Elezioni Generali in India: cause e numeri di una vittoria prevedibile

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Dopo sei settimane di voto, diviso in sette fasi dall’11 aprile al 23 maggio, si sono concluse in India le elezioni generali della più grande democrazia al mondo. Con un’affluenza alle urne del 67% su 900 milioni di potenziali elettori indiani, si è trattato delle elezioni con la più alta partecipazione di sempre.  La vittoria del Bharatiya Janata Party (BJP) di Narendra Modi era data per scontata, ma per capirne le ragioni andiamo ad analizzare i risultati nel dettaglio.

Un successo senza precedenti

Per la prima volta nella storia dell’India, un partito all’infuori dell’Indian National Congress (INC) sale al potere per due mandati consecutivi e, per di più, ottenendo entrambe le volte la maggioranza assoluta. Il BJP di Narendra Modi si è infatti aggiudicato, da solo, 303 seggi su 542 (superando già nettamente la soglia dei 272 necessari per governare), e 352 con gli altri partiti con cui ha formato la coalizione denominata National Democratic Alliance.

Inoltre, con 21 seggi in più rispetto ai 282 ottenuti nel 2014, il BJP di Modi si è aggiudicato il titolo di unico partito a ottenere un secondo mandato consecutivo con una percentuale di consensi così nettamente superiore: nel 2014, aveva conquistato il 31% dei voti, mentre in queste elezioni la percentuale è salita al 41%. Solo il Partito del Congresso era riuscito, nel 1957, a vincere un secondo mandato con una percentuale di voti superiore al primo, ma la differenza era stata appena del 2% e non del 10% come in questo caso.

Il consolidamento del potere

La vittoria di Modi era data per certa anche in base ai successi politici che durante i cinque anni al governo il suo partito ha conseguito a livello statale. Dal 2014, il Bjp ha infatti pian piano conquistato, una dopo l’altra, le assemblee di 20 Stati su 29.

Nonostante il 2018 abbia rappresentato un momento critico per la perdita di 3 di questi 20 Stati, i risultati delle elezioni generali appena concluse hanno confermato che “l’ondata color zafferano” (così definita per il colore associato alla religione induista e al BJP) non si è esaurita. Il suo successo è confermato dai numeri: con oltre 100 milioni di iscritti è, oggi, il partito con il più alto numero di tesserati al mondo.

Inoltre, gli ultimi eventi a ridosso delle elezioni hanno giocato a favore del primo ministro, permettendogli di recuperare i consensi appena persi. Modi infatti ha sempre insistito sulla sicurezza e sulla necessità di investire nella difesa. L’inasprimento recente delle tensioni con il Pakistan gli ha permesso di ricordare al suo elettorato la necessità di un uomo forte al governo, pronto a intervenire (anche) militarmente per difendere il Paese.

Geografia del voto

A livello territoriale, il voto è stato influenzato solo in parte dalle rispettive tradizioni politiche statali. Gli Stati del Sud, tradizionalmente di sinistra, hanno confermato in larga parte questa posizione; mentre la maggior parte dell’India settentrionale e centro-occidentale ha subìto il fascino dell’ondata color zafferano.

Invece, il West Bengala – lo Stato comunista per eccellenza in India – si è diviso in due: una parte ha continuato a preferire i partiti di sinistra, mentre l’altra ha aderito in massa al BJP.

Osservando la distribuzione dei voti a livello geografico, è interessante notare una certa resistenza nei confronti di questa ondata nazionalista hindu nella parte orientale del Paese, dal Centro (più o meno dallo Stato del West Bengala) al Sud.

Essa corrisponde, a grandi linee, a un’area denominata “red corridor, caratterizzata dalla presenza ben radicata di organizzazioni di stampo comunista maoista, benvolute dalla popolazione per il loro impegno attivo nel difendere i diritti degli strati sociali più bassi. Questa lunga tradizione potrebbe aver influenzato, dunque, il voto controcorrente dei residenti di quest’area.

Che fine ha fatto l’opposizione?

L’Indian National Congress, principale partito all’opposizione, ha subìto con queste elezioni la più amara sconfitta di sempre. Con il 19% dei voti (una percentuale di 2 punti inferiore a quella delle scorse elezioni), si è aggiudicato appena 52 seggi in Parlamento – 85 con la coalizione United Progressive Alliance di cui fa parte. In più, in oltre 10 Stati non ha vinto alcun seggio.

La situazione resta quindi, più o meno, stazionaria rispetto allo scorso mandato di Modi, con l’assenza di un’opposizione al BJP in Parlamento. L’INC infatti non ha raggiunto neanche questa volta la soglia del 10% (55 seggi) richiesta in India per essere riconosciuti ufficialmente come partito di opposizione.

Tra gli altri partiti, nessuno ha ottenuto più del 4% di voti. In testa, troviamo l’All India Trinamool Congress di Mamata Banerjee, nato con l’obiettivo di dar voce alle rivendicazioni contadine, e il Dravida Munnetra Kazhagam, appartenente alla stessa coalizione dell’INC. Altri partiti minori non hanno raggiunto il 3% dei voti, ottenendo meno di una ventina di seggi in Parlamento.

Un referendum sull’operato di Modi?

Queste elezioni sono state, da molti, viste come una sorta di referendum su Modi – che avrebbe dunque confermato il successo del suo operato. In realtà, andando ad analizzare l’impatto delle riforme attuate negli ultimi cinque anni di governo, i risultati appaiono tutt’altro che positivi.

Le misure di privatizzazione intraprese a partire dal 2014, i tagli alla spesa pubblica in settori cruciali come istruzione e sanità, e l’enfasi sulla necessità di focalizzarsi sulla crescita economica sono alcune delle principali manovre del governo Modi. Esse però hanno apportato benefici solo agli strati sociali più abbienti, trascurando quella stragrande maggioranza della popolazione che vive in contesti rurali e costituisce la base dell’elettorato del BJP. Le riforme del settore agricolo su cui aveva insistito molto la campagna elettorale del 2014 non sono state ancora attuate, e le condizioni di vita della popolazione contadina sono peggiorate.

In realtà, dunque, i motivi del successo di Modi non risiedono nella validità delle sue politiche. Nell’epoca dell’avanzata dei populismi, l’“uomo forte” dell’India riesce a far presa sulla popolazione grazie al suo carisma e a una retorica nazionalista hindu che fa leva sulle insicurezze della gente.

Le tensioni con il Pakistan, l’aumento di flussi migratori dal Bangladesh e la presenza di rifugiati del Myanmar in seguito alla crisi dei Rohingya hanno permesso al leader del BJP di rafforzare l’idea di una minaccia incombente sul Paese, che solo un governo con il pugno di ferro è in grado di contrastare.

La fine dell’era Nehru-Gandhi?

È comunque un dato di fatto che la vittoria del 2014 e, soprattutto, questa schiacciante riconferma del 2019 costituiscano un punto di rottura con il passato: la dinastia Nehru-Gandhi – che sin dall’Indipendenza aveva dominato la scena politica indiana e nella quale il Partito del Congresso si era identificato – potrebbe essere giunta alla fine.

L’INC è infatti passato dall’avere 206 seggi durante il governo precedente la vittoria di Modi, ad appena 44 alle elezioni del 2014. È probabile che l’egemonia Nehru-Gandhi non sia più tollerata di buon grado dalla popolazione: il partito dovrà rinnovarsi e sganciarsi dalle logiche dinastiche, per competere con una figura così amata dal popolo come quella di Narendra Modi.

D’altra parte, però, le sfide che si prospettano per i prossimi cinque anni non sono poche. Modi stavolta non potrà deludere i suoi elettori, soprattutto gli strati più bassi della popolazione a cui erano state promesse riforme mai attuate. La crisi del settore agricolo e la dilagante disoccupazione sono tra i principali problemi che il nuovo governo dovrà attenzionare seriamente, se non vuole rischiare di perdere il consenso della stragrande maggioranza del suo elettorato.

Fonti e approfondimenti

Election Commission of India

Indian Election Database 

BBC News, Lok Sabha: India general election results 2019

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