All’indomani del voto in Italia: molti sconfitti, pochi vincitori

Europeismo italiano
@Pava - commons.wikimedia.org (CC-BY-SA)

Commentare il risultato di una tornata elettorale come quella appena passata è un compito assai arduo per una serie di motivi. In primis, il voto di domenica non ci dice da chi sarà formata e guidata la prossima Commissione, né sappiamo con certezza chi guiderà il Consiglio europeo o quale volto governerà la BCE. A pochi giorni dal voto non possiamo sapere neanche chi andrà a ricoprire il ruolo di presidente del Parlamento, di cui conosciamo la composizione così come uscita dal voto, ma non ancora i rapporti di forza al suo interno. A livello nazionale, poi, il clima della campagna elettorale permanente fa sì che neanche dopo l’ultimo di una lunga serie di appuntamenti elettorali si possa essere certi della direzione che prenderà il Paese.

Quali certezze? Da quale dato oggettivo partire? Tra i vari annunci di vittoria è meglio partire, forse, dalla constatazione delle sconfitte.

Gli sconfitti

La caduta del Movimento 5 Stelle

Il Movimento 5 Stelle ha perso queste elezioni. Ha perso in primis sul piano europeo, non solo per il risultato non soddisfacente, ma soprattutto per la mancanza di prospettive di lungo termine. Il gruppo politico di EFDD ha il 7% e perderà 29 dei 44 seggi all’uscita dei deputati britannici del Brexit party di Nigel Farage. Con un solo seggio dei croati di Živi zid e 14 del M5S il gruppo politico non potrà riformarsi, gli spazi di manovra per gli eurodeputati di questa formazione sono seriamente compromessi, sarà impossibile incidere nel processo di decision making all’interno delle commissioni parlamentari.

Sul piano nazionale il passaggio da primo a terzo partito nel giro di un anno è dato dalla scarsa capacità di mobilitare elettori, con il risultato che buona parte delle preferenze conquistate nelle politiche sono passate alla Lega e al Partito Democratico. Entrambi i partiti devono il loro successo proprio ai demeriti dei grillini. Non è bastato un anno di governo in cui buona parte delle politiche varate dall’esecutivo fossero cavalli di battaglia dei 5 Stelle: il reddito di cittadinanza, il decreto dignità o il taglio dei vitalizi hanno paradossalmente comportato meno consensi rispetto alla retorica dei “porti chiusi”, senza neanche emettere un decreto, del ministro dell’interno.

Restano gli effetti catastrofici delle misure adottate sui conti pubblici e il dubbio che problematiche concrete e complesse come la povertà non si risolvano tramite decreto-legge. Resta un governo che, nonostante sia appoggiato da una maggioranza a trazione 5 Stelle, da domenica dovrà rispondere in primis alle direttive della Lega e, molto probabilmente, si manterrà in piedi fino a quando farà comodo a Matteo Salvini.

La delusione Più Europa, l’inconsistenza Verde e l’inesistenza della Sinistra

Anche a destra e a sinistra del Partito Democratico due sconfitti: Più Europa ed Europa Verde. La delusione principale viene dal risultato di Più Europa. Non è bastato il campo di gioco delle europee teoricamente “in casa”, né la presenza di Emma Bonino tra la rosa dei candidati dell’ALDE per far superare la soglia di sbarramento del 4%. Non è bastata neanche una comunicazione molto più coerente e diretta rispetto ad altre forze di opposizione, tale da far emergere chiaramente le differenze sostanziali tra il programma degli europeisti e le politiche messe in piedi dal governo. In una tornata elettorale in cui i liberali conquistano grande consenso in tutta Europa, in Italia faticano ad arrivare al minimo sindacale per entrare in Parlamento. Stesso discorso vale per i Verdi italiani, che in un contesto europeo di affermazione a livello continentale delle istanze ecologiste non riescono ad affermarsi come forza politica in Italia.

Questo ci dice molto sull’anomalia del nostro Paese. L’Italia si riconferma il malato d’Europa e fa fatica a seguire alcune traiettorie politiche in atto a livello continentale, in questo contesto alcune proposte come quelle relative alla spesa pubblica promosse da Più Europa sono politicamente poco digeribili.

L’altro centrodestra sul Carroccio del vincitore

Delude il risultato di Forza Italia, appena l’8,8% lontano dal 10% indicato come obiettivo. Una sconfitta annunciata già da tempo e ben visibile da molto prima delle elezioni europee. Basta vedere quanti, tra le fila degli amministratori locali fino ad arrivare al capogruppo FI al Parlamento Elisabetta Gardini, abbiano abbandonato il gruppo salendo sul “Carroccio” del vincitore Salvini o transitando verso Fratelli d’Italia. I numeri parlano chiaro, la maggior parte dei voti catalizzati alle scorse politiche vanno verso la Lega, una buona parte rafforza il partito dell’astensione e quel che resta va a Fratelli d’Italia.

Quest’ultima formazione non ha perso. Il partito di Giorgia Meloni, con il 6,5% raddoppia i voti rispetto alle Europee del 2014 e sale rispetto alle Politiche del 2018. La strada verso un governo al 100% sovranista non è più in salita: da soli Lega e Fratelli d’Italia potrebbero governare con il 40% e senza Berlusconi. Un governo all’opposizione sia nei tavoli intergovernativi che nel Parlamento europeo, con buona pace di chi fino a qualche tempo fa sosteneva di poter controllare i sovranisti in Europa sedendo comodamente nel PPE.

Due vincitori senza trofeo

Il risveglio del Partito Democratico?

Le Europee del 2014 segnarono per il Partito Democratico di Matteo Renzi la legittimazione elettorale che ancora mancava al suo governo. Parallelamente alla stagione riformatrice, il partito visse una diminuzione graduale di consensi che si concluse con le elezioni politiche del 2018. La scorsa domenica Nicola Zingaretti non ha raggiunto un risultato speculare a quello di cinque anni fa, ma ha comunque vinto la sfida principale: superare il Movimento. In parte per meriti propri, in parte per demeriti grillini l’obiettivo è stato raggiunto con ben 5 punti di scarto. Né i militanti, né tantomeno la dirigenza del suo partito hanno chiesto al segretario Dem di emulare il 40% delle scorse europee. Quello che ora i militanti e gli elettori del PD (compreso qualche astenuto, gli elettori di sinistra e molti elettori 5 stelle nelle scorse politiche) si aspettano, forse, dal loro segretario è alzarsi dopo il risveglio dal profondo sonno democratico. Essere secondo partito in Italia e parte del secondo partito in Europa rappresenta una responsabilità enorme.

Zingaretti dovrà costruire un’opposizione credibile a questo governo – e probabilmente ad altri che verranno – da una posizione europeista, ma paradossalmente in un’Europa che potrebbe farci presto pagare il conto dei nostri errori. Sarà il solo ad avere un compito così arduo, avrà contro nel dibattito politico italiano ed europeo coloro che vedono nell’isolamento dell’Italia terreno fertile per il proprio rendiconto politico. Se Zingaretti saprà muoversi in questo percorso a ostacoli allora il suo risultato sarà ancor più grande di un 40%.

La vittoria della Lega e la sconfitta (ancora da dichiarare) dei sovranisti in Europa

La Lega ha ovviamente trionfato in queste elezioni in Italia, ma ha perso in Europa. Ha vinto nella prospettiva di breve, medio e lungo termine nel Paese. Nonostante sia minoranza, Salvini è padrone del governo e ne deciderà le sorti. Le prossime elezioni politiche lo vedranno probabilmente vincere come primo partito e come capo indiscusso del centrodestra, anche senza il freno di Berlusconi; libero da qualsiasi scomoda poltrona per due, potrà portare avanti in libertà le riforme che il suo partito propone e implementarle senza vincoli temporali di legislatura. La sconfitta in Europa è tanto chiara quanto poco significativa, starà all’opposizione europeista in Italia e alla nuova Commissione europea dargli il significato di una sconfitta attraverso politiche che colpiscano al cuore le problematiche sociali da cui Salvini trae consenso.

Se nei prossimi anni si riuscirà a mettere all’angolo con i fatti, con le riforme e con il consenso politico coloro che fanno dell’isolamento il proprio bacino elettorale allora i sovranisti avranno perso queste elezioni europee. In caso contrario, se l’azione comunitaria sarà paralizzata dai veti statali e dai calcoli politici di breve termine allora quella rumorosa minoranza antieuropea avrà il diritto di incoronarsi vincitrice, anche senza maggioranza.

Fonti e approfondimenti

Borghese, Salvatore. “Europee 2019: un primo bilancio” Youtrend, 27/05/2019.

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