Gli effetti della Brexit si fanno sentire anche sull’altra sponda dell’Oceano Atlantico, e non sembrano portatori di buone notizie. Il rapporto tra Washington e Londra è sempre stato stretto, tanto da legare a doppio filo gli interessi dei due paesi fin dal dopoguerra. Il Regno Unito è sicuramente il maggior alleato degli Stati Uniti in Europa ed è quindi lecito aspettarsi un cambio del rapporto di Washington con l’intero continente dopo il Brexit.
Il risultato del referendum non interesserà gli Stati Uniti solo dal punto di vista strategico: l’economia, la corsa alla Presidenza e la trattativa del TTIP risentiranno degli effetti di questo evento. Come abbiamo visto patlando degli effetti della Brexit sulla Russia, inoltre, il confronto tra le due potenze potrebbe essere molto influenzato dall’uscita inglese dall’UE.
Peter Cook, portavoce del Pentagono, ha annunciato a poche ore dalla vittoria del Brexit che Stati Uniti e Regno Unito continueranno ad avere quella che lui stesso definisce un “rapporto speciale” riguardo i temi della sicurezza globale, ma tagliato il cordone con l’UE Londra diventa un alleato meno importante per la politica estera di Washington.
Il Regno Unito è storicamente il portatore degli interessi americani in sede di istituzioni europee insieme a Polonia e repubbliche baltiche, che però non hanno assolutamente lo stesso peso politico e diplomatico. Questa influenza diminuirà dopo l’uscita britannica dall’UE e, nonostante resti forte l’impegno congiunto USA-UK in sede NATO, viene meno un tassello importantissimo della strategia americana nel vecchio continente.
L’interessa degli Stati Uniti in Europa riguarda soprattutto la situazione dell’Ucraina, parte di un più ampio progetto di contenere quella che al Pentagono è definita “espansione dell’area di influenza Russa”. Il Regno Unito è stato il grande oppositore del ritiro delle sanzioni imposte dall’UE a Mosca, sanzioni che potrebbero ora quindi essere attenuate se non ritirate, essendo particolarmente invise a Francia, Germania e Italia.
Ivo Daalder, ambasciatore statunitense presso la NATO, ha inoltre segnalato come qualsiasi avvenimento capace di dividere l’Europa sia una vittoria per la Russia, e quindi una sconfitta per la strategia di contenimento della superpotenza degli Stati Uniti. La stessa spinta propulsiva che il Brexit potrebbe dare ai movimenti nazionalisti anti-europeisti potrebbe contribuire a questo processo temuto da Washington.
Sempre dal punto di vista strategico sono stati espressi timori di come un Regno Unito provato da un’eventuale crisi economica successiva all’uscita dall’Unione potrebbe non essere in grado di spendere il 2% del proprio PIL che promette di destinare alla Difesa. Con questi soldi Londra contribuisce largamente alla NATO e alla missione in Afghanistan.
I fiorenti rapporti commerciali USA-UK potrebbero risentire di un’eccessiva svalutazione della sterlina. Un eccessivo recupero del dollaro potrebbe intaccare quella quota del 12% del totale delle importazioni britanniche provenienti dagli Stati Uniti, che potrebbero diventare troppo onerose per Londra.
Al prossimo presidente degli Stati Uniti spetterà quindi il compito di decidere se cercare nuove alleanze forti tra le potenze europee, principalmente Francia e Germania, fatto che potrebbe indebolire lo storico rapporto con il Regno Unito forgiato durante il dopoguerra. La stessa elezione del successore di Obama potrebbe essere in parte influenzata dal referendum britannico.
L’effetto del Brexit si sarebbe fatto sentire anche nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti. A farne le spese sarebbe stato Donald Trump, candidato conservatore che ha visto crescere fino a 13 punti il distacco dall’avversaria democratica Hillary Clinton. Le preferenze per i candidati nei sondaggi si attestano oggi rispettivamente a 46,6% e 33,3%, mentre ben il 20,% degli intervistati non parteggia per nessun candidato.
La campagna a favore della Brexit condivide infatti alcuni elementi con la retorica di Trump: astio verso l’immigrazione e le elitès cosmopolite, retorica dell’indipendenza e della grandezza nazionale e inversione dell’integrazione internazionale. Gli esiti del Brexit nei prossimi quattro mesi potrebbero quindi fungere da test sul campo per le istanze della campagna repubblicana.
TTIP
In quanto alfiere degli interessi statunitensi, il Regno Unito è stato uno dei maggiori promotori dell’implementazione del TTIP nell’Unione Europea, processo per cui ora si aprono nuovi scenari.
L’attivazione dell’accordo entro il 2016 era già poco probabile e ora, perso il suo più grande sostenitore e diventata una preoccupazione assolutamente secondaria dell’Unione, possiamo darla per sfumata. In futuro sarà improbabile un ritorno sulla scena politica di tale accordo, visto anche come il Brexit probabilmente farà diminuire l’influenza americana nel nostro continente.Resta da capire se è possibile aspettarsi una trattativa separata del Regno Unito per entrare nell’accordo da solo.
Ciò che è sicuro è che i promotori del TTIP, perso il loro campione, avranno vita difficile nei prossimi anni, e il processo di rigetto dell’accordo sembra già iniziato, viste le dure posizioni espresse sull’accordo dal premier francese Valls a poche ore dalla Brexit, da lui definito pericoloso e dannoso per l’Europa.
Fonti e Approfondimenti
Effetti del Brexit nel mondo: https://lospiegone.com/tag/brexit/
Informazioni sul TTIP: https://lospiegone.com/tag/ttip/
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