Le isole del pacifico: il rapporto con gli Stati Uniti

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Gli Stati Uniti e le Pacific Islands – quella regione dell’oceano Pacifico formata da piccoli stati insulari – dal secondo dopoguerra sono legate da un rapporto di cooperazione e influenza. Con il passare degli anni l’interesse degli Stati Uniti per questa regione si è affievolito riservando le proprie risorse in altre aree con un peso strategico e politico più alto su scala internazionale. Recentemente però l’area del Pacifico è tornata a occupare un ruolo importante dell’agenda di politica estera degli Stati Uniti, come di altri stati coinvolti nella regione: Australia e Nuova Zelanda. Il motivo principale di questo ritrovato interesse per le Pacific Islands è la pressione diplomatica ed economica attuata dalla Cina.

 

La regione delle Isole del Pacifico

La regione è formata da 14 Stati indipendenti e da alcuni territori amministrati direttamente da Francia, Stati Uniti e Nuova Zelanda. L’estensione territoriale e la popolazione varia molto di Stato in Stato: si passa dalla Papua Nuova Guinea, lo Stato più grande della regione, che comprende il 77% della popolazione di tutta la regione e l’85% del territorio, fino ad arrivare all’isola di Kiribati, che ha una popolazione di poco superiore ai 110 mila abitanti. Una particolarità di questi Stati è l’estensione della loro Zona Economica Esclusiva. Pur essendo Stati molto piccoli, essi possiedono i territori oceanici più vasti al mondo. Ne è un esempio proprio Kiribati, che pur essendo lo Stato più piccolo della regione ha la dodicesima zona economica esclusiva al mondo per estensione.

La regione può anche essere suddivisa in tre diverse sub-regioni, ognuna di esse strettamente legata a un partner esterno:

  • La Melanesia (formata da Papua Nuova Guinea, Fiji, Isole Salomone, Vanuatu e la Nuova Caledonia), che mantiene un rapporto molto stretto con l’Australia;
  • La Polinesia (che include Tuvalu, Samoa, Tonga, Niue, le isole Cook, le Samoa americane, la Polinesia francese), di cui la Nuova Zelanda è il partner principale;
  • La Micronesia (Palau, gli Stati Federati di Micronesia, le isole Marshall, Kiribati, Nauru e i territori americani di Guam e delle Isole Marianne settentrionali), in cui gli Stati Uniti svolgono il ruolo di partner principale per la maggior parte degli Stati che la compongono.

Come viene evidenziato anche dalle zone di influenza in cui è suddivisa la regione, la posizione remota e la particolare conformazione geografica pone le Pacific Islands fuori dalle rotte dei mercati internazionali, e quindi in una posizione geopolitica e geostrategica molto isolata rispetto al resto del mondo. Questa posizione indebolisce la regione, che non vedeva grandi possibilità di investimenti esterni al di fuori di quelli australiani, neozelandesi e statunitensi prima del recente interessamento cinese. L’economia della zona si basa quasi esclusivamente sul settore ittico, sul turismo e il cambiamento climatico, con l’acidificazione dei mari e l’innalzamento delle acque.

 

Il rapporto con gli Stati Uniti

Gli Stati Uniti si sono ritrovati ad avere il controllo sulla regione delle isole del Pacifico dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, a seguito della vittoria sul Giappone che aveva occupato la zona tra le due guerre mondiali. Isole Marshall e Stati federati di Micronesia e Palau entrarono in un primo momento a far parte del Territorio fiduciario delle isole del Pacifico (territorio controllato dalle Nazioni Unite e amministrato dagli Stati Uniti) e, dopo aver ottenuto l’indipendenza nel 1986, stipularono un Trattato di Libera Associazione con gli Stati Uniti, accordo attraverso cui Washington si impegnava a fornire un supporto finanziario in cambio dello stabilimento delle basi militari sui loro territori. Il legame statunitense con i tre Stati parte dell’accordo, con Guam, le Isole Marianne settentrionali e con le Samoa americane (territori statunitensi), rendono la presenza americana molto estesa all’interno della regione.

Negli anni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il controllo di questa vasta zona che si estende dalle Hawaii alle Filippine era considerato fondamentale dagli Stati Uniti per prevenire la possibilità che qualche nemico potesse ottenere il controllo di territori strategici, che sarebbero poi diventati per loro una minaccia da ovest. In quegli anni i tanti e isolati atolli della regione divennero importanti soprattutto per testare le armi nucleari (furono 105 in totale i test nucleari condotti in quest’area).

 

L’impegno americano nel Pacifico in chiave anti-cinese

Negli ultimi anni però le Pacific Island sono tornate ad avere un peso importante all’interno del quadro della politica estera americana. L’amministrazione Obama aveva tentato con la strategia “Pivot to Asia” di ricreare una forte cooperazione economica e politica anche con i partner del Pacifico. 

Il fattore che ha riportato la regione delle Pacific Island al centro delle politiche internazionali è stata la crescita economica e diplomatica della CinaDate le forti ambizioni marittime e la facilità con cui la Cina riesce a trovare nuovi alleati strategicamente importanti, gli USA hanno visto in questo interessamento cinese all’area del Pacifico una vera e propria minaccia al loro ruolo di potenza indiscussa dell’area. Per questo motivo la base militare americana presente sull’isola di Guam si è rivelata strategicamente importante per monitorare i movimenti cinesi nella regione ma, allo stesso modo, l’accesso cinese a una qualsiasi isola della regione potrebbe comportare l’osservazione e la sorveglianza di una base militare americana da molto vicino.

Questa competizione strategica con la Cina ha portato l’amministrazione Trump a dedicare molta più attenzione alla regione. In questo contesto nasce la strategia “Free and Open Indo-Pacific“, con lo scopo di incrementare la cooperazione e gli investimenti in alcuni Stati della regione. L’impegno messo in campo dall’amministrazione Trump per riportare il focus sulla regione indo-pacifica in chiave anti-cinese è anche diplomatico. Nel 2018, l’allora Segretario degli Interni, Ryan Zinke, partecipò al “Pacific Islands Forum” a Nauru. Nell’ultimo anno diversi ufficiali del Dipartimento di Stato, del Pentagono e del Consiglio per la Sicurezza nazionale hanno svolto regolari visite nella regione. Un direttorato per l’Oceania e le Pacific Islands è stato creato all’interno del Consiglio di Sicurezza Nazionale per guidare l’organizzazione delle politiche da attuare nella regione.

Impegno non solo diplomatico ma anche economico: il Segretario di Stato, Mike Pompeo, nel 2018 ha annunciato l’incremento dei finanziamenti per i Paesi del Pacifico. Sette milioni di dollari sono stati investiti per garantire una maggiore assistenza militare in Papua Nuova Guinea, Fiji e Tonga. L’investimento più importante messo in campo dagli USA nella regione è, invece, in collaborazione con Australia, Nuova Zelanda e Giappone, di $1.7 miliardi per creare una rete elettrica in Papua Nuova Guinea che dovrebbe portare l’elettricità nelle case del 70% dei suoi cittadini entro il 2030. Un altro progetto importante è quello lanciato in collaborazione con l’Australia per la costruzione di una nuova base navale sull’isola di Manus, in Papua Nuova Guinea.

Per quanto riguarda, invece, l’impegno militare, al momento la presenza statunitense si limita a settemila unità, appartenenti per lo più alla Marina e all’Air Force, situate nella base militare dell’isola di Guam, ma non è escluso che in un imminente futuro Trump possa decidere di aumentarne il numero o prevedere la dislocazione di truppe anche in altre isole della regione.

Il rinnovato interesse statunitense potrebbe però rivelarsi tardivo e non riuscire nell’obiettivo principale di arginare l’avanzata cinese. L’interesse di Pechino nei confronti del Pacifico non è nuovo, ma recentemente la collaborazione che prima si limitava solo ai partner diplomatici si sta estendendo anche agli altri Stati. Tale rapporto non si limita più soltanto nell’instaurare delle relazioni diplomatiche, in particolare per limitare il numero di Stati che riconosce Taiwan, ma anche in una vera e propria assistenza economica. Tutto ciò ha reso la Cina la seconda potenza dell’area per aiuti finanziari, subito dopo l’Australia. È facile immaginare che nei prossimi anni sia gli Stati Uniti sia la Cina cercheranno di aumentare sempre di più la loro presenza in questa regione.

 

 

Fonti e approfondimenti

– CSIS, “Strengthening the U.S.-Pacific Islands Partnership”, 15/05/2019, (https://www.csis.org/analysis/strengthening-us-pacific-islands-partnership).

– The Diplomat, “Assessing Trump’s Indo-Pacific Strategy, 2 Years In”, 1/10/2019, (https://thediplomat.com/2019/10/assessing-trumps-indo-pacific-strategy-2-years-in/).

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