L’abolizione della pena di morte in Africa subsahariana

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Negli ultimi quindici anni, abbiamo assistito all’abolizione, completa o parziale, della pena di morte in quattordici Paesi dell’Africa subsahariana: Ruanda nel 2007; Burundi e Togo nel 2009; Gabon nel 2010; Benin nel 2012; Repubblica del Congo e Madagascar nel 2015; Guinea tra 2016 e 2017; Burkina Faso nel 2018 (per i soli cimini ordinari); Ciad nel 2020; Sierra Leone nel 2021 e, infine, Repubblica Centrafricana, Guinea Equatoriale e Zambia rispettivamente nel maggio, settembre e dicembre 2022. 

Stanti alcune significative eccezioni, la pena di morte in Africa subsahariana sta progressivamente scomparendo dai codici penali e dalla pratica giudiziaria. Dal 2016 al 2021, il numero di sentenze capitali emesse è crollato del 65%, passando da 1086 a 373. Sebbene il 2021 abbia segnato un’inversione di tendenza rispetto al 2020, con il ricorso alla pena capitale tornato a crescere del 22% e le esecuzioni più che raddoppiate (da 16 a 33), il novero dei Paesi subsahariani che ancora praticano la pena di morte si restringe di anno in anno

Com’è andato il 2022?

Generalmente, quando si classificano gli Stati in funzione del loro rapporto con la pena di morte, non basta rilevare la presenza della legge che preveda questo tipo di condanna, ma occorre anche valutare la frequenza con cui la stessa viene applicata.

Distinguiamo quindi i venticinque Paesi subsahariani che l’hanno abolita per tutti i crimini, i Paesi che l’hanno rigettata per i soli reati comuni, ovvero che la mantengono per casi straordinari e/o crimini militari (in questa categoria ricade solo il Burkina Faso), gli undici Stati per cui è ancora in vigore, sebbene non sia mai stata applicata negli ultimi dieci anni, definiti abolizionisti in pratica, e gli undici che invece in questo lasso di tempo l’hanno impiegata almeno una volta, chiamati mantenitori

Fino allo scorso anno, nel gruppo degli “abolizionisti in pratica” trovavamo la Repubblica Centrafricana, dove le ultime esecuzioni risalgono al 1981, epoca del colpo di stato del generale André Kolingba. Nonostante la pena capitale fosse ancora prevista per crimini come omicidio aggravato, alto tradimento e spionaggio, nessun detenuto si era più trovato nel braccio della morte dagli anni Ottanta. 

Lo scorso aprile, la Commissione parlamentare per gli affari istituzionali, giudiziari e amministrativi e per la democrazia ha concluso l’esame di un testo, presentato la prima volta nel 2018, che sostituisce alla pena capitale i lavori forzati a vita. La proposta di legge è stata approvata dal Parlamento il 27 maggio e promulgata dal presidente Faustin-Archange Touadéra in giugno. In un Paese attraversato da una decennale guerra intestina, l’abolizione della pena di morte non rappresenta solo il formalizzarsi di uno stato di fatto, ma anche e soprattutto un segnale di distensione, tassello di una politica interna volta a porre fine alla spirale di violenze. 

Nel gruppo degli Stati “mantenitori” figurava, invece, la Guinea Equatoriale. Eppure anche qui, dopo l’ultima esecuzione nel 2014, il regime di Teodoro Obiang Nguema Mbasogo aveva introdotto una moratoria temporanea sulla pena di morteL’abbandono della pena capitale è stato ufficializzato lo scorso 17 agosto, con l’approvazione di un nuovo codice penale da parte del Parlamento, dove il Partito democratico della Guinea Equatoriale detiene la maggioranza assoluta dei seggi, 169 su 170. 

Il governo di Teodoro Obiang, al potere dal 1979, ha così raccolto le congratulazioni e gli incoraggiamenti della comunità internazionale, insieme all’invito a ratificare il secondo protocollo opzionale della Convenzione internazionale ONU sui diritti civili e politici per l’abolizione della pena di morte. Tuttavia, l’invito è rimasto ad oggi disatteso, mentre la stessa famiglia del presidente si trova implicata in accuse di sparizioni, arresti arbitrari e torture, legate alla stretta del governo sulla criminalità urbana

Infine, lo scorso 25 maggio, nel giorno dell’Africa, il presidente dello Zambia Hajainde Hichilema ha annunciato la commutazione di tutte le sentenze capitali ancora pendenti in ergastoli e la presentazione al Parlamento di un disegno di legge per abolire definitivamente la pena di morte, mai applicata nel Paese dal 1997. 

Il processo di revisione legislativa, cominciato in ottobre, si è concluso il 23 dicembre con l’annuncio su Twitter della firma dell’emendamento, che, oltre ad abolire la pena di morte, rimuove il reato di diffamazione del presidente.

 

I Paesi “mantenitori”

La pena capitale rimane in vigore in ventitré Paesi del subcontinente africano, anche se, come si è detto, meno della metà l’ha effettivamente applicata negli ultimi dieci anni. Se poi consideriamo gli Stati dove sono avvenute esecuzioni negli ultimi cinque anni, il campo si restringe a quattro: Botswana, Somalia, Sud Sudan e Sudan. Nel corso del 2021, secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International, si stima che a sud del Sahara siano state eseguite trentatré condanne a morte, di cui ventuno solo in Somalia, tre in Botswana e nove in Sud Sudan, mentre non si ha notizia di esecuzioni in Sudan dal 2019. 

Se il numero complessivo di esecuzioni capitali è più che raddoppiato rispetto al 2020, ciò è dovuto al notevole aumento di sentenze applicate in Somalia, da undici a ventuno, e in Sud Sudan, più che quadruplicate. La mancanza di stime ufficiali da parte del regime di Giuba lascia spazio al dubbio che la conta possa essere più alta. 

Le ventuno esecuzioni in Somalia si sono verificate tutte nello Stato semi-indipendente del Puntland, imputate a membri di al-Shabaab, su cui pendeva l’accusa di terrorismo e omicidio. Portate a termine due ore dopo l’attacco alla città di Wisil, nel corso del quale almeno trenta membri delle forze di sicurezza somale hanno perso la vita, sono dimostrazione della risposta inflessibile del governo locale alla nuova insorgenza del gruppo terroristico.

 

Il caso nigeriano

In Nigeria, dove la pena capitale è disciplinata dalla sezione 33 della Costituzione del 1999, gli Stati federati hanno ampia libertà di azione nel decidere per quali crimini prevederla. In particolare, gli Stati nigeriani di Jigawa, Taraba e Niger hanno recentemente adottato nuove leggi che impongono la pena di morte per diversi crimini che non comprendono l’omicidio intenzionale. 

Nel febbraio 2021, lo Stato di Jigawa ha promulgato una legge che stabilisce la pena della prigione a vita per gli stupratori e la condanna a morte per chi abbia trasmesso alle proprie vittime l’HIV. In dicembre, la pena di morte è stata estesa ai casi di violenze sessuali nei confronti dei minori di 10 anni. Anche il Parlamento locale dello Stato di Taraba ha approvato una norma simile, dove la soglia d’età delle vittime viene innalzata a 14 anni. 

Lo Stato del Niger ha, invece, imposto la pena capitale per chiunque si renda complice, mediante scambio di informazioni, supporto, istigazione e favoreggiamento, di rapimenti e furti di bestiame. Gli atti in sé, di rapimento e furto di bestiame, erano già punibili con la pena di morte in Niger e in altri Stati nigeriani. 

Eppure, mentre le carceri si affollano di detenuti nel braccio della morte, in Nigeria la pena capitale non viene applicata dal 2016. Nel luglio 2021, il ministro degli Interni Rauf Aregbesola ha fatto richiesta ai governatori statali, affinché firmassero i mandati di esecuzione per quei detenuti che non potevano più ricorrere in appello e per cui non vi erano le condizioni per la concessione della grazia. 

L’appello è caduto nel vuoto, anche grazie alla mobilitazione della società civile e di organizzazioni, come il Progetto di assistenza e difesa legale nigeriano, che si battono per l’abolizione della pena capitale nel Paese. Dopotutto lo stesso ministro Aregbesola, che ha accusato i governatori di congestionare il sistema giudiziario, negli otto anni del suo governatorato nello Stato di Osun non ha mai firmato alcun mandato di esecuzione.

All’origine della questione c’è il nodoso problema del sovrappopolamento delle carceri. Secondo i dati del Servizio di correzione nigeriano, la popolazione carceraria supera i 74 mila detenuti, di cui il 70% si trova ancora in attesa di processo. I centri di detenzione, circa 240 in tutto il Paese, ospitano mediamente il 40% di prigionieri in più rispetto alla capienza ufficiale. Stando al già citato rapporto di Amnesty, che fotografa la situazione alla fine del 2021, il numero di detenuti nel braccio della morte in Nigeria ammonta ad almeno 3.036, di gran lunga il più alto in Africa subsahariana, nonché il terzo al mondo dopo Iraq e Pakistan.

 

Chi sarà il prossimo?

Oggi diversi Stati subsahariani “abolizionisti in pratica” si interrogano sul destino delle centinaia di detenuti bloccati in questo limbo dato dalla mancata applicazione della pena di morte e dal mantenimento in vigore di quelle leggi che ne legittimano la condanna.

A quattro anni di distanza dalla sentenza “Muruatetu & al. vs Repubblica del 2017, nella quale si dichiarava incostituzionale la pena di morte per accuse di omicidio, il 6 luglio 2021 la Corte suprema del Kenya ha pubblicato un regolamento recante nuove istruzioni sulla sua implementazione. 

Insoddisfatta per la mancata ricezione delle prime indicazioni da parte del procuratore generale e del Parlamento, la Corte ha chiarito che, nonostante la sentenza del 2017 non si applichi a reati come tradimento, rapina violenta e attentata rapina violenta, anche in questi casi si deve evitare il ricorso alla pena di morte, fino al momento della sua completa abolizione.

In vari Paesi subsahariani, tra cui val la pena citare Malawi, Ghana e Zimbabwe, assistiamo alla crescente insofferenza per un istituto giuridico, come quello della pena capitale, che affonda le sue origini nel colonialismo europeo

Il ricorso alla pena di morte, in epoca pre-coloniale generalmente raro e circoscritto a considerazioni di equilibrio sociale, mutò radicalmente con l’introduzione dei codici europei e l’istituzione dei processi penali, all’interno di regimi dove lo Stato coloniale si eleggeva a inquirente, giudice e boia. La pena di morte fu, infatti, strumento legale per assicurarsi il controllo sulle popolazioni e stroncare sul nascere le resistenze al potere coloniale

Se oggi assistiamo al coagularsi di un’opinione pubblica e di una volontà politica contraria al mantenimento della pena capitale, gran parte del merito va alle centinaia di organizzazioni locali e internazionali che si battono, tra le altre cose, per l’adozione della bozza di protocollo presentata dalla Commissione africana sui diritti dell’uomo e dei popoli nel 2015. A chiederne l’applicazione, preparando campagne di sensibilizzazione e gruppi di pressione, sono organizzazioni come Centro per i diritti umani con sede in Botswana, la Federazione internazionale delle azioni cristiane per l’abolizione della tortura e i membri della Coalizione mondiale contro la pena di morte

 

 

 

Fonti e approfondimenti

Amnesty International Global Report. 2022. Death Sentences and executions 2021

Death Penalty Information Center. 31/05/2022. Zambia, Central African Republic move to abolish death penalty.  

FIACAT. consultato il 16/01/2023. Abolition of death penalty in Africa.

Novak Andrew, “Why the death penalty is losing favour in sub-Saharan Africa”, The Conversation, 01/08/2015.

Okereke Caleb, Kisesi Patricia, “The Death Penalty isn’t African. It’s a legacy of colonialism”, Foreign Policy, 11/11/2021. 

Obiagwu Chino Edmund, “Rethinking Nigeria’s policy on death penalty”, Sahara Reporters, 03/08/2021. 

 

 

 

 

Editing a cura di Beatrice Cupitò

Be the first to comment on "L’abolizione della pena di morte in Africa subsahariana"

Leave a comment

Your email address will not be published.


*