Kashagan: oro nero in Kazakhstan

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il 12 ottobre scorso il ministro dell’energia Kazako Kanat Bozumbaev ha annunciato la ripresa delle attività di estrazione petrolifera nel Kashagan: il più grande giacimento di petrolio degli ultimi 40 anni è infatti una delle poche speranze per l’economia kazaka, che si poggia quasi del tutto sull’export di petrolio e gas naturali. Il Kashagan, che si trova nella parte nord del Mar Caspioè tra i dieci più grandi giacimenti di petrolio del mondo e al primo posto tra i campi petroliferi nello spazio post-sovietico. Scoperto 16 anni fa, nell’ormai lontano 2000, è entrato per la prima volta in funzione nel 2013, dopo circa 8 anni di ritardi dovuti per lo più alle difficili condizioni climatiche: un ambiente particolarmente ostile, con inverni rigidissimi dove la temperatura scende a -40°, ed estati afose con il termometro oltre i 40°, un mare profondo pochi metri sotto cui si cela un enorme giacimento di petrolio e gas ad oltre 5000 metri di profondità.

Inizialmente inaugurato nel 2013 il Kashagan ha subito ingenti danni strutturali dopo pochi test, un danneggiamento dei tubi fondamentali, dovuto principalmente alla grande presenza di solfati contenuti nel petrolio e nel gas, che salgono in superficie con una pressione e a una temperatura molto alte, e con una enorme potenza corrosiva. Le operazioni sono state quindi bloccate per riparare i danni, sostituendo i tubi con costose condutture formate da una lega di nichel, e l’avvio della produzione è stato posticipato. Considerato in un primo momento come  “il più grande fallimento dell’industria petrolifera”, dovuto anche in parte al superamento dei costi già sostenuti: originariamente il progetto sarebbe dovuto costare circa 38 miliardi di dollari, invece ad oggi ne sono stati spesi più di 53 miliardi.

Si ritiene che il Kashagan contenga circa 1 miliardo di metri cubi di gas e 13 miliardi di barili di greggio, ma secondo il consorzio petrolifero che controlla il sito North Caspian Operating Company (NCOC), formata dalla locale KazMunayGas (16,88%), Eni (16,81%), ExxonMobil (16,81%), Shell (16,81%), Total (16,81%), la Cnpc (8,33%) e Inpex (7,56%), potrebbero esserci fino a 38 miliardi di barili, che solamente grazie ad ulteriori esplorazioni e tecnologie migliori sarà possibile estrarre.

Dopo circa 3 anni dal guasto tecnico la produzione petrolifera è stata riattivata, ottenendo circa 90’000 barili di greggio al giorno. La NCOC e il governo kazako sperano di raggiungere in un paio d’anni 370’000 barili al giorno. Secondo il ministero dell’energia kazako ci potrebbe ipoteticamente essere una seconda fase, la quale potrebbe portare alla produzione di circa 1 milione di barili al giorno. Il greggio viene trasportato dallo stabilimento tramite dei condotti al porto russo di Novorossiysk e in Cina, grazie all’azienda statale KazTransOil.

Come la maggior parte dell’economie post-sovitiche, anche quella kazaka si poggia su quella russa. La recessione a Mosca, che in realtà ha cominciato a manifestarsi solamente quando i prezzi del petrolio e del rublo hanno iniziato a scendere, nella seconda metà del 2014. Le previsioni della crescita del PIL per il prossimo anno sono di circa l’1% di crescita. Il Kazakhstan dipende ancora dalle esportazioni di petrolio per oltre il 60 % delle entrate pubbliche totali e rappresentano 1/4 del suo PIL.

Se da un lato le compagnie petrolifere non sono riuscite ad incrementare i propri guadagni a causa dei bassi prezzi del petrolio, ad Astana sono stati in grado di sfruttare i vantaggi del valore di una moneta sempre più debole, che, rispetto al 2013, ora vale meno della metà.

Ciò ha contribuito a ridurre i salari del personale ed i prezzi di alcuni beni e servizi per le aziende petrolifere del Kazakhstan. Alcuni lavoratori locali hanno reagito organizzando manifestazioni che il governo è riuscito a placare solo rinnovando alcuni contratti.

L’economia kazaka si basa quasi interamente sul commercio di idrocarburi, per questo il rilancio dello stabilimento di Kashagan potrebbe portare linfa vitale nelle casse dello Stato. Ma, secondo la maggior parte delle previsioni, il prezzo del petrolio rimarrà al di sotto di 50-55 dollari al barile nel 2017. Tra un’offerta globale sempre più grande e una domanda più debole da parte dei consumatori più importanti come Cina e  India, il rischio è che la più grande economia dell’Asia centrale venga travolta da un vero e proprio caos.

 

 

Fonti e approfondimenti

http://thediplomat.com/2016/10/kashagan-restart-gives-kazakhstan-hope/

https://www.oilandgaseurasia.com/en/news/kazakhstan-ships-first-oil-kashagan-field-export

http://www.rferl.org/a/qishloq-ovozi-kazakhstan-kashagan/28051575.html

http://www.oedigital.com/component/k2/item/13712-kashagan-exports-first-batch-of-oil

http://www.bloomberg.com/news/articles/2016-10-14/oil-from-50-billion-kashagan-field-starts-flowing-for-export

http://www.economist.com/news/business/21623693-one-worlds-biggest-oil-projects-has-become-fiasco-cash-all-gone

http://oilprice.com/Energy/Energy-General/The-Oil-Crash-Nightmare-For-Kazakhstan.html

http://www.ncoc.kz/en/kashagan/export_strategy.aspx

 

Leave a comment

Your email address will not be published.


*