Road to referendum: come cambierebbe la rappresentanza parlamentare?

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il 20 e il 21 settembre gli elettori italiani saranno chiamati alle urne per decidere sulla riduzione del numero dei parlamentari. Il referendum costituzionale in programma prevede, infatti, come unica riforma quella di tagliare da 945 a 600 il numero degli eletti in Parlamento.

Tra i tanti argomenti che animano il dibattito, politico e accademico, tra i sostenitori del “sì” e del “no” troviamo quello della rappresentanza. Secondo i sostenitori del “no”, infatti, un taglio così netto del numero di deputati e senatori avrebbe ripercussioni estremamente negative sulla rappresentatività, cioè sul rapporto tra il numero di parlamentari e il numero di cittadini, e quindi anche sulla tenuta democratica dell’organo rappresentativo dello Stato.

Il quesito referendario

Le Camere avevano approvato la legge sul taglio dei parlamentari, uno dei cavalli di battaglia del programma elettorale del Movimento 5 Stelle, con un voto che aveva messo d’accordo tutte le principali forze politiche a ottobre 2019. Ma la raccolta di firme promossa da un gruppo di senatori per indire a riguardo un referendum costituzionale ne aveva bloccato l’entrata in vigore.

La riforma prevede la modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione. Nello specifico, il taglio previsto comporterebbe la riduzione del numero dei rappresentanti alla Camera dei deputati da 630 a 400, mentre al Senato si passerebbe da 315 a 200 eletti. Inoltre, la modifica costituzionale prevede anche che il numero complessivo dei senatori a vita non possa essere in alcun modo superiore a 5, a differenza dell’attuale disposizione che prevede l’elezione di 5 senatori a vita per ciascun presidente della Repubblica.

Il tema della rappresentanza parlamentare

Con una riforma di questo tipo, che riduce il numero dei parlamentari senza intaccare le restanti prerogative del Parlamento, è inevitabile chiedersi se un risultato positivo al referendum influenzerebbe la rappresentanza all’interno delle Camere. Ma cosa si intende per rappresentanza parlamentare?

Essa consiste in uno dei pilastri della democrazia contemporanea. Fondamentale, in questo contesto, è il ruolo delle assemblee rappresentative, all’interno delle quali chi ha ottenuto un mandato, attraverso lo strumento delle elezioni, ha il compito di rappresentare gli interessi e le necessità dei cittadini.

Per questo motivo, quindi, un Parlamento è considerato più rappresentativo quanti più eletti siedono al suo interno, poiché il suo ruolo è proprio quello di farsi portavoce degli elettori. Inoltre, un numero più alto di parlamentari garantisce una rappresentanza più capillare, a livello territoriale, e più attenta alla tutela delle diverse minoranze.

Contrariamente, i favorevoli alla riforma sostengono che una buona rappresentanza non sia legata tanto alla questione numerica ma soprattutto alla qualità dei parlamentari che vengono scelti dagli elettori.

Il numero dei parlamentari nel resto d’Europa

I sostenitori del “sì” pensano che il numero dei rappresentanti in Italia sia troppo alto e che un organo legislativo così numeroso sia non solo dispendioso sotto il punto di vista economico, ma che possa anche rallentare e appesantire i lavori delle due Camere. In effetti, il Parlamento italiano, con i suoi 945 eletti, è una delle assemblee rappresentative più grandi del mondo. Restringendo la comparazione alle sole assemblee europee, il Parlamento italiano è il secondo per numero di rappresentati, subito dopo quello britannico che, invece, ne conta 1443.

Avere un alto numero di rappresentanti in seno alle assemblee è, però, una delle prerogative degli Stati europei più popolosi. Se si guarda l’elenco del numero dei parlamentari totali nelle assemblee rappresentative nazionali dei Paesi europei, si vedrà che dopo Regno Unito e Italia, si trovano Francia (con 925 parlamentari), Germania (778) e Spagna (607). Se la riforma passasse il test delle urne, invece, con 600 rappresentanti l’Italia si posizionerebbe alle spalle della Spagna e prima della Polonia, che conta 560 eletti.

Come cambia la rappresentanza del Parlamento?

Come già detto, però, quello che più preoccupa i sostenitori nel “no” non è tanto la diminuzione del numero dei parlamentari in sé, ma il modo in cui verrebbe modificato il numero degli eletti in relazione al numero degli elettori. Per queste forze, infatti, meno parlamentari significherebbe avere meno rappresentanza e meno rappresentanza equivarrebbe a meno democrazia.

Secondo i comitati e i partiti favorevoli alla riforma, invece, il taglio dei parlamentari avrebbe i suoi benefici anche sotto questo punto di vista, dato che gli elettori avrebbero meno eletti da “controllare”, quindi meno punti di riferimento, ma più chiari e presenti.

Ma, in sostanza, quanto cambierebbe la rappresentanza se il numero dei parlamentari passasse da 945 a 600? Attualmente, ogni eletto rappresenta circa 63 mila italiani in Parlamento. Nel caso in cui vincessero i “sì” si passerebbe ad avere un rappresentante ogni 99 mila cittadini.

La rappresentanza nel resto d’Europa

Anche per quanto riguarda il livello di rappresentanza può essere utile comparare la situazione italiana con quella del resto dei Paesi europei. Stilando una classifica sul rapporto tra parlamentari totali e abitanti negli Stati UE, l’Italia nella situazione attuale – cioè con un parlamentare per 63 mila abitanti – si trova in sesta posizione, tra Polonia (uno ogni 68 mila) e Belgio (uno ogni 55 mila).

Qualora la riforma venisse approvata, l’Italia arriverebbe agli stessi livelli degli Stati più grandi in Europa, piazzandosi in seconda posizione alle spalle di Germania (un parlamentare ogni 107 mila abitanti) e Spagna (uno ogni 78 mila).

Modifiche nella geografia della rappresentanza regionale

Riguardo al timore di avere un deficit di rappresentanza la situazione che più preoccupa (non solo le forze politiche contrarie alla riforma ma anche molti esponenti del mondo accademico e costituzionalisti) è quella del Senato. La camera alta del Parlamento italiano è, infatti, quella che viene eletta su base regionale, quindi la netta riduzione dei senatori provocherebbe delle situazioni di sotto rappresentanza per alcune Regioni.

Questo è ciò che emerge da uno studio pubblicato su Il Sole 24 Ore: le Regioni che soffriranno maggiormente il taglio dei senatori sono quelle più grandi, mentre le uniche che non avranno cambiamenti sono quelle piccole che già hanno pochi rappresentanti, ossia la Valle d’Aosta (un senatore) e il Molise (due senatori). Le Regioni che perderanno invece il numero maggiore di rappresentanti sono: Lombardia (che passerebbe da 49 a 31 senatori), Campania (da 29 a 18), Lazio (da 28 a 18).

Altre Regioni, invece, saranno particolarmente danneggiate in termini di percentuale. Ad esempio, Umbria e Basilicata arriveranno a perdere il 57% dei propri eletti (passando da 7 a 3 senatori); altre, come Calabria, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo e Liguria ne perderanno il 40%, passando da 7 a 4.

Non solo le Regioni, ma anche la circoscrizione Estero vedrebbe modificata al ribasso la propria rappresentanza in Parlamento. La riforma prevede che il numero degli eletti in questa circoscrizione passi da 6 a 4.

Il taglio dei parlamentari comporterebbe un deficit di rappresentanza?

Attraverso i dati che abbiamo visto, è inevitabile concludere che se la riforma costituzionale entrasse in vigore, il rapporto elettori/eletti aumenterebbe mentre le rappresentanze regionali verrebbero ridotte. Questo significa che con il taglio dei parlamentari si configurerebbe un problema di rappresentanza? Possiamo affermare che il Parlamento diventerebbe meno rappresentativo e che le prime a farne le spese sarebbero le Regioni medio-piccole (in Senato) e, più in generale, le minoranze. Ma questo potrebbe essere un danno temporaneo e facilmente risolvibile.

Per ridurre al minimo le conseguenze negative di questa riforma, infatti, essa dovrà essere concepita dalle principali forze politiche che la sostengono non tanto come una modifica isolata e fine a se stessa, ma più come il punto di partenza per una serie di interventi più profondi e coraggiosi sul nostro sistema istituzionale, partendo dalla legge elettorale fino ad arrivare alla questione del bicameralismo perfetto. Inserito in un piano di riforma costituzionale di più ampio respiro in cui, magari, sarebbe anche più facile ristabilire gli equilibri di rappresentatività all’interno delle Camere, il taglio dei parlamentari assumerebbe un significato molto diverso.

 

Fonti e approfondimenti

Il Post, “Il referendum sul numero dei parlamentari, spiegato“, 22/08/2020

Piccinelli F., “Europe’s parliaments under the microscope“, POLITICO, 10/09/2019

Vernetti A., “Sì o No? La guida YouTrend al referendum costituzionale“, YouTrend, 29/08/2020

Sesto M., “Taglio parlamentari, ecco come si restringe il Senato. La Lombardia è la regione che perde più seggi“, Il Sole 24 Ore, 28/08/2020

 

 

 

 

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