Il 15 novembre 2020 si è tenuto il secondo turno delle elezioni presidenziali in Moldavia, il Paese più povero d’Europa composto da poco più di 3.5 milioni di abitanti. In queste consultazioni, iniziate il 1 novembre, si è giocato il futuro di questo piccolo territorio incastonato fra Romania e Ucraina, in bilico fra due visioni contrastanti: quella filo-europea e quella filo-russa.
La posizione filo-europea è sostenuta dalla vincitrice di queste elezioni, l’ex prima ministra Maia Sandu, che ha prevalso già dal primo turno, per poi ottenere il 57% delle preferenze al ballottaggio che l’ha resa ufficialmente la prima presidente donna della Moldavia. Mentre il suo avversario, l’uscente Igor Dodon, rappresenta l’anima filo-russa del Paese, sconfitta in questa elezione con il 42% dei voti.
Mentre si congratulava con Sandu nella conferenza stampa post-elezioni, Dodon ha tacciato i leader occidentali di aver interferito direttamente nello scrutinio, denunciando una “quantità senza precedenti” di violazioni avvenute durante il processo elettorale. In passato, tuttavia, lo stesso Dodon è stato accusato più volte di aver letteralmente comprato e trasportato nei seggi migliaia di elettori negli ultimi anni.
Allo stesso tempo, Dodon ha invitato i cittadini moldavi a mantenere l’unità nazionale, dichiarando: “Nell’interesse di tutti e della Moldavia, adesso abbiamo bisogno di pace e stabilità, non di disordine”. Un invito all’ordine che la nuova presidente Sandu è pronta a cogliere, dal momento che ha incentrato il proprio programma elettorale sulla “ripulita” del sistema politico e giudiziario dalla corruzione endemica e sulla politica estera, da rendere più dinamica e aperta all’Occidente – all’Unione europea in particolare.
Il contesto politico
Non è la prima volta che in questa ex repubblica sovietica prevale lo schieramento filo-europeo. Fra il 2000 e il 2009, la Moldavia ha continuato a essere governata dal Partito comunista (Pcrm, erede dell’URSS), mentre fra 2009 e 2019 sono sorte nuove coalizioni di governo europeiste. In tre occasioni le coalizioni sono state guidate in Parlamento dall’oligarca Vladimir Plahotniuc, ex leader del Partito democratico della Moldavia (Pdm) ed ex deputato, fuggito dal Paese nel giugno del 2019 con accuse che vanno dalla corruzione alla frode bancaria, fino all’omicidio e al traffico di donne (per queste ultime mai formalmente condannato).
L’ultimo presidente della Moldavia, Igor Dodon, ha iniziato la sua ascesa politica nel 2008, quasi in concomitanza con quella di Plahotniuc, con la posizione di ministro dell’Economia e del Commercio nel Gabinetto della prima ministra Zinaida Greceanii (prima donna a ricoprire questa carica nel Paese). All’epoca, Dodon era ancora membro del Pcrm, finito all’opposizione nel 2009. Nel 2011, si spostò nel Partito dei socialisti della Moldavia (Psrm), assumendone in breve tempo la guida e adottando posizioni sempre più nazionaliste, conservatrici e filo-russe.
Con il Psrm, Dodon venne eletto presidente nel 2016, gareggiando per la prima volta contro l’ex economista della Banca Mondiale e leader di centro-destra Maia Sandu. Già allora lo scarto fra i due si rivelò minimo, poco più di 70mila voti, con Dodon al 52% e Sandu al 47,8%.
Alle elezioni parlamentari nel febbraio del 2019, il Psrm di Dodon ottenne la maggioranza dei seggi, seguito dal Pdm di Plahotniuc e da una piattaforma elettorale che comprendeva anche il Partito di azione e solidarietà (Pas), fondato da Sandu nel 2015. Nei sondaggi del 2019, Sandu figurava fra i tre politici più degni di fiducia secondo i cittadini moldavi, in seconda posizione subito dopo Dodon.
Nel giugno dello stesso anno, Sandu venne eletta prima ministra da una coalizione di governo fra Pas, Psrm e altri partiti. Nell’ottobre del 2019, tuttavia, il Psrm decise di staccarsi dalla coalizione e allearsi in Parlamento con quello che era rimasto del Pdm di Plahotniuc (nel frattempo rifugiatosi all’estero a causa delle sue vicissitudini giudiziarie).
Il pericolo di brogli elettorali
La lunga scia di corruzione legata all’oligarca fuggitivo grava ancora pesantemente sulla classe politica della Moldavia e, in queste ultime elezioni presidenziali, ha avuto delle ripercussioni su Dodon in particolare. Durante la campagna elettorale, i suoi avversari elettorali europeisti (prima fra tutti Sandu) lo hanno accusato di voler comprare decine di migliaia di voti dalla Transnistria, come fatto in precedenza per le presidenziali del 2016 e per le parlamentari del 2019.
In questa regione della Moldavia, indipendente de facto dal 1992, circa 350mila persone hanno la cittadinanza moldava e possono esprimere le proprie preferenze alle sue consultazioni. Nel febbraio del 2019, attraverso un accordo fra Dodon e il leader separatista Vadim Krasnoselsky, i partiti moldavi filo-russi trasportarono in autobus circa 37mila abitanti della Transnistria nei seggi della Moldavia, dietro compenso, per ottenere voti.
Per timore di vedere ripetersi una situazione del genere, poco prima del primo turno del 1 novembre, Maia Sandu ha avvertito Dodon che all’interno del Paese ci sarebbe stata “tolleranza zero per le frodi della volontà popolare”, citando la crisi politica attualmente in corso in Bielorussia come monito.
La corruzione endemica
La schiacciante vittoria di Maia Sandu è dovuta in buona parte al suo atteggiamento intransigente verso la corruzione, un problema endemico della Moldavia. “La corruzione è ciò che mi ha spinto a entrare in politica: quando si è scoperto che le autorità rubavano miliardi dalle tasche dei cittadini, abbiamo deciso fosse tempo di ripulire la classe politica”, ha dichiarato Sandu, sottolineando di aver proposto una riforma radicale del sistema giudiziario già nel 2019.
Il furto da parte delle autorità a cui si riferiva la neoeletta presidente è forse l’episodio più grave capitato nella storia recente del Paese, che da più di cinque anni genera rabbia e insofferenza negli elettori moldavi verso la maggior parte della classe politica al governo. Nel 2014, infatti, venne alla luce il furto di quasi 1 miliardo di euro dalle tre principali banche della Moldavia, perpetrato da decine di funzionari bancari e di politici molto in vista – compreso Plahotniuc. Si trattava di una somma enorme per il Paese, equivalente a circa il 15% del PIL nazionale.
Il ruolo della diaspora moldava
A causa della sua debole economia, a partire dal 1998, la Moldavia ha subito l’emigrazione di più di un terzo della propria popolazione. Si tratta di uno dei tassi più alti d’Europa: attualmente, tra il 1,2 e i 2 milioni di moldavi e moldave (l’ultimo censimento risale al 2018) vive e lavora all’estero, divisa a metà tra Unione europea e Federazione Russa. Circa l’81% della diaspora ha votato per Sandu alle ultime elezioni presidenziali. Gran parte di essa, infatti, è composta da liberali filo-occidentali che parlano lingua rumena e vorrebbero che la Moldavia entrasse nella UE.
Il successo record di Sandu è arrivato nonostante ben 17 seggi fossero stati aperti in Russia (il doppio in più rispetto alle elezioni del 2016) e, sui 60mila moldavi registrati all’estero, ben 6.202 fossero residenti nella Federazione (11 volte il numero dei votanti alle parlamentari del 2019). Questi numeri avrebbero potuto favorire Dodon, perché la sua base elettorale si fonda sulla minoranza russofona della Moldavia, oltre che su nazionalisti e ultraconservatori.
L’influenza di Mosca
Nel corso del suo mandato, Dodon si era proclamato come un sostenitore di una “politica bilanciata” fra Est e Ovest, ma dal 2019 si è in realtà sensibilmente proteso verso Mosca. Infatti gran parte del panorama mediatico moldavo – una volta impero dell’oligarca Plahotniuc – è finita oggi sotto il diretto controllo del Cremlino, che ha colonizzato anche le emittenti televisive statali (principale fonte di informazione dell’80% dei cittadini moldavi). Controllando la televisione, Mosca controlla anche la percezione dell’opinione pubblica dell’ex repubblica sovietica, bersagliandola con gli stessi messaggi trasmessi in Russia sulla supposta decadenza morale dell’Occidente.
Inoltre, sia in vista delle elezioni del 2016 che del 2020, i social media sono stati invasi da fake news su Sandu: come la falsa accusa di un patto con la cancelliera tedesca Angela Merkel per portare migliaia di migranti in Moldavia nel 2016, o che quest’anno invece fosse in combutta con il miliardario George Soros. Dell’influenza di questa propaganda, ovviamente, ne hanno risentito sia le relazioni della Moldavia con la Romania (di cui la Moldavia ha fatto parte tra 1918 e 1940) che con l’Ucraina, oltre che quelle con l’UE.
Un nuovo futuro per la Moldavia?
Eppure, oggi, il 70% delle esportazioni della Moldavia vanno verso l’UE, mentre quelle indirizzate alla Russia sono meno del 10% del totale. Le motivazioni economiche sono state un motore fondamentale per gli elettori alle ultime consultazioni presidenziali, preoccupati soprattutto dalle ripercussioni della pandemia di Covid-19. La maggior parte dei moldavi, quando si tratta di economia, vede migliori prospettive nell’Unione europea piuttosto che nella Federazione Russa e nell’Unione economica eurasiatica (UEE).
Per questo, la maggior parte della popolazione ha votato Maia Sandu, intenzionata a promuovere l’integrazione con la UE e tagliare i ponti con la classe politica corrotta del passato. Tutto ciò, nelle intenzioni della neopresidente, senza inimicarsi il Cremlino, che ha espresso le sue congratulazioni alla vincitrice. La più grande difficoltà che la nuova presidente dovrà affrontare – insieme a quella di riuscire a trattenere i giovani dall’emigrare dal Paese – sarà consolidare il ruolo delle istituzioni nella lotta alla corruzione con politiche nuove, forti ed efficaci. Per riuscirci, il suo Pas dovrà ottenere un saldo controllo della maggioranza in Parlamento: le prossime elezioni parlamentari in Moldavia dovrebbero tenersi nel 2023, ma sembra probabile che Sandu chiederà di andare ai seggi anticipatamente.
Fonti e approfondimenti
Necsutu M., “How Russia’s soft media power is battling for Moldovan minds”, Euronews, 05/10/20.
Roth A., “Moldova election: blow to Kremlin as opposition candidate sweeps to victory”, Guardian, 16/02/20.
Rosca M., “Vanishing act: how global auditor failed to spot theft of 15% of Moldova wealth”, Guardian, 01/07/15.
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