Cercando di sbrogliare la matassa yemenita

Yemen_LoSpiegone
Wikimedia Commons - CC BY-SA 4.0

La guerra civile in Yemen è iniziata nel 2015 con la presa della capitale Sana’a da parte degli Houthi e la fuga del governo centrale nella città meridionale di Aden. Il processo, ancora in corso, coinvolse attori sia locali che internazionali, tra i quali l’Arabia Saudita, che si pose a capo di una coalizione internazionale per sconfiggere i ribelli zaiditi  e ancora oggi ricopre un ruolo di primo piano. Quella che sarebbe dovuta essere una “guerra-lampo” si trasformò ben presto in un conflitto interminabile, accompagnato da una gravissima crisi umanitaria

Tuttavia, alcuni recenti sviluppi nella regione potrebbero mettere fine a questa situazione di stallo. Mentre la comunità internazionale sta elaborando un nuovo approccio diplomatico, l’Oman, in buoni rapporti con tutti gli attori coinvolti, sta tentando di svolgere un ruolo di mediazione tra le varie fazioni. 

Dalla presa di Aden all’accordo di Riyadh

Il conflitto in Yemen è cominciato nel 2015 con l’attacco da parte del movimento islamista “Ansar Allah”, ovvero gli Houthi, al governo internazionalmente riconosciuto fedele al presidente Abd Rabbuh Mansour Hadi, sostenuto dall’Arabia Saudita. Le milizie zaidite, che affermavano di voler rovesciare una leadership corrotta e inefficiente, hanno invece trovato un supporto nell’Iran. Nel corso degli anni, gli Houthi sono stati spesso definiti un semplice proxy di Teheran, che li userebbe come una propria testa di ponte nella Penisola Arabica. 

Con la presa della capitale Sana’a da parte dei ribelli, la classe politica yemenita è stata costretta alla fuga. Da allora il Paese è conteso tra le due fazioni, ognuna incapace di ottenere una vittoria definitiva sull’altra. Ad oggi, il conflitto è ancora in corso e il contesto politico si è ulteriormente aggravato a seguito del profilarsi di nuovi attori; oltre ai gruppi jihadisti, il più importante è il Consiglio di transizione del sud (CTS), sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti. Guidato da Aidarous al-Zubaidi, il CTS venne creato nel 2017 con il preciso obiettivo di ottenere l’indipendenza dello Yemen del Sud. Approfittando della guerra civile tra Houthi e il governo di Hadi, i separatisti sono riusciti a conquistare Aden nell’agosto 2019. 

A seguito della presa della città costiera di Aden, il 5 novembre dello stesso anno, l’Arabia Saudita ha mediato il cosiddetto accordo di Riyadh, sancendo la condivisione del potere tra il movimento separatista e le forze guidate da Hadi. Sebbene non siano state implementate tutte le clausole dell’accordo, le trattative hanno portato, nel 2020, alla creazione di un governo condiviso guidato da Maeen Abdulmalik Saeed, a cui è stato affidato il sud del Paese. Il ruolo svolto da Riyadh nella firma dell’accordo ha ulteriormente rafforzato la posizione saudita in Yemen, dopo  anni di tentativi volti a riguadagnare la propria influenza nel Paese.  

Al contempo, l’accordo di Riyadh ha fermato gli scontri tra le forze governative e il CTS. Il governo si è quindi concentrato nel fermare l’avanzata militare degli Houthi. Questi ultimi possiedono sotto il loro controllo gran parte del nord del Paese e circa l’80% della popolazione yemenita. Il consiglio guidato da al-Zubaidi è infatti alleato della coalizione a guida saudita, dalla quale riceve protezione e armamenti. Il suo principale fornitore e sponsor rimane comunque Abu Dhabi. Proprio nella capitale emiratina infatti è stata addestrata la Security Belt Force, un’unità incaricata di combattere le milizie zaidite operative nello Yemen meridionale. 

Tuttavia, la collaborazione del CTS con il governo internazionalmente riconosciuto potrebbe non essere definitiva. Il gruppo ha ottenuto legittimità politica, ma non ha rinunciato ai suoi obiettivi, primo tra tutti la secessione dello Yemen del Sud. Inoltre, dal momento che per ragioni di sicurezza Hadi, Saeed e i loro collaboratori si trovano ancora a Riyadh, Aden rimane sotto il controllo di al-Zubaidi. I rapporti tra il governo internazionalmente riconosciuto e il CTS sono quindi molto instabili e influenzabili dalle relazioni tra i due rispettivi sostenitori, ovvero Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti

Un nuovo (fallace?) approccio per gli Stati Uniti e la comunità internazionale

Mentre il conflitto armato è ancora in corso, con gravissime ripercussioni sulla popolazione civile, la comunità internazionale sta tentando di sviluppare un nuovo approccio diplomatico che porti a una risoluzione del conflitto. A tale riguardo, a febbraio 2021, lamministrazione statunitense guidata da Joe Biden ha dichiarato la necessità di riconoscere Ansar Allah come un’autorità de facto e quindi come un interlocutore legittimo. Per questa ragione, gli Houthi sono stati rimossi dalla lista delle Organizzazioni terroristiche straniere del Dipartimento di Stato americano

Gli Stati Uniti hanno altresì dichiarato la loro volontà di non collaborare più con la coalizione a guida saudita. L’intento di Washington è quello di promuovere l’arrivo di aiuti umanitari anche nelle aree settentrionali dello Yemen. Inoltre, ad agosto, le Nazioni Unite hanno nominato come Inviato speciale del Paese il diplomatico svedese Hans Grundberg, già ambasciatore in Yemen per conto dell’Unione europea. Questi sviluppi sono stati accolti da alcuni analisti come un possibile punto di svolta per la risoluzione del conflitto. Tuttavia, le reazioni all’interno del Paese non sono state in linea con le aspettative occidentali. 

Il riconoscimento dell’autorità de facto degli Houthi sullo Yemen settentrionale e la fine del supporto alla coalizione anti-Houthi sono stati pensati dagli Stati Uniti e dalla comunità internazionale come una strategia per avvicinare gli zaiditi al tavolo dei negoziati. L’obiettivo è coinvolgere tutte le parti in un processo di pace in grado di risolvere il conflitto attraverso una soluzione diplomatica. 

Ad oggi, tuttavia, Ansar Allah sembra essere la fazione meno incline ad accettare un “cessate il fuoco”: date le sue continue vittorie militari, il movimento zaidita non ha ragione di fermare la propria offensiva, soprattutto se l’invito a negoziare proviene dagli Stati Uniti, considerati una potenza nemica. 

Riguardo la figura di Grundberg, all’inizio di agosto, Mohammed Abdul-Salam, principale portavoce degli Houthi, ha dichiarato che non intende incontrare il diplomatico svedese finché la coalizione a guida saudita continuerà a bloccare porti e aeroporti. La legittimazione del potere statale ha di fatto consegnato ad Ansar Allah una maggiore sicurezza e la spinta nel portare avanti le proprie campagne militari. Di fatto pochi giorni dopo l’annuncio della nuova strategia statunitense, gli Houthi hanno ripreso l’offensiva contro la città di Marib, l’ultima roccaforte del governo yemenita nel nord del Paese, intorno alla quale si trovano riserve petrolifere e gasifere. 

L’ingresso dell’Oman: una possibile svolta? 

Se il nuovo approccio statunitense e le proposte della comunità internazionale sembrano poco promettenti, una possibile svolta potrebbe provenire dagli attori regionali. A tale riguardo, l’Oman si sta impegnando in un’importante azione diplomatica, mantenendo il suo tradizionale ruolo di mediatore indipendente e neutrale. Il sultanato punta a una risoluzione della questione yemenita di tipo non militare, principalmente per tutelare la propria sicurezza interna: le violenze non devono in alcun modo riversarsi nel Dhofar, la regione omanita al confine con lo Yemen

Ad oggi Haitham bin Tariq, l’attuale sultano dell’Oman, deve dimostrare di essere all’altezza del suo predecessore Qaboos bin Sa’id nel mediare i conflitti regionali, mantenendo al contempo l’indipendenza del proprio Paese. Haitham bin Tariq è infatti interessato a migliorare i legami con l’Arabia Saudita, Paese che tra l’altro ha scelto come meta per la sua prima visita di Stato all’estero lo scorso 11 luglio. Nel contesto yemenita, questo avvicinamento implica che anche il governo internazionalmente riconosciuto potrebbe beneficiare della diplomazia omanita

Musqat è tuttavia in ottimi rapporti anche con gli Houthi. Al contrario degli altri Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG), l’Oman ha sempre guardato ad Ansar Allah come a un attore indipendente, non un “burattino” iraniano. Già nel 2015, infatti, il sultanato aveva ospitato alcuni colloqui tra i rappresentanti del gruppo zaidita e diplomatici statunitensi. Benché quest’ultimo incontro si sia rivelato infruttuoso, ha dimostrato la capacità dell’Oman di fungere da ponte diplomatico tra le varie parti del conflitto. Avvicinandosi all’Arabia Saudita, Musqat potrebbe diventare pertanto un tramite tra Ansar Allah e Riyadh (e di conseguenza Hadi e Saeed). 

L’impegno dell’Oman, un attore regionale (e quindi non una potenza occidentale o esterna), neutrale e in buoni rapporti con tutte le parti coinvolte (incluso l’Iran, alleato di Ansar Allah) potrebbe effettivamente portare a una svolta per una risoluzione diplomatica del conflitto. Tuttavia, come sottolinea Giorgio Cafiero, Musqat non ha una soluzione a portata di mano in grado di districare la matassa yemenita con le sue sole forze. Tutte le fazioni hanno l’onere di fare la propria parte, alla luce di un contesto politico, come quello yemenita, in continua evoluzione e profondamente legato agli interessi degli attori regionali.

 

 

 

Fonti e approfondimenti

Eleonora Ardemagni, Saudi Arabia’s New Balances on Yemen, ISPI, 20/07/2021. 

Giorgio Cafiero, Oman’s Diplomatic Agenda in Yemen, Arab Center Washington DC, 30/06/2021.

Ibrahim Jalal, The Riyadh Agreement: Yemen’s new cabinet and what remains to be done, MEI, 01/02/2021. 

Sean Mathews, Yemen stuck in ‘indefinite state of war’ with peace a long way off, new UN envoy warns, Middle East Eye, 10/09/2021. 

Middle East Eye, Yemen war: Who is the Southern Transitional Council?, 30/08/2019.

Middle East Eye, Yemen war: Top Houthi negotiator says ‘no use’ in meeting new UN envoy now, 08/08/2021.

Ahmed Nagi, Bader Al-Saif, Biden in Yemen: When “End the War” Brings More Wars, ISPI, 26/04/2021.

Peter Salisbury, Yemen’s Southern Transitional Council: A Delicate Balancing Act, ISPI, 29/03/2021.

Valeria Talbot (ed), Focus Mediterraneo allargato n. 17, ISPI, 29/09/2021. 

 

 

Editing a cura di Carolina Venco

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