Martinica, Aimé Césaire e la Negritudine. Parte 1
Terminato il periodo di studi a Parigi, Césaire ritornò presto alla sua patria, dove si candidò, con successo, sia alle elezioni per diventare sindaco della capitale Fort-de-France, che a quelle per essere eletto deputato presso l’Assemblea nazionale francese. Sin dai primi anni di governo, il poeta divenuto politico si dovette scontrare con la frangia più indipendentista della sinistra. Nonostante le sue posizioni fossero dirette a un riconoscimento della nazione martinicana, nella pratica decise piuttosto di lottare per l’annessione alla Francia, seguendo, come sempre ha fatto durante la sua carriera politica, le richieste e le necessità del popolo.
Nel 1959, al II Congresso degli scrittori e degli artisti negri, tenutosi a Roma, affermò: “Checcé se ne possa dire, non c’è mai carenza di sentimento nazionale. Sempre e dovunque esiste il sentimento nazionale. Ma questo sentimento, bisogna rivelarlo. Bisogna esaltarlo; in un mondo di falsi valori, bisogna ridargli il suo giusto valore”.
L’annessione alla Francia
Già nel 1946, in controtendenza apparente con quanto avrebbe dichiarato 13 anni dopo, ottenne l’annessione delle colonie allo Stato francese. Con la legge di dipartimentalizzazione che rese Martinica, Guadalupa, la Guyana francese, Riunione e, più tardi, Mayotte, dei Dipartimenti d’Oltremare, si smembrò l’Impero coloniale francese.
Come raccontò Victor Sablé del viaggio di ritorno in Martinica, all’indomani del voto, l’accoglienza dei conterranei non avrebbe potuto essere più calorosa. Nel dover scegliere tra il rischio di rimanere in una situazione economica disastrosa e quello di venir “assimilati” alla Francia, i deputati combatterono per la seconda: “Sbagliamo a continuare ad avere come referenza la cultura francese, Voltaire, Rousseau, Hugo e a non beneficiarne?” si chiese Sablé. La volontà di Césaire, e dei colleghi Sablé e Bissol, era di entrare a far parte, a pieno titolo, dello Stato francese, mantenendo, però, un maggiore potere decisionale, affinché le peculiarità di ogni Dipartimento potessero essere dibattute e tramutate in leggi utili alla sovranità dei popoli e al loro benessere economico e sociale.
Purtroppo, le illusioni della massa, fomentate dalla classe borghese interessata all’annessione, svanirono presto. Già negli anni ‘50 l’esuberanza iniziale si spense, si formano gruppi politici che dapprima chiesero una costituzione federalista, quindi un’autogestione e, infine, l’autonomia per la nazione martinicana.
Annessione o autonomia?
Il tema dell’autonomia risultò essere un terreno di scontro molto forte all’interno della sinistra martinicana. Nel 1956, Césaire si allontanò dal Partito Comunista a causa della sua politica assimilazionista. Alcuni analisti, rispetto a questo argomento, hanno visto in Césaire una sorta di ambiguità. Perché, dopo aver professato, e continuato a farlo per tutta la vita, di essere contrario all’assimilazione (politica e culturale), si batté per l’annessione alla Francia? Cosa pensare di un uomo che incitava l’Europa a prendere “l’iniziativa per una politica delle nazionalità” nelle Antille e che, nel 1962, riconobbe che l’assimilazione rimaneva un’ipocrisia e un imbroglio?
Le risposte sono varie, una tra queste viene fornita da Césaire stesso: “Voi trovate che c’è una sorta di hiatus tra il mio pensiero teorico e la mia azione pratica? Ma è vero, perché il mio pensiero teorico s’inscrive nell’assoluto e la mia azione pratica in un contesto ben determinato. […] Esiste una dottrina e un’azione”.
Se sia, o meno, colpa della contingenza è tutto da determinare. E’ certo, però, che una parte dell’intellighenzia antillana era dominata dall’ideologia assimilazionista, se stessa, nonostante tutto, vittima della cultura e della civilizzazione borghese europea.
Momenti e movimenti di protesta
Questo, però, non fermò i movimenti indipendentisti e di protesta. Primi fra tutti i moti del 1959. Per tre giorni moltissimi giovani antillani si ritrovarono a manifestare a seguito di un alterco tra un antillano e un metropolitano (un francese europeo) per un incidente stradale. Le forze dell’ordine, incapaci di mantenere il controllo, arrivarono ad uccidere 3 manifestanti di 15, 19 e 20 anni.
Poco dopo, nel 1962, nacque l’O.J.A.M. (Organisation de la Jeunesse Anticolonialiste de la Martinique) che, attraverso lo slogan “La Martinique aux Martiniquais”, creò un nuovo focolaio anti-imperialista sull’esempio della Guerra d’Algeria, alla quale, tra gli altri, partecipò attivamente anche Frantz Fanon. Martinicano di nascita, psichiatra e scrittore di professione, anticolonialista e antimperialista di vedute politiche, Fanon fu un grande amico di Sartre, il quale scrisse la prefazione al capolavoro del martinicano: “I Dannati della Terra” (1961).
Passarono gli anni e la tensione non accennò a diminuire. Nel 1971 la polizia uccise un liceale in protesta in occasione della visita di un ministro della Repubblica. Gli anni ’80, invece, si caratterizzarono per numerosi attacchi dinamitardi contro le sedi delle autorità statali.
La società martinicana tra passato e presente
Oltre che nei rapporti con la Francia, rimase alta anche la tensione interna, a causa di manifestazioni di protesta contro il potere dei békés, termine con cui si indicano i bianchi discendenti degli schiavisti che dominavano (e continuano a dominare) la Martinica. Nel 1961, a seguito di uno sciopero dei lavoratori agricoli a Le Lamentin, nella zona centrale della Martinica, ci furono degli scontri con le forze dell’ordine arrivate a proteggere un béké, il quale era stato accerchiato dentro un’abitazione dopo che lo stesso aveva insultato e deriso gli scioperanti. Negli scontri morirono tre manifestanti. Il discorso che fece Georges Gratiant, sindaco di Le Lamentin, il giorno del funerale, passò alla storia con il nome di “Discorso sulle tre tombe” e, ancora oggi, rappresenta un forte grido di protesta contro i nuovi schiavisti, le loro dottrine politiche e le loro pratiche economiche.
Nel 2010, a due anni dalla morte di Aimé Césaire, il governo dell’isola, scontento dello statuto di Dipartimento e del supporto economico da parte della Francia, ha indetto un paio di referendum in cui domandava ai cittadini di cambiare ordinamento. Grazie a ciò, ora la regione ha uno statuto speciale, simile a quello della Guyana francese, che le concede maggiori libertà rispetto a tutti gli altri Dipartimenti.
Per quanto riguarda, invece, i problemi di convivenza all’interno dell’isola, sembra che non si riesca a trovare una facile soluzione. Perplime pensare al fatto che, ancora oggi, le parole scritte nel 1955 da Michel Leiris nel descrivere, così brevemente, la più palese contraddizione della società martinicana, siano tuttora valide:
“Una società in cui la classe dominante comprende soltanto un piccolo numero di persone e in cui la classe intermedia è essa stessa molto ridotta, la grande differenza del livello di vita è uno degli elementi più immediati che colpiscono l’osservatore, differenza resa ancora più sensibile da un quadro geografico assai ristretto, che non permette di mascherare la coesistenza fra miseria e ricchezza”.
L’autore, redattore dell’inchiesta finanziata dall’UNESCO e pubblicata nel 1955, dal titolo “Contacts de civilisations en Martinique et en Guadeloupe”, aveva l’obiettivo di realizzare “un inventario critico dei metodi e delle tecniche usate per facilitare l’integrazione sociale di gruppi che non partecipano pienamente alla vita della comunità nazionale francese a causa delle loro caratteristiche etniche e culturali”.
Che sia per colpa delle “caratteristiche etniche o culturali”, o per la mancanza di volontà da parte di entrambi gli schieramenti che il popolo martinicano non si senta pienamente integrato nella vita della comunità nazionale, è difficile da capire. Certo è che le differenze, così come scritto da Leiris, si notano. Si notano all’interno della stessa città, Fort-de-France, così come si vedono se, dandole le spalle, ci si rivolge verso il mare dove, dalla parte opposta dell’omonima baia, sorge il borgo di Les Trois-Îlets.
Come da ammissione degli stessi cittadini, questo piccolo borgo è un ghetto dei bianchi. Uno dei due centri più importanti di una zona quasi indipendente dell’isola. Una zona dove, se incontri un nero, è perché sta chiedendo l’elemosina o perché lavora dietro a un bancone, una zona dove esiste una compagnia di trasporti privata (dato che l’azienda pubblica Mozaik è spesso e volentieri bloccata e i suoi dipendenti in sciopero) e dove c’è la maggiore concentrazione di aziende e servizi per il turismo, oltre che l’organizzazione migliore per l’accoglienza di barche private, un motore economico rilevante per tutte le Piccole Antille.
Verrebbe da pensare che, ormai, le scuole pubbliche e la convivenza forzata abbiano avvicinato questi due mondi apparentemente così distanti. Eppure i risentimenti e le distanze, anche se solo per motivi futili, continuano a sopravvivere. Come se la civilizzazione e la scolarizzazione del popolo martinicano e l’annessione dell’isola tutta al territorio francese non riesca a scalfire un innato orgoglio, un ricordo inconscio di un passato lontano, ma non indelebile, che di tanto in tanto ritorna nelle menti dei discendenti degli schiavi.
A loro, agli abitanti di Fort-de-France, non quelli rapiti e alienati alla logica borghese europea, ma quelli che guardano con disinteresse dall’altra parte della baia, verso Les Trois-Îlets, verso quel mondo che gli viene volutamente privato, è stato lasciato il testamento di Aimé Césaire. Un lascito che ricordi a tutti i suoi concittadini e a tutto il mondo nero che non è con il razzismo che si combatte il razzismo, né con l’odio che si combatte l’odio, ma solo attraverso l’accettazione della propria condizione e l’esaltazione della stessa, che si può iniziare veramente a combattere per un cambiamento.
Fonti e approfondimenti
- Césaire A, Che cos’è la Negritudine, Frontierenews
- Celano M, Discorso sul colonialismo: la menzogna della “missione-civilizzatrice”, IlSudEst.it
- Benelli G, Aimé Césaire, La Nuova Italia, Firenze, 1975