Elezioni parlamentari danesi: tutto quello che c’è da sapere

Elezioni danesi
@ASSY, Pixabay.com (Pixabay License)

Il 5 giugno si sono svolte le elezioni parlamentari danesi per rinnovare i membri del Folketing, l’assemblea parlamentare. A pochi giorni dalle elezioni europee, l’appuntamento elettorale in Danimarca risulta particolarmente interessante non solo per la presenza di partiti di estrema destra e anti-establishment, ma anche per le reazioni dei partiti tradizionali davanti alla crescita di tali formazioni.

Per cosa e come si vota

Il sistema politico

I cittadini danesi sono stati chiamati alle urne per eleggere i nuovi membri del Folketing, l’assemblea unicamerale danese stabilita dalla Costituzione del 1953, composta da  179 membri, di cui 2 eletti dalle isole Faroe e 2 dalla Groenlandia.

Il consiglio dei ministri e il primo ministro sono formalmente nominati dal capo dello Stato, ossia il monarca, il quale generalmente investe di quest’ultima carica il leader del partito o della coalizione di maggioranza. Oltre a rappresentare simbolicamente l’unità dell’ordinamento costituzionale, il sovrano esercita le tipiche funzioni del capo di Stato nei sistemi parlamentari, firmando gli atti legislativi del Folketing su raccomandazione del consiglio dei ministri.

Il sistema elettorale

La costituzione danese prevede il suffragio universale con voto segreto, per le elezioni nazionali e quelle locali. Il sistema elettorale si basa sulla rappresentanza proporzionale con soglia di sbarramento al 2%, motivo per cui molto spesso i governi sono formati da coalizioni di partiti che singolarmente non riescono a ottenere la maggioranza dei seggi. I parlamentari sono eletti con un mandato quadriennale, ma il primo ministro è libero di sciogliere la legislatura e chiamare a elezioni anticipate in qualsiasi momento lo ritenga necessario. Nonostante un sistema partitico frammentato (come analizzeremo tra poco), la Danimarca gode storicamente di governi stabili e di un’affluenza piuttosto alta.

I partiti

Il sistema partitico danese è tradizionalmente organizzato in due blocchi: il Blocco Rosso (centro-sinistra) e il Blocco Blu (centro-destra).

Il Blocco Rosso (Rød blok) è composto da:

  • Partito Social-Democratico (A)
  • Alleanza Rosso-Verde (Ø)
  • Partito Popolare Socialista (F)
  • L’Alternativa (Å)
  • Partito Social-Liberale Danese (o Sinistra Radicale) (B)

Il Blocco Blu (Blå blok) è composto da:

  • Partito Popolare Danese (O)
  • Partito Liberale della Danimarca (Venstre) (V)
  • Alleanza Liberale (I)
  • Partito Popolare Conservatore (C)

I due blocchi si sono tendenzialmente alternati al governo nel corso dei decenni. Il Partito Social-Democratico, il principale partito di centro-sinistra e il più grande partito danese, ha guidato la maggior parte degli esecutivi dagli anni Trenta agli anni Ottanta. La coalizione di centro-destra, composta dal Partito Popolare Conservatore e dal Partito Liberale (Venstre), è succeduta ai governi a guida socialista fino al 1993, quando il Partito Social-Democratico uscì nuovamente vincitore dalle elezioni politiche. Un nuovo esecutivo conservatore-liberale ha mantenuto il potere dal 2001 al 2011, per poi riconsegnare il governo nelle mani dei socialisti.

Alle ultime elezioni, nel 2015, la coalizione di centro-destra (Conservatori-Venstre-Alleanza Liberale) ha nuovamente ottenuto la maggioranza, formando un esecutivo guidato dal leader di Venstre, Lars Løkke Rasmussen.

I partiti minori e non protagonisti delle dinamiche politiche mainstream sono da tenere ugualmente in considerazione, poiché costituiscono spesso le frange estreme dei due blocchi. Nel Blocco Rosso troviamo ad esempio l’Alleanza Rosso-Verde e il Partito Popolare Socialista, che combinano caratteri propri del socialismo e dell’ambientalismo, oppure i Verdi dell’Alternativa e i centristi della Sinistra Radicale. Quest’ultima formazione è guidata da Margrethe Vestager, attuale Commissaria europea alla concorrenza e de facto candidata alla presidenza della Commissione.

Nel Blocco Blu, invece, il principale partito su cui sono puntati gli occhi è il Partito Popolare Danese, con posizioni fortemente anti-immigrazione e che già nel 2015 aveva ottenuto ottimi risultati, nonostante non fosse entrato a far parte della coalizione di governo. Inoltre, questa campagna ha visto l’emergere di nuove formazioni di estrema destra, come La Nuova DestraLinea Dura, il cui leader Rasmus Paludan è stato accusato di razzismo e di legami con movimenti neo-nazisti, oltre ad essere conosciuto per aver bruciato copie del Corano e per voler deportare tutti i musulmani fuori dalla Danimarca. Il proliferare di nuove formazioni ha avuto anche l’effetto di frammentare ulteriormente il panorama politico dell’estrema destra, peggiorandone le performance elettorali.

Le tematiche principali

Tra i temi che hanno influenzato maggiormente la campagna elettorale, spicca sicuramente l’immigrazione. Le posizioni nettamente contrarie del Partito Popolare Danese avevano raccolto grande consenso nelle scorse elezioni, trasformandolo nella seconda forza politica del Paese. Il successo dei popolari ha innescato una trasformazione delle posizioni dei maggiori partiti, soprattutto quelle del Partito Social-Democratico.

Il fatto che questi abbiano in parte assorbito, e moderato, l’atteggiamento che intende limitare le politiche migratorie danesi ha provocato un calo nel sostegno alle formazioni di estrema destra a vantaggio dei partiti tradizionali. Tuttavia, ciò ha avuto anche l’effetto di spaccare il Blocco Rosso, dal momento che l’Alternativa e Sinistra Radicale hanno dichiarato prima delle elezioni che in caso di vittoria dei social-democratici si sarebbero rifiutati di partecipare al governo di coalizione se le posizioni sull’immigrazione fossero rimaste così stringenti.

Altre due questioni che, per la prima volta, si sono rivelate di primaria importanza per gli elettori sono quella ambientale e quella riguardante la gestione del sistema sanitario. In particolare, i recenti tagli ai servizi sanitari hanno provocato l’aumento delle assicurazioni sanitarie da parte dei cittadini che scelgono di rivolgersi a strutture private invece che a quelle pubbliche, proprio perché il servizio è drasticamente peggiorato.

I risultati

Le elezioni del 5 giugno sono andate grossomodo come avevano previsto i sondaggi. Nonostante non migliorino il risultato del 2015, i social-democratici guidati da Mette Frederiksen, grazie anche al loro riposizionamento politico, hanno ottenuto più voti del partito di maggioranza uscente, Venstre. Nonostante il partito del premier abbia guadagnato qualche punto percentuale rispetto al 2015, non è riuscito a superare gli avversari. Inoltre, i suoi alleati di governo, come Alleanza Liberale, hanno visto diminuire drasticamente i propri seggi, rendendo impossibile formare una coalizione di maggioranza.

In teoria, il Blocco Rosso dovrebbe avere i numeri per formare un governo, anche se rimangono dubbi sulla disponibilità di Verdi e Liberali a sostenere i social-democratici, soprattutto in materia di politiche migratorie.

L’Alleanza Rosso-Verde cala lievemente rispetto ai dati del 2015, ma guadagna gran parte dei consensi nelle aree metropolitane di Copenaghen. Invece, due dati eclatanti da sottolineare sono il netto calo del Partito Popolare Danese, che da seconda formazione con il 21% dei voti nel 2015 vede dimezzata la propria presenza in parlamento non arrivando nemmeno al 9%, e la forte crescita di Sinistra Radicale, che vede raddoppiare il proprio numero dei seggi e conferma il successo dei liberali già testimoniato a livello europeo, rafforzando la candidatura di Vestager alla presidenza della Commissione.

Hanno nettamente migliorato il proprio risultato rispetto al 2015 anche il Partito Popolare Socialista nel Blocco Rosso (che avrà in parte assorbito le perdite dell’Alternativa) e il Partito Conservatore Danese nel Blocco Blu. Infine, un’altra osservazione che vale la pena fare è l’ingresso di nuove formazioni politiche minoritarie nel Folketing. Se Linea Dura non è riuscita a superare la soglia di sbarramento per pochi voti, La Nuova Destra ottiene ben 4 seggi.

Si può quindi concludere che i partiti tradizionali e le formazioni di sinistra escono consolidati da questa tornata elettorale a scapito dei partiti con posizioni più estreme, nonostante non possano considerarsi totalmente eradicati dal Folketing. Ciò va in parte in contro-tendenza rispetto ad altri Paesi europei, ma di fatto conferma il trend delle scorse elezioni europee.

 

Fonti e Approfondimenti

Britannica, “Denmark | Government and society | Constitutional framework” (last update 04/06/2019).

Chiappini, Francesco, “Europa27: i Paesi nordici” Lo Spiegone, 28/04/2019.

Europe elects, “Denmark | General elections 2019 | The political parties“, Youtube, 04/06/2019.

Harris, Chris, “Denmark general election 2019: All you need to know to understand the vote“, Euronews & Reuters, 05/06/2019.

Politico EU, “Politico’s poll of polls for the 2019 Danish parliamentary elections

Stolton, Samuel, “Denmark’s Social Democrats set to win election on anti-immigration platform“, Euractiv, 05/06/2019.

Wheatley, Noah, “Danish Elections: Electoral Blocs Fracture Ahead of the Vote“, Europe elects, 01/06/2019.

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