Ricorda 2008: la crisi finanziaria sintomo della bulimia dei consumi

Nonostante le prime avvisaglie della crisi si fossero manifestate già nell’estate del 2007, è il 2008 l’anno in cui divenne chiara la sua natura più sistemica. Le turbolenze generate sul mercato dei prodotti strutturati, infatti, si estesero progressivamente all’intero sistema finanziario fino a trasmettersi all’economia reale, provocando infine quella che, secondo molti, risulta essere la più grave crisi economica dai tempi della grande depressione.

Nel corso di questi ultimi anni si sono spese molte parole nel cercare di spiegare e analizzare le cause che hanno innescato quella recessione che, partendo dagli Stati Uniti, ha coinvolto l’economia mondiale. In questo articolo, perciò, verrà presentata l’ipotesi avanzata da alcuni economisti circa le motivazioni che hanno innescato il circolo vizioso il cui epilogo è stata proprio la crisi globale: la corsa ai consumi dell’americano medio. Ma partiamo dal principio.

I mutui subprime e il fallimento di Lehman Brothers

Per subprime si intendono mutui o prestiti erogati a clienti “ad alto rischio”, ovvero a soggetti con basso reddito e basse prospettive di poter ripagare il proprio debito a scadenza (solvibilità). Se in condizioni normali la mancanza di garanzie sufficienti pregiudicherebbe la concessione di questa tipologia di mutui, dai primi anni 2000 l’erogazione dei subprime sul mercato americano iniziò ad aumentare in maniera significativa. La crescita era sostenuta da diversi elementi.

Fino al 2004 la FED (Federal Reserve), in risposta alla bolla delle Dot-Com e agli attentati dell’11 settembre, mantenne i tassi di interesse a valori storicamente bassi attraverso una politica monetaria accomodante. Nel frattempo, dal 2000 i prezzi delle abitazioni iniziarono a crescere in modo continuativo arrivando a superare nettamente i valori di mercato. Col tempo questi due fattori si alimentarono a vicenda: i bassi tassi di interesse si traducevano in un basso costo del denaro per le famiglie che richiedevano un mutuo ipotecario, determinando un aumento della domanda di abitazioni che alimentò ulteriormente la bolla immobiliare. Questa, d’altro canto, rendeva conveniente la concessione dei mutui stessi: le istituzioni finanziarie, in caso di insolvenza, potevano pignorare l’immobile e rivenderlo recuperando così il denaro prestato.

Tuttavia, si ritiene che gran parte della responsabilità della crisi ricada sullo sviluppo incontrollato degli strumenti finanziari nel periodo della deregolamentazione finanziaria, che hanno consentito una moltiplicazione e un trasferimento dei rischi delle attività originarie sottostanti senza controllo. In particolare, l’utilizzo della cartolarizzazione crebbe in maniera esponenziale a livello globale. Grazie alla cartolarizzazione, le banche poterono trasferire i mutui concessi (che sono prestiti a lunga durata) a società veicolo sotto forma di titoli, recuperando in questo modo parte del proprio credito nel brevissimo periodo. Le società veicolo, dal canto loro, finanziavano l’acquisto dei suddetti mutui cartolarizzati tramite titoli a breve termine offerti a degli investitori operanti non solo negli US, ma anche in Europa e nel resto del mondo.

Nel frattempo, con il denaro recuperato grazie alla cartolarizzazione, le banche poterono erogare altri mutui a nuovi clienti, la cui affidabilità veniva sempre valutata in maniera poco accurata. Grazie ai procedimenti di cartolarizzazione e ri-cartolarizzazione, le istituzioni finanziarie poterono espandere enormemente le proprie attività realizzando profitti molto elevati, finendo per rimanere però esposte a forti rischi di perdite. In questa storia hanno un ruolo di non poco conto anche le agenzie di rating, responsabili di aver valutato i prodotti finanziari in maniera troppo ottimista (ovvero sottostimandone il rischio), anche per effetto di numerosi conflitti di interesse.

Con la ripresa dell’economia, la FED iniziò ad alzare i tassi di interesse e il meccanismo si inceppò: i mutui divennero sempre più costosi e molte famiglie non riuscirono a ripagare l’onere dei debiti contratti a tasso variabile. Come conseguenza, la domanda degli immobili si ridusse: scoppiò la bolla immobiliare e il valore delle ipoteche a garanzia dei mutui contratti crollò.

Dall’estate del 2007 e per tutto il 2008 i titoli cartolarizzati e diffusi su tutto il mercato persero il loro valore: le varie banche d’affari avevano “impacchettato e spezzettato” i mutui in titoli derivati, per cui era diventato impossibile distinguere i titoli legati ai mutui solidi da quelli subprime. Tutto ciò generò una crisi di fiducia e successivamente di liquidità, con conseguenti gravi perdite nel mercato azionario e una serie di salvataggi da parte delle istituzioni.

Il 15 settembre 2008 la quarta più grande banca d’affari americana, la Lehman Brothers, avviò le procedure fallimentari: quel giorno divenne chiaro che ben presto la crisi avrebbe raggiunto proporzioni globali.

Il progressivo deterioramento delle aspettative di famiglie e imprese ebbe forti ripercussioni sui consumi e sugli investimenti e, date le interdipendenze commerciali, tutto ciò si ripercosse sul commercio mondiale, frenando o arrestando la crescita di svariati Paesi.

 

La corsa ai consumi

Il debito privato generato dall’economia americana e l’insolvenza dei mutui subprime sono stati il motore di una crisi che, partendo dagli Stati Uniti, ha contagiato il resto del mondo.

Diversi economisti hanno argomentato che il crescente indebitamento perpetrato attraverso carte di credito e mutui ha permesso a milioni di persone di spendere oltre le proprie possibilità in quella che è stata definita una “bulimia dei consumi”. L’eccezionale abbondanza di credito a buon mercato non basta a spiegare perché l’americano medio si sia indebitato tanto: l’offerta di credito facile non è una condizione sufficiente per comprarlo e non spiega quindi l’abbondante domanda dello stesso. L’ipotesi che viene avanzata è che il debito privato sia il risultato della spinta che la struttura socioeconomica e la cultura americana imprimono ai consumi.

Nonostante la crescita economica di cui l’America è stata protagonista negli anni precedenti alla crisi e il continuo aumento dei consumi pro-capite, i dati relativi alla percezione che gli individui hanno della propria vita e il grado di soddisfazione che provano per essa (Subjective Well Being) mostrano una tendenza negativa. Questo declino è accompagnato da un numero crescente di persone che soffrono di depressione, stati di ansia e nevrosi, e, inoltre, diversi sociologi hanno portato delle evidenze riguardo l’erosione del capitale sociale statunitense. Numerosi studi riportano che più le persone sono interessate a denaro, status sociale e immagine (un sistema di valori proprio del materialismo), peggiore è la qualità delle loro relazioni sociali ed affettive.

 

Queste affermazioni riportano al cosiddetto paradosso della felicità o di Easterlin, dal nome dell’economista che negli anni ’70 mise in evidenza l’esigua correlazione tra reddito e felicità. Diverse sono le ipotesi teoriche che provano a spiegare il paradosso. Una prima spiegazione può essere rappresentata con la metafora del treadmill: come sul tapis roulant si corre restando fermi, gli esseri umani si adattano alle mutate circostanze e ai miglioramenti dello standard di vita; nell’ambito dei beni materiali, adattamento e continue aspirazioni tendono ad annullare l’effetto del benessere dovuto all’incremento del reddito.

Un’altra spiegazione è riconducibile alla qualità delle relazioni sociali e interpersonali. Una cultura consumistica come quella americana crea bisogno di denaro, e conseguentemente di lavoro; sempre più lavoro toglie tempo ad altre attività e alla cura delle relazioni interpersonali, con la conseguenza di una ulteriore ricerca di ricchezza materiale. Il risultato ultimo è perciò una crescente povertà di tempo, di relazioni e di benessere.

Concludendo, queste argomentazioni invitano a riflettere sulla prosperità economica: se questa è indubbiamente importante per il benessere dell’individuo, altrettanto importante risulta essere la qualità sociale dello sviluppo.

Fonti e approfondimenti:

S. Bartolini, L. Bonatti, F. Sarracino, Great recession and US consumers’ bulimia: deep causes and possible ways out, May 6, 2012

R. Jagannathan, M. Kapoor, E. Schaumburg, Causes of the great recession of 2007-9: the financial crisis is the symptom not the disease!, National Bureau of Economic Research, October 2009

http://www.consob.it/web/investor-education/crisi-finanziaria-del-2007-2009

http://www.consob.it/web/investor-education/i-derivati

https://www.youtube.com/watch?v=FzrBurlJUNk

 

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