In concomitanza con la presidenza egiziana all’Unione Africana per il 2019, il regime di al-Sisi ha consolidato nell’ultimo anno una posizione di primo piano a livello regionale e internazionale. L’obiettivo è stato raggiunto tessendo accordi economici e di cooperazione volti a favorire e consolidare lo sviluppo economico e tecnologico del Paese. Un obiettivo reso possibile anche grazie all’aumento di fondamentali investimenti esteri diretti verso l’Egitto. Con una crescita economica del 5.6%, il Paese è diventato così l’attore più in crescita nel continente africano.
La crescita del PIL egiziano è il frutto dell’attuazione della Visione 2030, un progetto di sviluppo economico e sociale reso pubblico nel 2015. Tuttavia, sebbene la crescita economica prosegua a grande velocità, la sostenibilità sociale della Visione 2030 rimane dubbia. Il peso della poderosa ristrutturazione economica è infatti ricaduto sulla classe media e sugli strati sociali più poveri della popolazione. Il malcontento economico e sociale ha esacerbato così il dissenso contro il regime repressivo e autoritario di al-Sisi.
Il successo della ripresa macroeconomica
Nel 2015 l’Egitto ha pubblicato la propria Sustainable Development Strategy: Vision 2030. Si tratta di un ambizioso progetto di sviluppo e crescita economica e sociale, in linea con i Sustainable Development Goals promossi dalle Nazioni Unite e con la Sustainable Development Strategy for Africa 2063. La Visione 2030 è stata pensata allo scopo di tagliare con un passato caotico e instabile e proiettare l’Egitto verso il futuro. All’indomani della rivoluzione del 2011, delle prime elezioni politiche democratiche e dell’ennesimo colpo di stato militare nel 2013, l’Egitto presentava infatti un tessuto socioeconomico sull’orlo del collasso.
La strategia egiziana si configura come un piano di restaurazione di alto profilo che comprende lo sviluppo trasversale di economia, società e ambiente, basando l’azione governativa e istituzionale su principi di sviluppo equo e inclusivo a livello nazionale e regionale. Promossa internamente e internazionalmente come il riflesso della nuova società egiziana, la Visione 2030 si presenta dunque come un progetto positivo che promette welfare, sostenibilità, giustizia e inclusione sociale. Allo stesso tempo, però, la ripartenza economica egiziana segue i dettami di austerità ed equilibrio del debito imposti dal Fondo Monetario Internazionale, che nel 2016 ha concesso un prestito di 12 miliardi di dollari; la cui ultima quota è stata sbloccata a luglio 2019.
In merito alla dimensione macroeconomica i risultati sono stati innegabilmente positivi, grazie alla ricollocazione della spesa pubblica verso settori strategici dell’economia. La diversificazione e la competitività, in un ambiente business e investment-friendly, sono i parametri chiave della crescita egiziana. A questi si aggiungono l’autosufficienza energetica e lo sviluppo scientifico e tecnologico.
I due settori che riflettono maggiormente la buona riuscita degli obiettivi economici delle Visione 2030 sono il turismo e le infrastrutture commerciali, soprattutto marittime. Il turismo egiziano è rifiorito in questi anni, dopo essere stato affondato dai colpi delle rivolte del 2011 e degli attentati terroristici ai danni di località turistiche di punta. La ripresa dei voli charter internazionali verso Sharm el-Sheikh e la cooperazione in ambito culturale e archeologico con Paesi come Francia e Italia hanno contribuito a questa ripresa.
L’ultimo periodo ha visto inoltre la costruzione di imponenti infrastrutture e l’avvio di mega-progetti nazionali. Tra questi spiccano l’ampliamento del Canale di Suez, il potenziamento dei porti di Damietta e Sokhna, nonché la creazione di zone industriali internazionali, la costruzione del primo impianto nucleare e l’inizio dei lavori per una nuova capitale amministrativa.
Il conto sociale da pagare
Il successo macroeconomico della Visione 2030 ha ampiamente restituito all’Egitto le sue vesti di attore strategico nel Mediterraneo e nel continente africano. Dal punto di vista geopolitico l’Egitto di al-Sisi ha ripreso il suo ruolo di importante interlocutore nei principali dossier regionali, tra cui il conflitto in Libia.
Inoltre, interessi economici condivisi e potenzialità di crescita del mercato egiziano hanno garantito ad al-Sisi un ampio sostegno internazionale. Partner chiave come Stati Uniti, Francia, Germania e Russia, assieme alla Banca Mondiale, al Fondo Monetario Internazionale e al segretario generale dell’ONU, hanno tutti lodato l’imponente crescita egiziana e il successo della ristrutturazione macroeconomica del Paese.
Tuttavia, guardando alla dimensione sociale è evidente come le promesse di giustizia, sviluppo umano e sostenibilità del costo della vita siano state ampiamente disattese dal regime. Secondo i dati dell’African Development Bank Group nel 2019 la disoccupazione giovanile era al 26%, quella femminile al 38%, mentre il livello di disequilibrio nella distribuzione del benessere rimane altissimo (il coefficiente di Gini calcolato per il 2017 era del 91,7%). I principi di inclusione sociale sbandierati davanti ai partner internazionali sono stati applicati in modo refrattario e discrezionale.
I programmi di protezione sociale messi in atto dal governo non sono stati sufficienti a controbilanciare gli effetti microeconomici della svalutazione della moneta, lasciando nel 2019 il 32,5% della popolazione in condizioni di povertà. Inoltre, a febbraio dello stesso anno, il governo ha ritirato a 2 milioni di cittadini la tessera che garantisce accesso ai sussidi sui generi alimentari di prima necessità e ai sussidi nel settore energetico. Il processo di verifica che ha portato a tali sottrazioni non è stato reso pubblico, aumentando il malcontento verso un sistema tutt’altro che trasparente e istituzioni sempre più burocratizzate.
L’austerità, i tagli alla spesa pubblica e le politiche improntate al liberismo economico – ingredienti tipici dei progetti di crescita basati sul post-Washington Consensus e patrocinati dal FMI – si sono inseriti nella realtà sempre più illiberale e poliziesca dell’Egitto di al-Sisi, esacerbando il dissenso verso il regime. Di conseguenza molti Paesi, principalmente europei, esercitano una certa cautela nell’affrontare e criticare temi “caldi” quali la tutela dei diritti umani nel Paese.
Le manifestazioni di settembre: la voce dell’Egitto che soffre
In questo contesto di crescenti disuguaglianze, l’accusa di corruzione del governo è stata la miccia che ha portato all’esplosione dei primi movimenti di piazza dai tempi del colpo di stato del 2013. Le manifestazioni si sono svolte in risposta all’invito a protestare di Ali Mohamed, un imprenditore edile in esilio in Spagna, che ha pubblicato alcuni video di denuncia sui social media a partire dall’estate del 2019.
Così come Ali Mohamed non ha sponsorizzato nessuna fazione politica, i video da lui pubblicati non hanno promosso particolari agende, né dissenso verso uno specifico colore politico. I suoi video hanno invece accusato l’intero regime di corruzione, nepotismo e cattiva amministrazione dei fondi pubblici. Infatti, questi ultimi verrebbero costantemente scialacquati da al-Sisi e dalla sua cerchia per finanziare la costruzione di sontuosi palazzi presidenziali e concludere affari poco trasparenti con le monarchie del Golfo, ai danni della popolazione egiziana. Ad esempio, nel 2016 al-Sisi ha ceduto due isole sul Mar Rosso, Tiran e Sanafir, all’Arabia Saudita.
Gli egiziani scesi in piazza in diverse città del Paese, dal Cairo ad Alessandria, Damietta, Suez, Gharbiya, Mahala e Mansoura, hanno manifestato la propria frustrazione per le difficilissime condizioni di vita causate dalla riforma strutturale del Paese. I manifestanti hanno denunciato il costante smacco al patto sociale stabilito dalla Visione 2030, sbandierato dal regime a riprova di un Egitto che cambia, cresce e promette partecipazione, sostenibilità e sicurezza sociale.
Tuttavia, le manifestazioni di fine settembre non hanno avuto la possibilità di evolversi in movimenti di protesta organizzati, segno di quanto sia radicato il timore della repressione del dissenso popolare operata dal regime. Repressione che peraltro si è concretizzata nelle centinaia di arresti effettuati dalle forze armate a seguito delle proteste.
La Visione 2030 e le sue ombre
Nonostante la risposta ferrea, il messaggio di insoddisfazione di una popolazione allo stremo sembra essere stato recepito da al-Sisi. Insieme ad arresti e posti di blocco, il presidente è intervenuto personalmente per contenere il malcontento. Relegando i disordini al frutto premeditato di un complotto esterno volto a destabilizzare l’Egitto, al-Sisi ha assicurato la restituzione dei sussidi sui generi alimentari di prima necessità.
Tentando di lavorare in base ai principi della sua Visione 2030, il presidente ha incaricato il primo ministro, Moustafa Madbouly, di indagare e riferire in Parlamento riguardo le modalità di assegnazione dei sussidi, facendo luce sulle dinamiche della loro sottrazione. Al-Sisi ha anche annunciato lo stanziamento di maggiori finanziamenti ai principali programmi di protezione sociale, Takaful e Karama, oltre alla velocizzazione dell’entrata in vigore di un nuovo sistema di assicurazione sanitaria per i più bisognosi.
Molte delle politiche sociali promosse dal regime rimangono pennellate superficiali volte a placare il malcontento e tranquillizzare i partner internazionali riguardo la stabilità e la responsabilità del governo. Sembra però che il regime stia interiorizzando il fatto di non potersi più permettere di utilizzare la Visione 2030 come cavallo di battaglia per garantirsi una posizione internazionale di primo piano, senza cominciare a lavorare concretamente alla dimensione sociale della crescita egiziana.
Fonti e approfondimenti
O. Salem, “Egypt Is Done Waiting for Liberals”, Foreign Policy, 26/09/2019
Center for Economic and Social Rights, “Egypt Social Progress Indicators Reveal How Austerity Feeds Gross Inequalities“, 28/05/2019
Egypt Today, “Updates on Universal Health Insurance in Egypt“, 02/10/2019