Con l’approvazione da parte del Congresso, è arrivata anche l’ufficialità: il referendum sulla nuova Costituzione del Cile non si terrà il prossimo 26 aprile. Su questo punto, tutti i partiti si erano trovati d’accordo già il 19 marzo scorso. La decisione di posporre il voto si è resa necessaria a causa del propagarsi dell’emergenza sanitaria in America latina e del conseguente stato d’eccezione per catastrofe in Cile, dichiarato dal presidente Piñera proprio a partire dal 19 marzo e per novanta giorni.
Il referendum con il quale i cittadini cileni esprimeranno la volontà di approvare o rifiutare la stesura di una nuova Costituzione è tra le principali richieste che si sono levate con forza dalla lunga stagione di proteste iniziata il 18 ottobre 2019. Un secondo quesito referendario verterà sulla composizione dell’organo al quale debba spettare la redazione del nuovo testo costituzionale.
Nonostante le grandi aspettative, l’“Accordo per la Pace Sociale” raggiunto a novembre 2019 aveva attirato non poche critiche, che sono confluite nell’acceso dibattito su come si sta svolgendo il processo costituente. Ulteriori sfide democratiche erano state messe sul piatto. Il 4 marzo è stata approvata dal Senato una storica legge in merito alla partecipazione paritaria delle donne nella Convención Constituyente; tuttavia rimane in sospeso come garantire la rappresentanza dei popoli originari, così come dei settori della società più svantaggiati.
Il nuovo calendario
La decisione di rimandare il voto non riguarda solo il referendum, ma anche altri importanti appuntamenti elettorali. La riprogrammazione ha fissato il referendum costituzionale per il 25 ottobre di quest’anno e le primarie dei sindaci per il 29 novembre. Le due tornate d’elezione di sindaci, consiglieri, governatori e membri costituenti si terranno invece tra aprile e maggio 2021.
Le radici dell’estallido social
Sebbene l’ultima ondata di mobilitazione popolare abbia raggiunto una portata assolutamente eccezionale per il Cile, in realtà si colloca in linea con una serie di proteste cittadine iniziate già nei primi anni 2000. Queste hanno permesso l’accumularsi dell’esperienza organizzativa da parte di diversi attori sociali: le rappresentanze studentesche, sindacali, mapuche, in difesa del diritto alla casa e alla sanità, femministe e ambientaliste. Lo scorso ottobre, l’aumento del prezzo del trasporto pubblico è stato l’elemento scatenante, ma con il progressivo prendere forma del dissenso, è apparso chiaro il carattere unitario della rivolta.
La forza della protesta è stata proprio quella di saper tessere una rete intorno alle richieste specifiche, di consolidare la propria integrità sulla base di una visione comune: ovvero superare il modello economico neoliberale ereditato dalla dittatura e migliorare le condizioni di vita delle classi lavoratrici.
Secondo dati pubblicati nel 2019 dalla CEPAL (Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi) , all’1% più benestante fa capo più del 26% del PIL nazionale cileno. Le percentuali di povertà (8,6%) e di povertà estrema (2,3%) sono scese notevolmente negli ultimi anni, soprattutto nel confronto con la regione. Ciononostante, l’ingresso simbolico di una gran fetta di popolazione nell’ambita “classe media” ha smesso di essere percepito come una conquista. Le contraddizioni risiedono nell’inadeguatezza del salario minimo (320,5 mila pesos, l’equivalente di nemmeno 350 euro), nello stallo del progetto di legge per ridurre il massimo di 45 ore di lavoro settimanali, nell’insostenibilità della vita da pendolare per i lavoratori che abitano nelle comunas più povere e più lontane dal centro di Santiago. Questi sono solo alcuni esempi concreti, ma si potrebbe dire molto sul Cile in merito all’accesso disuguale a diritti di base del cittadino quali la salute, la pensione e l’istruzione, tutti fortemente privatizzati.
¡Asamblea Constituyente Ahora!
Per affrontare questi problemi di vecchia data, la mobilitazione degli scorsi mesi ha fatto propria la modalità partecipativa dell’assemblea autoconvocata. In parallelo a proteste, scioperi e marce cittadine, ha infatti preso piede l’organizzazione di incontri locali chiamati “cabildos abiertos”. La convinzione di fondo è che la partecipazione autenticamente democratica non possa limitarsi ai processi elettorali: l’esigenza del cambiamento è talmente sentita in Cile che deve necessariamente passare attraverso il ruolo attivo di ogni cittadino nelle questioni pubbliche. L’accumularsi della sfiducia nei partiti e nelle istituzioni è stato altresì determinante, il senso di alienazione dalla classe dirigente è dovuto all’accentramento del potere politico da parte delle élite economiche del Paese, a cui si aggiungono i molti scandali per corruzione.
I cabildos che si sono riuniti periodicamente da ottobre sono partiti dal presupposto del dialogo costruttivo, proponendosi di evolvere in proposte concrete. In particolare, l’urgenza di elaborare una nuova carta costituzionale è il tema cruciale ricorrente in tutti i cabildos, a partire dalla riflessione sulle istanze storiche e prioritarie per la cittadinanza.
L’Accordo per la Pace Sociale e la nuova Costituzione
Il 15 novembre è stata la data dell’annuncio dell’accordo e dell’iniziativa parlamentare per la stesura di una nuova Costituzione. La possibilità di lasciarsi alle spalle il testo del 1980 (nato durante la dittatura del generale Pinochet) non è però bastata a soddisfare nel complesso i settori sociali che stavano manifestando. La poca chiarezza sui meccanismi di partecipazione popolare è stata accolta con diffidenza. Chi si può sentire veramente rappresentato da questo patto sociale? Perché la scelta di chiamare l’organo costituente Convención e non più propriamente Assemblea?
La proposta di referendum contempla due quesiti: scegliere se approvare la stesura di una nuova Costituzione e quale dev’essere la composizione dell’assemblea costituente: per metà membri del parlamento e per metà della cittadinanza (Convención Mixta) o interamente della cittadinanza (Convención Constitucional). Nemmeno questa seconda opzione è stata ritenuta pienamente democratica, perché le modalità di elezione non rispecchierebbero la diversità (e la disuguaglianza) economica e culturale del Cile.
Sono molti i punti critici in questo accordo: dalle limitate possibilità di entrare a far parte dell’assemblea per i candidati indipendenti – che spingono ancora una volta a vincolarsi ai partiti – alla scelta di fissare il quorum delle decisioni a 2/3, la quale blocca sul nascere il dibattito sui temi più conflittuali. Legare la campagna alle elezioni municipali solleva pure molti dubbi, in quanto rinforza ulteriormente il legame con la politica tradizionale e con il sistema proporzionale delle liste.
Inoltre, la dicitura “per la Pace” ha suscitato grande disappunto in quanto l’accordo non prevede l’istituzione di una commissione per la verità e la giustizia, doverosa per fare luce sulle gravissime violazioni dei diritti umani che hanno avuto luogo durante i mesi di protesta.
Una conquista (per ora) in sospeso
Resta il fatto che la mobilitazione cilena è riuscita a scuotere le logiche tradizionali di reazione da parte della politica. Mentre i livelli di approvazione per il presidente calavano vertiginosamente, si è tentato in un primo momento di rispondere ai manifestanti con la rinomina di alcuni ministri, la promessa di grandi riforme e qualche agevolazione per i lavoratori. Non è bastato. L’istanza di convocazione di un’assemblea costituente ha degli antecedenti importanti e ben marcati nella memoria dei cittadini ed è pertanto tornata velocemente alla ribalta.
Nel quadro della transizione alla democrazia del Cile, si può considerare che l’accordo fra Pinochet e l’opposizione per mantenere la Costituzione del 1980 sia servito a garantire la stabilità a medio termine. Se è vero che la transizione del Cile è stata pacifica, è anche vero che la mancanza di una “rottura” ha significato ereditare enclavi autoritarie dal quadro socioeconomico precedente. Tra le conseguenze più dirette ci sono il sistema bipartitico e i requisiti di maggioranza che hanno facilitato “la politica degli accordi” tra centro-destra e centro-sinistra e il mantenimento dello status quo.
Da allora, la Costituzione è stata emendata in più di trenta occasioni. Ciononostante, la minima partecipazione pubblica in ognuna di queste riforme ha fatto sì che non si affrontasse veramente il nucleo della distribuzione della ricchezza e delle reali necessità dei cittadini. Per questo si sono riproposti periodicamente movimenti che chiedevano la stesura di un testo completamente nuovo e davvero legittimo, “hoja en blanco”. Nel 2015 questi si sono tradotti nell’avvio di un processo costituzionale ambizioso da parte della ex-presidente Michelle Bachelet. Anche in questo caso la bozza deluse le aspettative perché fu redatta dando le spalle ad alcuni partiti politici e gruppi sociali. Fu infine archiviata con il cambio di governo.
L’intento per il 2020 è quello di non accontentarsi di niente di meno rispetto al processo partecipativo e inclusivo che è stato reclamato a gran voce durante i mesi di mobilitazione. Nei prossimi mesi anche il Cile sarà messo a durissima prova per tutt’altri motivi, ma difficilmente dimenticherà quali sono i cardini della trasformazione che va chiedendo da più di trent’anni.
Fonti e approfondimenti:
Nodal, “Coronavirus en Chile: cómo queda el calendario electoral tras postergarse el plebiscito al 25 de octubre”, 20/03/2020
Bruna C. “Acuerdo por la paz y nueva constitución en Chile: ¿Convención o asamblea?”, El Desconcierto, 23/11/2019
Gargarella R. “Diez puntos sobre el cambio constitucional en Chile”, Nueva Sociedad, 01/02 2020
Pearson B. “Marca tu voto’ for a constitutional assembly: Direct democracy in Chile’s 2013 presidential election”, Open Democracy, 04/12/2013
Perelló M. “The roots of Chile’s protests”, Global Americans, 23/10/2019
Segura M. “Acuerdo por la paz social y la nueva Constitución”, El Mostrador, 24/11/2019
Van Lier F.A. “Renovación constitucional en Chile: una oportunidad histórica”, Open Democracy, 02/12/2019