La situazione economica francese alla vigilia delle elezioni

Lo Spiegone

Si avvicina in Francia il fatidico giorno delle elezioni che tutta Europa aspetta con estrema ansia. Mentre l’attenzione dei media si concentra principalmente sui legami con l’Unione Europea e sui possibili scenari che una vittoria del Front National aprirebbe sulla scena politica, la vera sfida per il futuro premier sarà quella di fronteggiare una situazione economico e sociale molto delicata. La Francia gode ancora di una grandissima reputazione a livello economico nello scacchiere internazionale, tuttavia, se si analizzano alcuni indicatori, la realtà è decisamente preoccupante.

Partendo dall’indicatore più semplice, negli ultimi cinque anni il tasso di crescita annuale del PIL francese continua a ristagnare attorno all’1% (1.10% nel 2016) e non sembrano esserci grandi margini di crescita nelle previsioni per il futuro. Pesa sulla percentuale l’ormai stabile negatività della bilancia dei pagamenti francese che vede nello specifico il numero di importazioni maggiore rispetto a quello delle esportazioni. Secondo gli ultimi dati dell”Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), nel 2016 le importazioni hanno rappresentato il 31% rispetto al PIL francese mentre le esportazioni il 29%. Le importazioni sono al centro del dibattito per quanto riguarda i programmi dei candidati premier, in particolare di quello di Marine Le Pen che vede tra i punti centrali del suo programma economico un rilancio delle politiche protezioniste, a cominciare dall’imposizione di dazi sulle merci importate o che non hanno neanche una fase di produzione in territorio francese.

Per rilanciare la produzione e la crescita del PIL i candidati hanno posto al centro dei loro programmi il rilancio del settore industriale, in particolare attraverso quello energetico. Mentre Mélenchon vuole nazionalizzare le aziende elettriche Électricité de France (Edf) ed Engie,  abbandonando l’energia nucleare, vietando l’estrazione dei gas di scisto e gli aiuti alle energie fossili, di diverso avviso sono gli altri candidati.

Fillon prevede di sviluppare la quota di energie rinnovabili (in particolare il legname e la geotermia), di continuare lo sfruttamento del settore nucleare francese attuale rendendolo più moderno.

Macron prevede di ridurre la quota del nucleare al 50 per cento della produzione di elettricità, di sviluppare le energie rinnovabili (l’energia eolica e solare fotovoltaica), vietare i gas di scisto e chiudere tutte le centrali a carbone.

Il progamma di Hamon, stilato con il leader dei verdi Yannick Jadot, punta al divieto degli interferenti endocrini, l’eliminazione del diesel nel 2025 e l’uscita dal nucleare in 25 anni puntando sulle energie rinnovabili.

Nel suo programma da 144 punti, Marine Le Pen non analizza nel dettaglio il problema energetico, limitandosi a dire di non voler abbandonare il nucleare e tanto meno le centrali a carbone (compresa quella di Fessenheim, la più vecchia di Francia).

Debito pubblico

A preoccupare, inoltre, è il continuo aumento del debito pubblico: in meno di dieci anni la Francia ha visto il suo debito in percentuale al PIL passare da un sostenibile 64.4% (2007) ad un preoccupante 96% (2016). Se la crescita della percentuale sembrava giustificabile all’indomani della crisi del 2008, poiché il PIL (ossia il denominatore nel rapporto) è diminuito bruscamente per tutti i principali Paesi occidentali, il successivo progressivo incremento segnala un’ evidente difficoltà strutturale nell’economia francese. In particolare, la spesa pubblica francese rimane una delle più alte all’interno dell’Eurozona, raggiungendo il 57% in rapporto al PIL.

E’ da sottolineare, tuttavia, che nonostante l’apparato amministrativo francese sia molto esteso, paragonabile a quello italiano, l’alta percentuale di spesa pubblica deriva anche dai finanziamenti per i servizi pubblici, come quello del sistema sanitario nazionale che permette alla Francia di essere il primo Paese al mondo in termini di qualità in questa speciale classifica. E’ chiaro che una spesa pubblica così elevata prevede una tassazione molto rigida, inasprita in particolare dal governo socialista guidato da Hollande. Secondo i dati della Banca Mondiale, nel 2015 le entrate derivanti dalla tassazione toccavano il 23.4% confrontate al PIL. In questa ottica è interessante approfondire le proposte e le visioni dei candidati per quanto riguarda la tassazione, sia in termini di costi per le imprese, sia per quanto riguarda i redditi familiari:

François Fillon vuole una riduzione stabile degli oneri sociali e dell’imposta sulle aziende, che intende fissare al 25 per cento. L’imposta di solidarietà sulla ricchezza sarebbe soppressa e il tasso normale dell’iva sarebbe aumentato di due punti. Fillon vuole anche instaurare un’imposta unica per tassare il capitale e il patrimonio.

Jean-Luc Mélenchon vuole rendere l’imposta sul reddito più progressiva instaurando 14 scaglioni invece di cinque. Il suo sistema fiscale mira a colpire i più ricchi: i redditi oltre i 400mila euro avrebbero un’imposta del 100 per cento, l’imposta sul patrimonio sarebbe rafforzata, i diritti di successione sarebbero aumentati, le eredità limitate a 33 milioni di euro, tassazione dei francesi residenti all’estero e adozione di un’iva sui prodotti di lusso.

Emmanuel Macron sostiene che la fiscalità non deve penalizzare l’attività economica. Vuole favorire l’investimento nelle imprese limitando l’imposta sul patrimonio immobiliare e creando un prelievo unico sul capitale. Vuole anche ridurre il costo del lavoro e l’imposta sulle aziende. Per i privati promette di ridurre i contributi salariali e di sopprimere la tassa comunale per l’80 per cento delle famiglie. Prevede di aumentare il contributo sociale generale (csg) ma non l’iva.

Marine Le Pen vuole ridurre le imposte sulle famiglie, promette di non aumentare né il csg né l’iva, di aumentare il tetto del quoziente familiare, di ridurre l’imposta sul reddito per i tre primi scaglioni e di sopprimere al tempo stesso il prelievo alla fonte. La candidata del Front national conserverebbe invece l’imposta sul patrimonio. Per le imprese propone una fiscalità favorevole soprattutto alle piccole e medie imprese (tassa intermedia di imposta sulle aziende, riduzione degli oneri sociali e così via).

Benoît Hamon è favorevole a una tassazione basata sul prelievo alla fonte e vuole riformare l’imposta sul patrimonio per favorire l’accesso alla proprietà rispetto agli eredi. Ma la sua priorità è la lotta contro l’evasione fiscale. Vuole combattere il monopolio esercitato dal ministero delle finanze e tassare i profitti nascosti delle multinazionali e delle banche al di là dei cinque miliardi di euro. Il candidato prevede nuove tasse sui robot e sulle transazioni finanziarie.

Disoccupazione

Nonostante i problemi precedentemente descritti, rimane da considerare quello più scottante: la disoccupazione. Nell’ultimo trimestre del 2016, il tasso di disoccupazione sulla forza lavoro totale si attesta attorno al 10%, riducendosi di 0.1 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. Il tasso di disoccupazione francese è tra i peggiori d’Europa: peggio della Francia solo Grecia, Spagna, Portogallo ed Italia. Uscendo dall’Unione Europea e confrontando il dato con i Paesi del G20, il risultato è ancora peggiore. La Francia presenta il più alto tasso di disoccupazione, peggio di lei solo l’Italia.

A farne le spese sono sopratutto i giovani (15-24 anni) che presentano un tasso di disoccupazione pari al 24%. Altro gruppo estremamente colpito dalla mancanza di lavoro sono coloro che presentano un grado di istruzione basso (ossia coloro che non hanno raggiunto il diploma superiore) che secondo le stime della Banca Mondiale si attestano attorno al 17.5% sul totale dei disoccupati. Di questi, la maggior parte popola le banlieue e le zone metropolitane più disagiate creando una situazione esplosiva fortemente difficile da fronteggiare. La contestatissima legge del lavoro varata in estate dal governo socialista non sembra aver portato, almeno nel breve periodo, i risultati sperati, sebbene secondo le statistiche si sia verificato un minimo aumento degli occupati. 

Il mercato del lavoro e la sua riforma è tra gli argomenti principali nei programmi dei canditati premier. Su questo tema nascono le maggiori differenze tra le varie posizioni assunte. Tra i maggiori temi, ci sono la protezione sociale e l’orario di lavoro.

Protezione sociale

François Fillon propone di spostare l’età pensionabile a compenso pieno a 65 anni ma vuole rivalorizzare le piccole pensioni del 10 per cento. Propone inoltre di rendere i sussidi di disoccupazione decrescenti e di condizionare la sua proposta di sussidio sociale unico (una fusione tra i vari sussidi esistenti) alla ricerca di un lavoro.

Jean-Luc Mélenchon vuole ripristinare la pensione a compenso pieno a 60 anni. Prevede di instaurare un “fondo sociale professionale” che garantisca una continuità di reddito in caso di perdita del lavoro, un sussidio di autonomia per le fasce d’età 18-25 anni, un versamento semplificato del sussidio per i più poveri e una rivalorizzazione dei minimi sociali per superare la soglia di povertà (840 euro).

Emmanuel Macron propone un regime pensionistico unico (senza toccare l’età legale per andare in pensione né l’ammontare delle pensioni) e un sussidio sociale unico versato automaticamente. L’assicurazione per la disoccupazione diventerebbe universale (lavoratori autonomi e dipendenti) ma sarebbe soppressa dopo due rifiuti di un posto di lavoro “decente”. Per le cure mediche più costose (occhiali, protesi, eccetera) il candidato vuole un rimborso al 100 per cento con la partecipazione delle assicurazioni private.

Marine Le Pen, fedele al principio della “priorità nazionale”, vuole garantire la sicurezza sociale a tutti i francesi e rendere più dure le condizioni di accesso a una copertura sanitaria per gli stranieri. L’età legale pensionabile sarebbe riportata a 60 anni, un incentivo sarebbe versato ai redditi più modesti e i sussidi familiari ridiventerebbero universali.

Benoît Hamon difende il progetto di reddito universale di esistenza (Rue) per lottare contro la precarietà e aumentare i redditi delle persone attive, dipendenti, studenti o lavoratori autonomi. Questa somma, che dovrebbe arrivare a 750 euro si aggiungerebbe alle prestazioni già esistenti. Le pensioni minime sarebbero rivalorizzate del 10 per cento e la gravosità del lavoro sarebbe presa in conto nel calcolo della pensione.

Orario di lavoro

François Fillon propone di sopprimere le 35 ore e di lasciare alle aziende il compito di decidere caso per caso attraverso degli accordi interni. Per il candidato è importante rendere meno vincolanti le regole di protezione per i dipendenti e vuole limitare a un tetto massimo le indennità del tribunale del lavoro e chiarire le regole del licenziamento per motivi economici. Le piccole e medie imprese sono un altro tema caro a Fillon, che vuole ridurre gli oneri sociali e i vincoli imposti alle imprese raddoppiando le cosiddette “soglie sociali” (il numero di dipendenti a partire dal quale le imprese sono tenute a rispettare determinati obblighi).

Jean-Luc Mélenchon è favorevole alla riduzione dell’orario di lavoro, favorendo il passaggio alle 32 ore e instaurando una sesta settimana di ferie. Il salario minimo dovrebbe essere aumentato del 16 per cento e inoltre vuole limitare il ricorso al tempo parziale e ai contratti a tempo determinato, ed è favorevole a un “diritto al lavoro” che obbligherebbe lo stato ad assumere i disoccupati per compiti di carattere generale.

Emmanuel Macron vuole conservare la durata dell’orario di lavoro a 35 ore. È però favorevole a un rafforzamento del dialogo sociale al livello dell’azienda e non esclude che il tempo parziale possa essere adottato (in più o in meno) nel quadro di negoziati sulla base delle esigenze del lavoratore o dell’impresa. Propone inoltre di esonerare gli straordinari dalla tassazione fiscale.

Marine Le Pen chiede l’abrogazione della legge El Khomri (nuova legge sul lavoro) e il mantenimento delle 35 ore. Un negoziato per un possibile allungamento dell’orario di lavoro è possibile ma solo a due condizioni: che sia fatto a livello di categoria professionale e che il compenso salariale sia integrale (39 ore pagate effettivamente 39 ore). In virtù del principio della “priorità nazionale”, vuole instaurare una tassa addizionale sull’assunzione di lavoratori stranieri.

Benoît Hamon vuole sostituire la legge El Khomri con un testo che “incoraggerà la continuazione della riduzione collettiva dell’orario di lavoro” su base volontaria. Vuole creare un fondo di transizione lavoro (ftt) per “creare un numero di nuovi posti uguale a quelli che si perdono” con i cambiamenti dell’economia.

Conclusioni

Mancano ormai pochi giorni alle agognate elezioni: gli occhi del mondo guardano alla Francia, con un misto di paura e speranza. Il voto francese arriva in un momento decisivo negli equilibri internazionali e l’attacco di ieri sera non aiuta a distendere il clima già infuocato all’interno del territorio francese. Nonostante questi problemi, fondamentale sarà per il prossimo premier rilanciare l’economia interna e le condizioni sociali della popolazione. La Francia rischia seriamente di perdere quel ruolo di leader europeo che oggi sembra semplicemente un retaggio storico. Non ci resta che attendere.

 

 

Fonti e Approfondimenti:

http://www.lemonde.fr/election-presidentielle-2017/article/2017/03/20/presidentielle-quels-sont-les-programmes-des-cinq-principaux-candidats_5097681_4854003.html

http://www.internazionale.it/notizie/2017/03/21/programmi-candidati-francia

https://www.insee.fr/en/statistiques/2586698

https://www.theguardian.com/world/2016/aug/18/french-unemployment-rate-falls-first-time-2012-francois-hollande

http://data.worldbank.org/country/france

https://data.oecd.org/unemp/unemployment-rate.htm

http://it.tradingeconomics.com/france/unemployment-rate

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-02-22/nel-mirino-anche-debito-francese-e-scarsi-investimenti-tedeschi-150539.shtml?uuid=AEP8I7a

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