implicava punizioni molto severe nei confronti dei bambini, vietando loro di parlare la loro lingua di nascita e di seguire le proprie fedi religiose, con numerosi casi di abusi sessuali, sovraffollamento, scarse condizioni igienico-sanitarie e mancanza di assistenza medica.

Ci furono picchi di malattie come la tubercolosi, la quale portò a crescere il tasso di mortalità fino al 69%. Solo dopo la chiusura di tali scuole negli anni ’60 del XX secolo, il lavoro di studiosi e storiografi di queste popolazioni portò al riconoscimento delle colpe dei governi canadesi e alla modifica della percezione di tale problema nell’opinione pubblica.

L’impatto del colonialismo è stato quindi molto duro per gli aborigeni in quanto, nel corso del tempo, ha portato a modificare il loro stile di vita e ha reso loro vittime di segregazione razziale. Si è trattato di un genocidio etnico-culturale.

Dagli anni ’80 a oggi

I nativi raggiunsero il diritto di voto solo nel 1961. Le donne indigene, inoltre, non potevano far parte a pieno di una banda, non potendo perciò ricoprire alcun incarico nella comunità. La discriminazione nei loro confronti fu abolita col progetto di legge C-31 del 1985.

Nella Sezione 35 dell’Atto Costituzionale del 1982, venne garantita protezione costituzionale ai diritti e ai trattati delle popolazioni indigene del Canada. I diritti che la Sezione 35 garantisce sono: la protezione della pesca, del disboscamento, della caccia e il diritto alla terra. Rimane aperto il dibattito sul fatto che il diritto all’autogoverno indigeno sia incluso o meno nella Sezione 35. Dal 2006 ad oggi, la Corte Suprema del Canada non ha emesso alcuna sentenza in merito.

Tuttavia, dal 1995, il governo del Canada ha adottato una politica che riconosce agli indigeni il diritto intrinseco all’autogoverno. Attualmente, sono registrate 634 comunità di Prime Nazioni, ben più della metà delle quali si trova nell’Ontario e nella Columbia Britannica. Nel 2011, più di un milione di persone sono state censite come appartenenti alle popolazioni native, rappresentando all’incirca il 4% della popolazione il cui 40% vive ancora nelle riserve fondate dall’Indian Act. Tali comunità si autogovernano, e possiedono differenti culture e usi e costumi, con più di 50 lingue diverse.

Dal punto di vista politico, gli aborigeni sono ancora oggi organizzati in bande, cioè delle entità di tipo conciliale formate da piccoli gruppi nei quali si elegge un capo e un consiglio. Un qualcosa che potremmo definire come una diretta eredità della precedente organizzazione tribale. Nell’aprile 1982, è nata l’Assemblea delle Prime Nazioni, un’organizzazione nata sul modello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove i rappresentati delle varie bande si riuniscono per discutere dei problemi che affliggono la comunità aborigena.

L’Assemblea si fa promotrice dei diritti dei nativi e dei loro interessi nei confronti del governo federale canadese. Nonostante l’importanza di tale organo, tuttavia, non tutte le bande del Paese hanno deciso di aderire ad essa. Molte problematiche a livello di integrazione sussistono ancora oggi. Una forte disoccupazione caratterizza infatti le Prime Nazioni, anche a causa del loro essere in buona parte localizzate nelle riserve. La disoccupazione si riflette molto sulle donne delle riserve, le quali guadagnano in media 5000 dollari in meno all’anno rispetto alle indigene che vivono al di fuori delle riserve.

Questo tende a far alzare il tasso di criminalità fra gli appartenenti a queste comunità, specialmente i giovani. Fra le persone di età compresa fra i 15 e i 34 anni accadono episodi di violenza e criminalità con una frequenza due volte e mezzo superiore rispetto ai cittadini di età più avanzata. Nel 2007, circa il 17% percento dei carcerati canadesi era di origine aborigena, nonostante la bassa percentuale di spazio demografico.

Altri seri problemi che affliggono gli aborigeni riguardano la sanità e l’approvvigionamento di acqua: molte comunità, per decenni, sono state forzate a far bollire l’acqua prima di poterla bere. Le condizioni di vita nelle riserve, infatti, periodicamente variano molto e non sempre sono buone. Questi sono tutti fattori che fanno abbassare l’aspettativa di vita media indigena di circa 8 anni per gli uomini e di 5 anni per le donne, rispetto al resto della popolazione canadese.

Dall’ascesa di Justin Trudeau in poi

Quando il primo ministro canadese, Justin Trudeau, salì al potere nel 2015, si impegnò a riparare le relazioni con le popolazioni indigene in tutto il Paese, dichiarando che “i diritti delle Prime Nazioni in Canada non sono un inconveniente, ma piuttosto un obbligo sacro”.  Tuttavia, lui stesso ha riconosciuto – in un discorso alla Camera dei Comuni fatto nel febbraio 2018 – che la promessa non è ancora stata mantenuta. Il programma di Trudeau prevedeva che, in 5 anni, la vita delle Prime Nazioni sarebbe sensibilmente migliorata.

Prima problematica da affrontare, nei pensieri del primo ministro, è sempre stata la questione dell’acqua: in questo senso, il piano di Trudeau prevede investimenti per quasi 2 miliardi di dollari. Altri investimenti riguardano poi la scuola e le infrastrutture sanitarie, con 500 milioni da stanziare per la prima e altri 270 per le seconde. Tuttavia, all’atto pratico, tra la fase di pianificazione e quella di esecuzione, ci si è trovati di fronti a un aumento dei costi che hanno superato il limite di budget a disposizione.

Il problema è che i piani di approvazione di tali progetti richiedono spesso anni di gestazione, quindi arrivano alla fase finale di assenso in cui sono già diventati vecchi e obsoleti. I costi, quindi, tendono sempre ad aumentare. Con un ritardo di tre o più anni, le spese di ingegneria, l’inflazione e il deterioramento delle infrastrutture esistenti portano spesso a questo problema.

Ovviamente, tutto questo ha portato alle proteste degli indigeni nei confronti del governo liberale di Trudeau. Allo stesso tempo, anche molti cittadini canadesi hanno espresso profonde perplessità nei confronti delle politiche del primo ministro. Un sondaggio effettuato dall’Istituto Macdonald-Laurier afferma, infatti, che il 53% di un campione di 2.500 canadesi ritiene che il Paese spenda troppo tempo a scusarsi con gli indigeni per la questione delle scuole residenziali. Inoltre, 1/3 degli intervistati ritiene che Trudeau presti troppa attenzione alla questione degli indigeni in generale.

Un altro preoccupante dato riguarda il fatto che i canadesi non aborigeni che vivono nei pressi di riserve hanno maggiori probabilità di assumere posizioni rigide nei confronti dei nativi. Per il leader liberale la questione assume una certa importanza a livello elettorale, con le elezioni ormai sempre più vicine.

Fonti e approfondimenti

Beeby, Dean, “Tardy bureaucrats causing First Nations’ cost overruns, report finds”, CBC, 28/09/2016

Hutchins, Aaron, On First Nations issues, there’s a giant gap between Trudeau’s rhetoric and what Canadians really think: exclusive poll, Maclean’s, 07/06/2019,

Cecco, Leyland, Canada indigenous leaders divided over Trudeau’s pledge to put them first, The Guardian, 18/02/2018,

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