La fine della guerra in Siria inizierà ad Helsinki?

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il meeting tra Trump e Putin del 16 luglio è di gran lunga l’evento più atteso in Medio Oriente. Da Riad a Teheran passando per Tel Aviv e Ankara tutti avranno l’orecchio ben teso a Nord dove potrebbe decidersi il futuro della guerra in Siria e con essa dell’intera regione.

 

La grande trattativa

Tutti i media internazionali stanno già vendendo l’evento come la storia delle due grandi potenze pronte a discutere una soluzione al caos mondiale, e mediorientale in particolare. Questo però, possiamo esserne sicuri, non succederà. Come lo sappiamo? Beh, perché non si può trattare su qualcosa che è già deciso. Come molti analisti dell’area hanno già sottolineato e fatto notare, è necessario ricordare che non ci sono molti argomenti su cui negoziare, ma solo molte realtà di cui prendere atto. Tra queste compaiono sicuramente la riconquista da parte del governo di Assad della quasi totalità della Siria, le posizioni iraniane nel conflitto siriano e nel resto del Medio Oriente, la capacità militare russa nel quadrante e l’estrema forza di alcuni non state actors, come Hezbollah e Hamas.

L’immagine dei due leader mondiali, seduti ad un tavolo che discutono i destini del mondo è ormai materiale solo per i nostalgici della Guerra Fredda. Nessuno si aspetti che a Putin basti schioccare le dita perché Iran e Siria cambino atteggiamento, lo stesso dicasi di Trump nei confronti di Israele e Arabia Saudita. D’altronde le posizioni sul campo sono già decise e i russi con i propri alleati sono in vantaggio.

Quello che potrebbe succedere dunque è che una delle due parti lasci formalmente all’altra le redini del gioco e accetti di essere un comprimario. Vista la situazione, Trump è il miglior candidato a fare questa mossa. Molti sostengono che il Presidente potrebbe cedere su tutto il fronte mediorientale e chiedere a Putin una promessa scritta: avere tatto e mantenere i privilegi, già presenti, di Israele e Arabia Saudita. Una cessione di esclusiva che non deve essere letta come sudditanza o come la nascita di un nuovo ordine unipolare con al centro Mosca, ma piuttosto come il tentativo del Presidente USA di abbandonare una guerra in cui l’amministrazione ha sempre sbagliato e per cui non ha una strategia.

 

Un leader per caso

Detto ciò, un buon ragionamento potrebbe essere che, se Trump è indietro nel punteggio e possibilmente pronto a ritirarsi, è Putin che ha azzeccato tutte le mosse di una strategia vincente in Medio Oriente? In realtà no: la Russia ha semplicemente seguito un istinto realista volto a difendere i propri punti di forza, senza però avere nessun  grande piano per gestire l’area sul lungo termine.

Putin non detta la linea d’azione, non potrebbe. Ciò che può fare e sta facendo è dialogare con ogni attore coinvolto, ascoltarne le diverse versioni ed esigenze e cercare poi, con grande attenzione, di trovare il compromesso e accontentare tutti.  Il capo del Cremlino è infatti rimasto l’unico attore internazionale ad avere rapporti con tutti gli altri. Trump si è chiuso nella sua stretta cerchia di alleati, Israele e Arabia Saudita; l‘Unione Europea si è esclusa da sola con i propri dissidi interni e la Cina non si sente ancora pronta a giocare in prima persona. La conseguenza è che Putin si è ritrovato come il soldato che si rende volontario non perché ha fatto un passo avanti, ma perché tutti gli altri ne hanno fatto uno indietro.

 

Putin ha già vinto

L’incontro di Helsinki, comunque vada, sarà una vittoria per il Presidente russo che di fatto ha già vinto in Siria: il regime suo alleato è sopravvissuto, tutti lo cercano per dialogare, da Netanyahu a Rouhani dai cinesi ai Sauditi, e per giunta Washington è stata costretta a riconoscerne la crescente centralità.

E’ per questo che i Democratici americani in queste ore tuonano affinchè Trump si ritiri dall’incontro all’ultimo momento, ma questo non accadrà e una volta che i presidenti si troveranno faccia a faccia, Putin avrà compiuto un miracolo diplomatico insperato per una potenza come la Russia. La parità diplomatica rispolvererà un prestigio che non si vedeva dai tempi di Brezniev.

Nel frattempo, il Medio Oriente sembra pronto a riaffermare il proprio passato di amicizia con i sovietici prima e con Putin adesso. Al Cairo, ad esempio, Al Sisi ha riaperto un’importante ala del museo di Nasser sul rapporto con l’amico sovietico. Il Supremo Leader iraniano Ali Khamenei poi ha fatto sapere che non è preoccupato dal dietro-front americano sul JCPOA perché i russi prenderanno il posto di Washington in tutti i contratti economici. Al pari di molti altri stati dell’area, Egitto e Iran si aspettano grandi cose da un presidente che tutto può e non deve rispondere a nessuno in patria.

 

Dov’è la fregatura?

Immaginiamo però che Putin, perfettamente consapevole del suo successo politico, si stia chiedendo: dove mi sta fregando l’occidente? Tra gli addetti militari russi in Siria è molto presente un certo grado di scetticismo alimentato dall’apparente docilità degli Stati Uniti di Trump nell’accettare, ad esempio, proposte di scambio di informazioni o di spostarsi da una zona in cui sarebbero arrivate bombe russe. La domanda che quindi circola tra gli alti ufficiali è: perchè lo fanno? 

Una delle paure di Mosca e Damasco è che gli Stati Uniti stiano cedendo le redini del gioco alla Russia per metterla alla prova. Si sa infatti che chi conduce il gioco spende di più, ha più responsabilità e non può curarsi esclusivamente dei propri interessi.

Gli ufficiali russi però non sono così convinti di questa cosa. Per adesso un pragmatico, se non cinico, realismo li ha portati avanti. Sanno perfettamente di non poter controllare tutto, ma allo stesso tempo, non dovendo rispondere ad alcuna platea elettorale democratica, non hanno paura di lasciare alcune zone nel caos. Che vi sia una guerra civile in alcune parti della Siria o che altre non siano sottoposte al diretto controllo russo non sono in realtà questioni che preoccupano Mosca. L’unica priorità è difendere i propri interessi a tutti i costi.

 

La guerra siriana finirà?

Se tutto quello di cui abbiamo parlato sopra domani accadrà, la guerra in Siria potrebbe realmente finire nel giro di pochi mesi. Se Idlib cadesse e se i Sauditi dovessero tagliare i fondi ai ribelli, non ci sarà più alcun grande ostacolo tra Assad e la riconquista dell’intero territorio.

Gli Israeliani, i Giordani e i Sauditi hanno ormai accettato che Assad sarà” sul trono” anche alla fine della guerra. Quale sarà però il volto della Siria dopo sette anni di scontri? Con quasi 4 milioni di sfollati, un milione di morti o dispersi e intere città in macerie il paese non è più quello di una volta, anche grazie all’opera di spostamento delle popolazioni su base etnica che sta portando avanti Assad. Bisognerà capire, come la Siria potrà riniziare a vivere dopo un tale conflitto.

 

 

Fonti e Approfondimenti

https://www.belfercenter.org/publication/trump-handing-putin-victory-syria

https://www.al-monitor.com/pulse/originals/2018/07/russia-us-summit-syria.html?utm_campaign=20180713&utm_source=sailthru&utm_medium=email&utm_term=Daily%20Newsletter

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