Elezioni greche: un OXI per Alexis Tsipras

Lo scorso 7 luglio circa sei milioni di cittadini greci hanno eletto i 300 rappresentanti che compongono il parlamento monocamerale ellenico. Il partito di governo SYRIZA è stato sconfitto con uno scarto di 8.4 punti percentuali da Nea Demokratia, la formazione di centro destra che guidò il Paese dalla caduta del regime dei colonnelli fino al 2015. Con 158 seggi raggiunti, la formazione liberale può contare su una salda maggioranza, superiore alla soglia minima di 151 seggi, per poter governare con sicurezza lungo i prossimi quattro anni.

Tra gli altri partiti che sono riusciti a guadagnare seggi in queste consultazioni troviamo i conservatori di Greek Solution (10), i progressisti eurocritici dell’ European Realistic Disobedience Front di Yanis Varoufakis (9), il Communist Party for Greece (15) e i socialisti del Movement for Change (22). Mentre sono stati completamente esclusi i neofascisti di Alba Dorata che, dopo il 7% conquistato nel 2015, non sono riusciti a superare lo sbarramento del 3%, fermandosi al 2.4.

Nonostante l’ottimo risultato di 85 seggi, SYRIZA non è riuscita a canalizzare i consensi necessari per restare al potere, concludendo così una delle rare esperienze di governo di sinistra nella Grecia moderna.

Alexis Tsipras, ormai ex primo ministro, ha pagato il prezzo di essere sceso a compromessi con la TROIKA e la sua scelta di anticipare di tre mesi le elezioni politiche in Grecia. Dopo il grave calo di consensi registrato nella tornata europea, Tsipras ha deciso di non prolungare ulteriormente una campagna elettorale ormai avviata da tempo e affidarsi alla volontà popolare. Il suo sfidante, il neo-eletto Kyriakos Mitsotakis, leader del partito di centro-destra Nea Demokratia non poteva sperare in congiunzione migliore. Per comprendere come si sia arrivati a questa vittoria è necessario osservare come la crisi del 2008 abbia afflitto la Repubblica Ellenica e la sua cittadinanza.

Crisi e speranze

Dopo la crisi finanziaria del 2008, lo storico partito di governo Nea Demokratia viene sconfitto dalla coalizione SYRIZA nelle elezioni del 2015. Il Paese che il nuovo governo di sinistra si trova a governare versa in una disastrosa situazione finanziaria e sociale, in cui il malcontento popolare sfocia in lunghe e continue manifestazioni con violenti scontri di piazza. Il debito greco è il principale protagonista di ogni discussione politica e il più grande cruccio della TROIKA (come viene definito il consorzio tra Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale).

Quando nel 2015 il debito raggiunge il 167% del PIL, il neoeletto Alexis Tsipras decide di sfidare l’Europa chiedendo alla popolazione di decidere se il suo governo debba o meno accettare le misure di austerity imposte alla Grecia per risarcire i suoi creditori internazionali. Il 61% dei cittadini greci votano OXI (“No” in greco) confermando una violenta rottura con la linea tenuta dalle istituzioni e dagli altri Paesi europei, ma principalmente contro la Germania, principale sostenitrice delle misure di bailout come unico metodo per stabilizzare la Grecia ed evitare ripercussioni nel resto dell’Unione.

Il popolo greco, forte di una rinnovata unità e maggioranza e guidato da un leader profondamente eurocritico, spera così di affermare la sua volontà e di portare al compromesso i rigidi “euro-burocrati”. Sedutosi al tavolo delle trattative, però, Tsipras non riesce a raggiungere un accordo che confermi le scelte dei suoi elettori e ne esce sconfitto, costretto a collaborare e a rendere la Grecia una “colonia di debito”, usando una definizione dall’ex ministro degli esteri Nikos Kotzias.

Il declino

Il PIL greco precipita, secondo la Banca Mondiale è sceso del 40% in 10 anni (dal 2008 a oggi). La disoccupazione continua a crescere e il debito pubblico, anche se rallentando, aumenta ancora fino ad arrivare al 181% del PIL nel 2018. Investitori esteri sfruttano la crisi per assumere il controllo di infrastrutture strategiche (come il porto del Pireo ormai completamente sotto egemonia cinese) e acquistare proprietà a prezzi ribassati.

Il consenso guadagnato dalla coalizione di sinistra al governo comincia a frantumarsi nei giorni immediatamente successivi al referendum del 2015, ma Tsipras prova in ogni modo a mantenere una certa unità e stabilità di governo, nonostante anche il popolare ministro dell’economia Yanis Varoufakis abbandoni le fila di SYRIZA in opposizione agli accordi stretti dal primo ministro con l’Unione. Nel frattempo, il quadro politico Europeo non converge favorevolmente verso la linea eurocritica di sinistra lanciata da Tsipras.

Si apre la grande stagione dei partiti euroscettici sovranisti e chiunque sia associato al populismo viene visto con occhio ancora più sfavorevole da tutti i partiti mainstream europei e il primo ministro greco, accusato dalla cittadinanza di aver tradito i suoi ideali, cammina su un filo di lana nella sua duplice forma di oppositore e collaboratore dell’Unione europea. Questa situazione “esplode” il 26 maggio 2019, quando a urne chiuse SYRIZA viene ampiamente sconfitta nella competizione elettorale europea da Nea Demokratia, che guadagna il 33% dei consensi contro il 23% di quello che era il partito di governo.

La destra alla vittoria

Così, la vittoria del partito di centro-destra alle elezioni politiche convocate per il 7 luglio era data quasi per scontata. Complice di un sistema elettorale che garantisce un premio di 50 seggi al partito di maggioranza, il Paese ha deciso di affidare nuovamente il proprio destino nelle mani dello stesso partito che lo aveva lanciato senza paracadute negli abissi della crisi economica. È difficile comprendere come mai uno Stato portato sul lastrico da “eccessi di arroganza e clientelismo” e “furbizie di troppo nel gestire i conti pubblici”, come descritto da Gianfranco Pasquino, possa aver chiuso un occhio sul nuovo-vecchio partito di governo scegliendolo al posto della coalizione che l’ha, faticosamente, guidata fuori dalla crisi.

Analizzando la sfera economico-istituzionale, è chiaro che le politiche economiche adottate dal governo Tsipras e il suo concerto con le istituzioni europee ed esponenti del neoliberalismo europeo come Angela Merkel e Pierre Moscovici, abbiano portato la cittadinanza a voler punire questo soggetto politico in cui avevano riposto speranze e fiducia, accusandolo di aver tradito i propri principi. Allo stesso tempo, è difficile capire come mai gli stessi elettori abbiano però voluto premiare un governo che seguirà senz’altro questo stesso percorso, appartenendo a una linea liberale, moderata, di centro destra ed europeista.

Il pubblico greco fatica a organizzarsi e a riconoscere i propri obiettivi, perché costretto a un ruolo quasi inesistente da quelle istituzioni che lo hanno privato di sovranità in un momento di crisi e necessaria solidarietà. Le stesse istituzioni che oggi si trovano sotto l’attacco della retorica sovranista internazionale, più pericolosa nei modi, nelle ideologie e nelle rivendicazioni di quel “populismo” eurocritico tanto paventato di Alexis Tsipras. Per questo la cittadinanza, delusa e atomizzata, ritorna a mascherarsi dietro un partito dell’establishment, cercando una via familiare e rassicurante, in apparenza capace nella gestione manageriale e quindi adatta a far crescere l’economia.

 

Fonti e approfondimenti

Gianfranco Pasquino “La Grecia non è un Paese anomalo” La Lettura, Il Corriere della Sera, 7 luglio 2019

Nikos Kotzias, “Greece debt colony”, 2013

Politico, “Greek Election Results”, 7 luglio 2019

Internazionale, “La crisi greca in dieci grafici”, 31 agosto 2018

ISPI, “Grecia al voto dopo il decennio perduto”, 2019

Dimitri Deliolanes, “La Grecia come colonia della Germania”, Limes, 2015

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