Nella Siria degli Assad: regime e capitale

Capitalismo clientelare in Siria
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di Francesco Tosone

Il 19 maggio, il governo siriano ha ordinato il sequestro preventivo delle proprietà appartenenti a Rami Makhlouf. Già all’inizio del mese il cugino di Bashar, nonché uno degli uomini più vicini al regime e magnate siriano, aveva criticato pubblicamente il presidente per le intimidazioni ricevute nell’ambito di un’inchiesta del ministero delle Finanze su presunti finanziamenti illeciti ed evasione fiscale. Subito si è aperto il dibattito sulle implicazioni politiche del gesto. Makhlouf, infatti, sta cercando di difendere il suo impero economico minacciato dalla competizione crescente con altri imprenditori siriani tra cui Samer Foz, Asma al-Assad, la moglie del presidente, e il cugino di Assad, Maher al-Assad. Personaggi come Makhlouf si collocano nel quadro più ampio delle reti affaristiche che sostengono il regime attraverso una forma di “capitalismo clientelare”. Si tratta di un fenomeno politico-economico globalmente diffuso che è stato definito dal professor Haber  come “un sistema in cui coloro che hanno legami con la classe politica ricevono favori caratterizzati da un grande valore economico”.

Le liberalizzazioni selettive 1970 – 2000 

Nel 1970 Hafez al-Assad prese il potere in Siria. In breve tempo avviò una serie di riforme economiche che posero le basi per la progressiva trasformazione dell’assetto economico del Paese, dal cosiddetto capitalismo di Stato a un’economia di mercato. Le liberalizzazioni del 1977, del 1978 e del 1986 favorirono la nascita di aziende miste pubblico-private nei settori del turismo e dell’agricoltura. Gran parte del management aziendale passò nelle mani dei privati, mentre il 25% delle azioni rimase proprietà dello Stato.

Nel settore petrolifero il governo stipulò contratti con imprese estere che avrebbero fornito le risorse necessarie e controllato le operazioni di produzione. Gli investitori privati furono esentati dal pagamento di imposte sulle società e di dazi sulle importazioni. Furono, inoltre, introdotte liberalizzazioni commerciali che ridussero la lista dei beni di importazione proibiti. Vennero tagliati dazi doganali per diversi prodotti importati. Damasco e le città portuali  divennero zone franche.

Una seconda fase di liberalizzazioni caratterizzò gli anni Novanta. La conduzione delle imprese su base completamente privata venne resa legale con la legge n.10 del 1991 e il decreto legislativo n.7 del 2000. Questi rappresentarono punti di svolta cruciali per l’economia politica siriana che aprì a investimenti in settori prima protetti, come quello agricolo e tessile, e riconobbe la proprietà privata.

Le liberalizzazioni riguardarono principalmente attività come l’edilizia, il turismo, il commercio e i trasporti. I nuovi investimenti non ebbero l’effetto di creare nuovi posti di lavoro, né valore aggiunto alla produzione nel lungo periodo. L’economia dunque continuò a rimanere stagnante. A beneficiare del processo di liberalizzazione non fu la società nel suo complesso, ma le imprese private che sfruttarono l’opportunità di profitti redditizi nel breve termine. La disuguaglianza sociale rimase a un livello medio comparabile a quello dei Paesi vicini con un indice di Gini che passò da 33.7 nel 1996-1997, a 37.4 nel 2003-2004, fino a 32.6 nel 2006-2007. Infine, l’economia siriana continuò a dipendere fortemente dall’export petrolifero. Secondo il ministero dell’Economia e del Commercio, le rendite petrolifere costituivano il 45% delle rendite totali dell’export nel 2005.

L’intero processo di liberalizzazione economica (o infitah) fu motivato dalla volontà di tenere sotto controllo le opposizioni e consolidare il regime. La nuova borghesia commerciale, che sarebbe emersa dal processo di apertura economica, servì a controbilanciare la Fratellanza musulmana e l’ala più radicale del Partito bath, ostili al governo di Assad. Non a caso, le liberalizzazioni furono applicate in maniera selettiva e controllata al fine di cooptare imprenditori provenienti dalle città di Damasco e Latakia, personalità della vecchia borghesia pre-baathista e membri dell’apparato di sicurezza e dell’esercito. A ciò si aggiunsero fattori esterni. Innanzitutto, l’ideologia neoliberale imperò negli anni Ottanta, diventando sempre di più il paradigma dominante dello sviluppo economico. Inoltre, il collasso dell’URSS privò la Siria di un’importante fonte di sostegno finanziario, diplomatico e militare. La partecipazione alla guerra del Golfo nel 1990, nello schieramento occidentale, e alla conferenza di Madrid del 1991, in cambio di aiuti finanziari, facilitò l’integrazione dell’economia siriana nel mercato globale.

Il modello cinese e l’economia sociale di mercato 2000 – 2010

Nel 2000, con la morte di Hafez al-Assad, il figlio Bashar ereditò una situazione difficile. Dal punto di vista economico la crescita del PIL rimaneva bassa, i livelli di povertà e disoccupazione preoccupanti e le finanze pubbliche continuavano a dipendere fortemente dalle rendite petrolifere. Allo stesso tempo, la popolazione era in crescita. In questo contesto, il nuovo presidente intensificò il processo di liberalizzazione economica iniziato dal padre.

Tra il 2000 e il 2010, la politica del governo siriano si resse su due pilastri principali: il cosiddetto “modello cinese” e l’economia sociale di mercato. Per quanto riguarda il primo, si trattò del tentativo di Assad di coniugare la divisione del lavoro di Adam Smith e la volontà del Partito comunista cinese di guidare il processo di transizione da una società senza mezzi di produzione privati a una società capitalista. Un’economia mista tra pianificazione e libero mercato ha permesso, infatti, alla Cina di raggiungere livelli di crescita economica straordinari, preservando allo stesso tempo la stabilità del sistema politico. Per quanto riguarda la seconda, si trattò di una strategia adottata nel 2005 che tentò di conciliare il libero mercato con sistemi di protezione sociale per la popolazione. Tuttavia, nei fatti, la Siria rimase vittima di un processo di riforma contraddittorio, corrotto e minato da resistenze interne alle istituzioni.

Riassumendo, il settore privato assunse un ruolo centrale nella promozione dello sviluppo economico; il mercato fu riconosciuto come meccanismo principale nell’allocazione di beni e servizi; l’intervento statale nell’economia fu ridotto al minimo. Nel 2007, un nuovo decreto legislativo sostituì le disposizioni del 1991 sulle liberalizzazioni degli investimenti, aprendo la strada alla privatizzazione delle cooperative agricole, alla riduzione del controllo sui prezzi di beni e servizi, al taglio dei sussidi statali, all’istituzione di un sistema bancario privato e alla riforma della politica monetaria. A differenza del padre, Bashar al-Assad si avvalse della consulenza delle istituzioni finanziarie internazionali – Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale – per favorire il processo di liberalizzazione economica.

Il governo, dunque, portò avanti ed esacerbò la transizione della borghesia di Stato a borghesia commerciale.  È in questa fase che Rami Makhlouf ha costruito le sue fortune fino a diventare uno degli uomini più potenti del Paese. Nel 2011, Makhlouf controllava circa il 60% dell’intera economia siriana grazie ai suoi investimenti nei settori delle comunicazioni, immobiliare, energetico, commerciale e dei trasporti.

L’economia di guerra 2011 – 2018 

La guerra ha mostrato tutta la capacità del regime di adattarsi e rafforzarsi nel nuovo contesto. Il governo siriano ha fatto largo uso della finanza pubblica per sostenere le spese militari. Dal 2014 è stata varata una politica di razionalizzazione dei sussidi statali e un aumento delle tasse. La diminuzione della spesa pubblica ha portato a un aumento dell’inflazione e alla svalutazione della moneta. La domanda interna è crollata e il costo della vita è cresciuto.

Da un lato, insieme alle sanzioni occidentali, questi provvedimenti hanno aggravato le condizioni di vita della popolazione siriana.  Dall’altro, la guerra, la frammentazione dell’economia nazionale e l’assenza di un’autorità centrale sul territorio hanno contribuito all’emersione di attività economiche spesso illecite di cui hanno beneficiato i cosiddetti signori della guerra e le milizie locali. Si sono formati nuovi centri di potere economico che hanno guadagnato un discreto livello di autonomia rispetto al regime, senza però indebolire la posizione di Assad.

Fonti e approfondimenti

Steven Heydemann “Beyond Fragility: Syria and the Challanges of Reconstruction in Fierce States” Washington: The New Geopolitics of the Middle East, 2018

Matar, Linda. The Political Economy of Investment in Syria. Basingstoke: Palgrave Macmillan, 2016

Trombetta, Lorenzo. Siria Dagli ottomani agli Asad. E oltre. Milano: Mondadori Education S.p.A, 2014

Hinnebusch, Raymond, Syria Revolution from above, London, New Yoorl: Routledge Taylor& Francis Group, 2002

Michael Jord Dorstal, Anja Zorob “Syria and the Euro-Mediterranean Relationship” Syria Studies 1 2 (2009)

Hubert Schmitz “The Rise of the East: What Does it Mean for Development Studies” IDS Bulletin 38 2 (2007)

Ellen Lust-Okar, “Reform in Syria: Steering between the Chinese Model and Regime Change” Washington: Carnegie Endowment for International Peace, 2006

Abboud, Samer N. “Locating the “Social” in the Social Market Economy,” in Syria from Reform to Revolt Volume 2: Political Economy and International Relations, Raymond Hinnebusch e Tina Zintl, New York: Syracuse University Pressm 2015

Haber, Stephen, ed. (2002). Crony Capitalism and Economic Growth in Latin America: Theory and Evidence. Hoover Press

 

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