Il sultano e le formiche: “Kin-la-belle”, Kinshasa per ricchi e poveri

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo (RDC), è una delle più grandi città del continente africano, seconda solo a Lagos. La sua area metropolitana ospita oggi più di 17 milioni di persone e negli ultimi decenni ha avuto dei livelli di crescita della popolazione che avrebbero messo in difficoltà i più organizzati urbanisti.

Nonostante le problematiche che ne derivano, la parte nord della città è ricca ed economicamente attiva, e nel sud, seppur povero, i kinois – gli abitanti di Kinshasa –  hanno trovato ottimi metodi per arrangiarsi e vivere dignitosamente.

Léopoldville

Nata come porto per il commercio sulle rive del fiume Congo la città prese il nome di Léopoldville in onore di re Leopoldo II del Belgio, che controllava l’area come proprietà personale. Divenne poi colonia Belga nel 1908, a causa del malgoverno del re, e capitale dei territori coloniali nel 1923, al posto di Boma.

Con il progressivo arrivo dei coloni si creò un sistema di segregazione razziale de facto, che si rifletteva nell’organizzazione urbanistica: tra la zona residenziale europea e quella africana gli abitanti lasciarono un pezzo di “terra di nessuno”. Inizialmente il limite della zona europea era segnato dalla ferrovia, ma negli anni ’20 l’espansione della popolazione bianca sorpassò tale linea di demarcazione e rese meno spaziosa la zona di divisione. Nel frattempo, dall’Europa erano arrivati nuovi commercianti: italiani, portoghesi e greci. Che, avendo la pelle un po’ più scura dei belgi, poterono insediarsi nella “terra di nessuno” e per decenni occuparono, sia socialmente che territorialmente, lo spazio tra coloni e locali.

Nel decennio successivo si sviluppò in molte città africane la “sindrome sanitaria”: i coloni avevano paura che il contatto con i locali li mettesse a rischio contagio, in particolare per la malaria. A Léopoldville, dove la separazione tra le due zone era a dir poco blanda, tale paura non tardò ad arrivare. Il Dipartimento di Salute Pubblica cittadino ritenne allora necessario creare una zona di divisione di almeno 800 metri, e per farlo ad alcuni africani vennero tolte terra e abitazione. Nel frattempo vi si costruivano un parco, uno zoo e un giardino botanico; dei passatempi per gli europei. Tra le due zone c’era anche il mercato, centro di scambi commerciali in cui si incontravano coloni e locali.

Dopo la seconda guerra mondiale da Bruxelles arrivò un nuovo piano urbanistico, fortemente razziale, che prevedeva la ristrutturazione della zona europea, in particolare degli edifici monumentali, la creazione di un enorme corridoio sanitario e di due mercati separati, uno per i locali e uno per i coloni. Per farlo si sarebbe dovuto procedere con ingenti espropriazioni e al Comitato urbano di Léopoldville non sembrò una soluzione accettabile, così come quella esposta nel piano alternativo inviato da Bruxelles dopo il rifiuto del primo.

 

Kinshasa

Nel 1960 i territori del Congo belga ottennero l’indipendenza, dopo un periodo di rivolte e un lungo processo di decolonizzazione. Ai belgi si sostituirono nuove potenze, in particolare la Francia, che oltre ad aver mantenuto un forte influenza nelle sue ex colonie, contava di espanderla anche nelle altre aree francofone del continente africano. Per riorganizzare la città furono gli stessi congolesi a chiedere il supporto di una missione di pianificazione urbana. Nel frattempo, nel 1966, il primo presidente congolese, Patrice Lumumba, era stato deposto e fatto uccidere da Mobutu, che tra le altre cose, aveva cambiato il nome della città in Kinshasa.

Fu in questi anni che la crescita della popolazione accelerò e il piano presentato dal gruppo di urbanisti era già inadatto nel momento in cui venne pubblicato. Provarono allora a progettare un nuovo piano con il supporto di geografi, sociologi e antropologi, ma anche questo non incontrò il favore dei locali. Kinshasa continuava a crescere, senza un piano organizzato, senza coordinamento, senza controllo e supporto dell’amministrazione nazionale e cittadina.

Tutto questo mentre la mala gestione di Mobutu aveva portato a un forte aumento della disoccupazione e a una riduzione dell’occupazione nel settore formale, aggravate poi dalla successiva guerra civile.

 

“Kin-la-belle” per ricchi

Kinshasa deve il soprannome Kin-la-belle allo sfarzo della zona nord, in prossimità del fiume Congo, a Gombe, dove risiedono la maggior parte della popolazione europea e i congolesi delle classi più alte. Sulla riva del fiume si trova il Palazzo della Nazione, costruito dai belgi alla fine degli anni ’50, che è diventato la rappresentazione del Congo libero dopo l’indipendenza e ospita ora il Presidente e il suo entourage.

Vicino al Palazzo si trova la tomba di Laurent Kabila, assassinato nel 2001, davanti alla quale c’è una sua statua, che lo rappresenta con il braccio destro e il dito indice alzati. Costruita e donata dal Mansudae Art Studio, rappresentante all’estero della propaganda nord coreana.

Parte del finanziamento per la costruzione del Palazzo del popolo, oggi sede delle due camere del Parlamento, viene invece dalla Repubblica Popolare Cinese. Il Palazzo è stato completato nel 1979, nel periodo Mobutu, e da lui stesso commissionato.

Gombe, oltre a essere la zona dei palazzi pubblici e delle ambasciate, ospita le sedi di grandi multinazionali – impegnate soprattutto nella lavorazione degli alimenti e nella produzione di beni di consumo – di banche, di compagnie telefoniche e grattacieli come quello del Congo Trading Center e quello della radio-televisione nazionale.

La forza di Kinshasa sta quindi nel suo essere multietnica: locali, europei, mediorientali e asiatici convivono in un unico centro urbano acceso e vitale. Infatti, se molti europei hanno lasciato la città nel periodo di Mubutu avendo risentito della zairianization – da Zaire, il nome dell’attuale RDC tra il 1971 e il 1997 – altrettanti asiatici e mediorientali vi si sono insediati e hanno permesso al tessito sociale cittadino di svilupparsi anche grazie alle relazioni con i loro Paesi di origine.

Kinshasa è anche una città culturalmente molto attiva. Ci sono le università e c’è l’accademia delle belle arti, che insieme hanno permesso alla città di dare in natali a ormai celebri scrittori, musicisti e artisti.

 

“Kin-la-belle” per poveri

Ciò che permette anche alla zona sud di Kinshasa di mantenersi attiva sono la forza e l’adattabilità dei kinois, che nonostante la povertà, il degrado urbano e la disoccupazione si sono organizzati con attività informali. Per far fronte all’insicurezza alimentare, dovuta alla crescita rapidissima della popolazione, c’è nzombo le soir, una tecnica di vendita che permette ai più poveri di acquistare la sera, quando il mercato sta per chiudere, i beni invenduti a prezzi ribassati – come lo nzombo, un pesce d’acqua dolce.

Inoltre, nell’incertezza politica ed economica della RDC e di Kinshasa, alcuni hanno fatto del cibo di strada la loro fonte di sostentamento. Un’attività che contribuisce alla gestione di due problematiche: nutre a basso prezzo e crea introiti per chi non riesce a trovare lavoro nel settore formale. La maggior parte dei produttori e venditori di cibo di strada sono donne e molte di loro hanno iniziato a farlo perché i mariti hanno perso il lavoro.

Altri invece vendono sigarette, sapone, accendini, oggetti di cartoleria, vestiti e lo fanno andando in giro per la città. Altri ancora stanno fermi e riparano pneumatici, batterie, fanno i meccanicisti barbieri e tutto quello che può servire.

La capacità di arrangiarsi, di sopravvivere, di creare della popolazione locale, fanno di Kinshasa una città buia quanto luminosa, in cui la musica, la cultura e la piccola imprenditoria, nonostante tutto, sono in fermento, e vengono utilizzati anche come mezzi di denuncia.

 

 

Fonti e approfondimenti

Atlas of Urban Expansion, Kinshasa 

BBC News Africa, Congo: A journey to the heart of Africa – Full documentary – BBC Africa, 19/01/2019

Filip De Boeck, “Poverty” and the Politics of Syncopation Urban Examples from Kinshasa (DR Congo), Current Anthropology Volume 56, Supplement 11, October 2015

Guillaume Iyenda, Street enterprises, urban livelihoods and poverty in Kinshasa, Environment&Urbanization Vol 17 No 2 October 2005

Guillaume Iyenda, Street food and income generation for poor households in Kinshasa, Environment&Urbanization Vol 13 No 2 October 2001

John Vidal, The 100 million city: is 21st century urbanisation out of control?, The Guardian, 19/03/2018

Luce Beeckmans and Liora Bigon, The making of the central markets of Dakar and Kinshasa: from colonial origins to the post-colonial period, Urban History, 43, 3,  Cambridge University Press 2015, First published online 5 June 2015

Open Cities Project, Kinshasa

 

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