Speciale Islam Insight: il diritto familiare

diritto familiare
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La complessità del diritto islamico risiede nella comunione che la legge divina ha con la vita degli uomini. Come è noto, infatti, la legge coranica regola numerosi aspetti della vita quotidiana dei fedeli. Dopo aver analizzato il diritto penale, ora guardiamo al diritto familiare e personale islamico.

Questo si presenta come il campo normativo maggiormente improntato ai dettami sciaraitici, poiché sia la Sunna che il Corano contengono numerose indicazioni sul diritto familiare, che è stato gradualmente codificato a partire dal XIX secolo.

Cenni storici e attuale impostazione

Agli albori, il diritto familiare è stato il frutto della commistione tra la dottrina (fiqh) delle diverse scuole giuridiche e le applicazioni pratiche nelle diverse regioni, senza che vi fosse un unico codice e facendo sì che questa branca fosse altamente decentralizzata e in mano ai giuristi.
L’intervento statale si ebbe per la prima volta con l’impero ottomano, che nell’espansione del XVI secolo adottò la scuola Hanafita. Rimase comunque possibile per i giudici decidere seguendo anche altre scuole, favorendo così una continua innovazione. Tuttavia, si decise di strutturare un Codice di diritto familiare nel 1917, nell’ambito delle tanzimat (riorganizzazione).

L’obiettivo di queste riforme fu in generale quello di riformare e modernizzare l’impero data la crescente interferenza europea. In ambito giuridico, si tradusse nel portare i diversi campi giuridici, compreso quello di diritto familiare, a un assetto più centralizzato e moderno. La riforma del sistema giuridico fu anche un espediente politico per riuscire a limitare le istanze di autonomia delle minoranze religiose, dal momento che il Codice si applicava a tutto l’Impero, senza distinzione di professione religiosa.

Per quanto possibile, fu stabilita la competenza statale sia nell’aspetto legislativo che giudiziario grazie alla creazione di corti statali apposite per le controversie. Tuttavia, questa ultima innovazione riguardò meno il diritto di famiglia, dove rimasero in attività anche le corti scaiaritiche.

Nel Memorandum introduttivo del Codice del 1917, si legge che l’obiettivo era quello di creare un corpus unitario di diritto familiare per tutto l’impero nonché di tentare di salvaguardare la figura e la posizione della donna, le cui questioni erano spesso lasciate all’arbitrio eccessivo dei giudici.

Con la dissoluzione dell’impero ottomano, il Codice fu applicato negli Stati che derivarono la propria esistenza dallo sfaldamento dell’impero stesso, seppur con modifiche. La Turchia invece  lo abolì e si diede un Codice Civile, ispirato al modello svizzero e comprensivo del diritto familiare nel 1926 . Ancora oggi il Codice è però guardato come la forma iniziale da cui partire per procedere a qualsiasi tipo di considerazione in materia e anche gli Stati che non hanno conosciuto la dominazione ottomana guardano al Codice come una fonte di ispirazione.

Gli istituti principali

Fatte tali premesse, si può proporre una panoramica sui principali istituti del diritto di famiglia secondo il diritto di famiglia islamico classico. Nei casi studio che seguiranno nei prossimi articoli vedremo come questi si sono evoluti nel tempo e in relazione ai contesti Paese.

Il matrimonio

Innanzitutto, il matrimonio, detto nikâh. Disciplinato dal Corano, il matrimonio in realtà non ha un connotato sacramentale, come nel cristianesimo, ma è un contratto tra due persone.

Affinché si concluda questo contratto, è ancora oggi necessario che il marito paghi la dote (mahr) alla famiglia della moglie. L’ammontare della dote è a discrezione delle famiglie. Viene lasciata la possibilità alla donna di decidere, nei limiti di alcuni criteri, quale essa debba essere solo se le altre parti non riescono a trovare un accordo soddisfacente. Nel matrimonio interviene ancora oggi una figura importante: quella del tutore della donna, chiamato wali. Spesso coincidente con il padre della sposa o con un suo parente maschio. La figura del wali ha origine antiche e la sua presenza assicura che il matrimonio si svolga nella piena consapevolezza della sposa e della famiglia di questa.

Infatti, egli agisce riportando il volere della donna di sposarsi con un uomo. La sua figura e la sua importanza sono ancora oggi preminenti, anche se la scuola Hanafita riconosce alla donna il diritto di sposarsi senza il wali, partendo dal presupposto che il matrimonio in quanto contratto può essere concluso da chiunque eserciti qualche volontà, quindi anche la libera determinazione della donna. Secondo altre scuole, come quella malikita, invece, la figura del tutore è indispensabile per la validità del matrimonio.

La natura prettamente civilistica del matrimonio si ritrova anche nella possibilità di inserire delle clausole, che possono riguarda ogni aspetto del matrimonio compresa la possibilità di avere altre mogli.

A tal proposito, il Corano infatti dedica un versetto alla poligamia dichiarando che l’uomo può avere al massimo quattro mogli ma che non sarà in grado di essere con tutte equo e amorevole. Gli studiosi e i giuristi ne hanno tratto quindi che, pur essendo possibile, la poligamia non è strenuamente voluta nemmeno dal Corano. Infatti, l’impegno richiesto all’uomo nella cura uguale di tutte le sue consorti porta a ritenere impossibile tale pratica, ma al contempo non vi sono elementi per negarne la fattibilità.

Il ripudio e il divorzio

Il divorzio è permesso, sempre per il presupposto della possibilità di sciogliere un contratto. Di certo, il matrimonio nasce con l’intento di essere eterno, tranne nel caso dei matrimoni a tempo della tradizione sciita, denominati mut’a, e anche il Corano chiede che l’uomo sia “misericordioso” e continui il legame con la moglie fino alla fine.
Per sciogliere il matrimonio esiste una distinzione abbastanza certa: l’uomo può decidere se ripudiare la moglie o procedere con il divorzio, mentre la donna ha diritto a chiedere solo il divorzio.

Il ripudio, talaq, è a disposizione del marito, il quale deve ripudiare la moglie per tre volte per terminare il matrimonio. Inizialmente si chiedeva che la suddetta pronuncia avvenisse in tre momenti distinti per poter essere valida. Oggi si accetta anche che la ripetizione della formula avvenga nello stesso momento.

In seguito, sorgono degli obblighi sia per l’uomo che per la donna. Infatti, la donna dovrà aspettare un periodo di tempo, chiamato ‘idda, di durata pari a tre cicli mestruali, durante il quale non può sposarsi con altri e può però essere ripresa dal marito. Questo deve invece continuare a provvedere economicamente alla moglie fino alla fine del periodo di attesa e completare il pagamento della dote.

La riforma del divorzio attraverso il talfiq

La pratica del divorzio è riconosciuta sia all’uomo che alla donna. Nella sua disciplina, anche questo istituto è stato oggetto di riforma in fase di codificazione. In questo ambito si è fatto uso di una tecnica di riforma, il talfiq, che consiste nella possibilità di creare una legge unendo pezzi di leggi diverse, derivate da diverse scuole giuridiche o anche da varie interpretazioni all’interno della stessa scuola, in modo da creare una norma più facile da applicare.

La riforma in tal senso ha agevolato soprattutto il diritto della donna a chiedere il divorzio, non solo per i motivi che consentono questa richiesta ma anche per le modalità. La moglie può infatti chiedere un divorzio consensuale, detto kulh’, con il quale chiede al marito di sciogliere il legame. Spesso questa proposta è accompagnata da un’agevolazione, poiché la donna può rinunciare al pagamento della dote ancora dovuta o può restituire quanto già ricevuto. Nel caso in cui non si arrivi all’accordo, si concede comunque la strada giudiziaria. Durante il processo però la donna dovrà fornire le prove che sostengono la sua volontà di divorzio dal marito.

I motivi che possono spingere al divorzio sono diversi e vengono stabiliti dalle diverse scuole. Alcune ritengono che la mancanza di sostegno economico o emotivo sia una motivazione valida. Altre, invece, richiedono che solo l’impossibilità di procreare da parte del marito possa sostenere questa richiesta.

Conclusioni

Sebbene le differenze tra i sistemi giuridici occidentali e quelli più tipicamente medio orientali siano evidenti e spesso rimarcate, non si può negare che vi sono stati margini di apertura e di compromesso.

 

Fonti e approfondimenti

Kristen Stilt Salma Waheedi Swathi Gandhavadi Griffin, “The ambitions of muslim family law reform“, Harvard Journal of Law & Gender, 2018;

Abdullahi A. An-Na’im, “Islamic family law, introduction“;

Studi sociali e giuridici Centro documentazione Due Palazzi, “Famiglia e matrimonio nell’Islam“; 

Nicola Fiorita, Studi di diritto islamico“, Firenze University Press, 2002;

Hina Azam, Marriage“, Oxford Bibliographies, 30 luglio 2014.

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