La linea curva: fiumi, confini e idropolitica

@LoSpiegone

Nei precedenti articoli del progetto ‘la linea curva‘, ci siamo soffermati sulle relazioni trasfrontaliere Cina-Russia e Russia-Mongolia. In questo nuovo capitolo, analizziamo invece un elemnto cruciale nei rapporti di confine: i fiumi.

Sin dagli albori della storia, i fiumi hanno giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’umanità. Lungo le loro rive sono sorte le prime grandi civiltà, e il loro corso ha costituito l’arteria vitale dei regni e degli imperi di epoca antica.

Capaci di determinare l’ascesa o la caduta di un popolo, i fiumi rappresentano da sempre anche un fattore di tensione tra i diversi gruppi umani stanziatisi sulle loro sponde. Tuttora, i corsi d’acqua demarcano le zone di confine tra gli attori geopolitici, mentre nel caso dei fiumi transfrontalieri, lo sfruttamento delle risorse idriche e il loro inquinamento possono innescare attriti e scontri tra Paesi confinanti.

Non stupisce, dunque, che i fiumi rappresentino un elemento determinate nella politica estera e nelle relazioni con i propri vicini della grande assetata d’Oriente: la Cina.

Di fatto, il repentino sviluppo economico della Repubblica Popolare Cinese – iniziato a metà degli anni ’90 – ha causato una drastica impennata nella costruzione di dighe, canali, e centrali idroelettriche da parte di Pechino.

Tale sfruttamento delle acque fluviali ha alterato l’equilibrio idrico di diverse regioni, e innescato un dibattito internazionale volto a mitigare gli effetti negativi della mastodontica crescita economica cinese. Inoltre, le nuove ambizioni della Cina nello scacchiere internazionale hanno accresciuto l’importanza strategica di quei fiumi che demarcano le frontiere della Repubblica Popolare con gli attori geopolitici limitrofi.

In quest’ottica, al fine di analizzare meglio le dinamiche di confine in Asia centrale e orientale, bisogna tenere in considerazione il ruolo giocato dai grandi corsi d’acqua nelle relazioni tra Cina, Kazakistan, Russia e Corea del Nord.

I fiumi Irtysh e Ili

In Asia centrale, il più grande interlocutore della Cina quando si parla di idropolitica è il Kazakistan. Di fatto, la regione nord-occidentale dello Xinjiang – dove risiede la minoranza turkmena degli Uiguri – non solo condivide un confine lungo 1.700 km con il Kazakistan, ma anche ben 20 fiumi transfrontalieri, tra cui i più importanti sono l’Irtysh e l’Ili.

L’Irtysh trova la sua sorgente nella parte cinese della catena montuosa degli Altaj e – oltrepassato lo Xinjiang – continua il proprio corso in Kazakistan, per poi completare il suo tragitto oltre il confine russo, dove confluisce nel fiume Ob. Anche l’Ili sorge nello Xinjiang, ma, una volta attraversata la frontiera kazaka, si riversa nel lago di Balkhash, fornendone il 50% delle risorse idriche.

Entrambi i corsi d’acqua formano una fonte d’acqua primaria per il Kazakistan, ma la grande sete di Pechino (determinata dal suo inarrestabile sviluppo economico) ha portato a un eccessivo sfruttamento di questi fiumi nel tratto cinese del loro corso. Di fatto, sin dal 2003, la Repubblica Popolare Cinese ha avviato un programma di sviluppo delle zone occidentali del proprio territorio, tra cui appunto lo Xinjiang.

La coltivazione del cotone – la cui produzione assume un ruolo strategico per l’economia cinese – richiede ingenti quantità d’acqua. Per soddisfare tale necessità, Pechino ha costruito diversi canali di irrigazione, i quali sono alimentati dai fiumi Irtysh e Ili. Inoltre, anche l’attività di estrazione di petrolio nello Xinjiang determina un forte consumo d’acqua.

La costruzione di dighe e di centrali idroelettriche ha aggravato ulteriormente l’equlibrio idrologico del Kazakistan. Tale eccessivo consumo ha già avuto diversi effetti in questo Paese dell’Asia centrale. La produzione di riso ha sofferto un calo, mentre il livello d’inquinamento delle acque di Irtysh e Ili costituisce un altro enorme problema per i 15 milioni di abitanti che vivono sulle loro rive. La mancanza d’acqua rappresenta una minaccia per lo sviluppo industriale del Kazakistan: persino la navigabilità dei corsi è, ormai, a rischio.

In questo contesto, è da tenere in considerazione come la Cina sia uno degli unici tre Paesi – insieme a Turchia e Burundi – a non aver firmato la convenzione delle Nazioni Unite sui corsi d’ acqua del 1997. Pechino preferisce risolvere i problemi legati allo sfruttemento delle risorse idriche per via bilaterale, piuttosto che partecipare attivamente ad accordi più vasti di natura internazionale.

Questa posizione viene mantenuta anche nel caso del fiume Irtysh, il quale – oltre ad attraversare il territorio di Cina e Kazakistan – passa anche per la Russia. La Repubblica Popolare ha quindi evitato di ingaggiare una discussione a tre con gli altri due Paesi, preferendo condurre trattative separate.

Nonostante questo approccio poco collaborativo, la Cina ha comunque acconsentito nel 2001 alla creazione di una commissione congiunta sui corsi d’acqua insieme al Kazakistan e alla firma di un accordo ad Astana il quale sancisce l’impegno di entrambe le parti a utilizzare equamente e razionalmente le acque dei fiumi transfrontalieri. Un accordo simile era stato concluso, nel 2008, tra la Federazione Russa e la Cina.

Nonostante queste piccole pietre miliari, rimane dubbia la reale volontà di Pechino di collaborare in questa materia. Il trattato con il Kazakistan non prevede nessuno strumento di compensazione in caso di danni causati dall’eccessivo sfruttamento dei fiumi, mentre le disposizioni concernenti l’utilizzo razionale ed equo delle risorse idriche transfrontaliere enumerano solo principi generali.

Il fiume Amur come punto d’incontro tra Cina e Russia

Il fiume Amur, con un corso di 2.800 km, costituisce uno dei fiumi più lunghi del mondo. Il suo bacino attraversa ben 5 diverse zone ecologiche, dalle foreste boreali alla tundra, e demarca il confine tra Siberia e Manciuria settentrionale.

Per decenni, i grandi fiumi sul confne sino-sovietico hanno costituito un elemento di frizione tra Mosca e Pechino. Nel 1969, la tensione tra i due Paesi si è tramutata in uno scontro aperto, il quale – seppur limitato – non ha mancato di mettere in luce le dispute territoriali esistenti tra i due Paesi.

Con il crollo dell’Unione Sovietica e l’affermazione degli Stati Uniti come potenza egemone mondiale, Russia e Cina hanno iniziato un processo virtuoso di riavvicinamento, deteminato dalla necessità di far fronte comune contro l’irrefrenabile espansione della sfera d’influenza di Washington. In particolare, a partire dal 2014, le sanzioni economiche adottate dai Paesi NATO contro la Federazione Russa hanno spinto il Cremlino a volgersi verso la Cina nella sua ricerca di un nuovo partner commerciale.

In questo modo, ciò che prima costituiva un elemento di tensione si è lentamente trasformato in un simbolo di cooperazione tra i due Stati. La costante crescita degli scambi tra Cina e Russia ha portato alla necessità di nuove infrastrutture. È il caso del primo ponte ferroviario sul fiume Amur, il quale connette la regione autonoma russa dello Nizhneleninskoye e la città cinese di Tongjiang. Questo ponte lungo 2 km è stato completato lo scorso maggio, ma entrerà in funzione solo nel settembre 2019. Grazie a tale infrastruttura, la Russia sarà in grado di esportare in Cina diversi prodotti, tra cui metalli, legname e fertilizzanti.

Oltre a questo ponte ferroviario, Mosca e Pechino stanno lavorando alla costruzione di un secondo ponte autostradale, sempre sul fiume Amur – il quale connetterà la città russa di Blagoveshchensk con quella cinese di Heihe.

Il fiume Tumen

Il confine tra Cina e Corea del Nord è invece demarcato dai fiumi Yalu e Tumen. Sin dal 1949, i due corsi d’acqua sono considerati dai due Paesi come il confine naturale tra i loro territori. Tuttavia, per Pechino, il fiume Tumen assume da sempre un valore strategico di non trascurabile importanza.

Il Tumen trova le sue origini alle pendici del monte Pektu e si sviluppa per più di 500 km, per poi sfociare nel Mar del Giappone. Tale corso d’acqua costituisce, quindi, una via navigabile che consente a Pechino di raggiungere questo mare. L’ultimo tratto del fiume è, invece, condiviso tra Russia e Corea del Nord,  costituendone la frontiera. In questo modo, il diritto di navigazione della Cina sul Tumen dipende da Mosca e Pyongyang, i quali ne controllano la foce.

La mancanza di una via d’accesso diretta al Mar del Giappone costituisce un ostacolo per le aspirazioni politiche e strategiche di Pechino nel Pacifico. L’ultimo tratto del fiume Tumen è abbastanza largo e profondo da consentire a una flotta di navigarne le acque: di conseguenza, è d’importanza vitale per la Repubblica Popolare assicurarsi che Nord Corea e Russia rispettino il suo diritto di accesso al Mar del Giappone.

In linea di principio, Mosca e Pyongyang non hanno mai messo in discussione tali pretese, ma si sono mostrati diffidenti e non propensi a cooperare verso molte delle richieste di Pechino.

Di fatto, il Cremlino non accetterebbe di buon grado un’egemonia cinese nel Pacifico, mentre la Corea del Nord considera un incremento delle attività mlitari sul fiume Tumen come una minaccia per la propria indipendenza. Di conseguenza, i piani di Pechino di arrivare alla costruzione di un porto sulla triplice frontiera fluviale – che possa servire come base di rifornimento per le forze navali cinesi – non si sono ancora realizzati.

Conclusioni

I fiumi costituiscono un fattore determinante dei rapporti di confine in Asia centrale e orientale. Il grande sviluppo economico della Cina ha portato quest’ultima a consumare grandi quantità d’acqua per le sue necessità di produzione e sviluppo industriale, alterando l’equilibrio idrologico dei Paesi con i quali Pechino condivide diversi corsi d’acqua transfrontalieri, come nel caso del Kazakistan.

Inoltre, il fatto che la Repubblica Popolare non abbia ancora firmato la convenzione delle Nazioni Unite sui corsi d’acqua lascia intendere che Pechino – fatta eccezione per i modesti accordi bilaterali già enumerati – non abbia una reale intenzione di rispettare le norme internazionali sullo sfruttamento razionale delle risorse idriche.

Le ambizioni del grande Drago Asiatico si riflettono anche sull’utilizzo strategico dei grandi corsi d’acqua d’Oriente. La pressione sugli Stati confinanti per ottenere vantaggiose concessioni di navigazione è aumentata, insieme alla necessità di Pechino di arginare l’egemonia USA nel Pacifico.

Con l’intensificarsi dello scontro tra Washington e Pechino, si intensificheranno anche le pretese cinesi sui fiumi di rilevanza strategica – come il Tumen – ma anche le opportunità per stringere rapporti commerciali più stretti con i propri partner regionali – come nel caso del ponte ferroviario tra Cina e Russia, costruito sul fiume Amur.

Fonti e approfondimenti

Arthur Dunn, “The Irtysh River in Hydropolitics of Russia, Kazakhstan and China”, European Dialogue XXI, 27 febbraio 2013

Sebastian Biba, “China cooperates with Central Asia over shared rivers”, China Dialogue, 24 febbraio 2014

Nicholas Muller, “All Along the Irtysh River Basin”, The Diplomat, 21 novembre 2018

Ankur Shah, “China, Russia, and the Case of the Missing Bridge”, The Diplomat, 20 novembre 2018

Russia Today, “On track: Russia & China start laying railway across Amur River bridge”, 2 aprile 2019

Daniel Gorma, “The Chinese-korean Border Issue, an analysis of a Contested Frontier”Asian Survey, Vol. 46, No. 6 (November/December 2006), pp. 867-880

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