Quando nel 1997 il Protocollo di Kyoto fu firmato, l’obiettivo dei contraenti era quello di realizzare una transizione né rapida né completa, ma comunque rilevante, verso l’impiego di fonti energetiche meno inquinanti. In maniera non del tutto inattesa, invece, il consumo di carbone, giudicato il principale responsabile di inquinamento, è addirittura cresciuto. Ad averne abusato è stata senza dubbio la Cina, consumatore dell’87% del totale di carbone globalmente impiegato tra il 2003 ed il 2013: Pechino, in altre parole ha utilizzato per anni più della metà del carbone mondiale.
A ben vedere, tuttavia, se l’emissione per capita di diossido di carbonio è altissima, lo stesso non può dirsi per il consumo di energia per capita. In altre parole, il consumo che il singolo abitante cinese fa di energia è nettamente inferiore rispetto alle medie europee e americane. Nonostante non sia possibile consultare dati ufficiali di Pechino, per esempio, un cinese medio consuma circa dieci volte meno petrolio di quanto faccia un canadese solo relativamente agli spostamenti, includendo quelli per il lavoro e di turismo. O ancora, se la gran parte del consumo pro capite di energia in Occidente è dato dalle attività domestiche, ed in particolare televisione ed elettrodomestici, la stima si ferma al solo 12% per un cinese medio. Su di lui, in dunque, pesa un importante fattore: lo sviluppo economico.
La spettacolare crescita economica che la Cina ha vissuto negli ultimi anni è la principale ragione delle crescenti richieste di energia con cui la seconda economia mondiale si sta confrontando.
Ad una rapida analisi dei dati, la crescita del prodotto interno lordo cinese è quasi sovrapponibile a quella di necessità di energia, che si è così attestata:
Con l’avanzare degli anni, secondo un trend già consolidato negli ultimi tempi, la richiesta di petrolio e gas naturale diverrà costantemente maggiore. La dipendenza da petrolio per il prossimo quinquennio, infatti, è stimata ad una crescita del 3.8 %.
Allo stato attuale, il paniere energetico della Cina è dominato, abbondantemente sopra il 60%, dal carbone seguito da petrolio e dal gas naturale. Tuttavia, principalmente per fattori ambientali e restrizioni nel suo utilizzo, si stima che la presenza di carbone nel mix energetico si ridurrà in maniera cospicua. Conseguentemente, la Cina, a partire dall’ultimo decennio dello scorso secolo, ha vissuto una dipendenza dall’importazione del petrolio che sfiora il 50%. Sulla crescita della dipendenza dal petrolio gli studiosi sono piuttosto in disaccordo. Pur riconoscendo ancora valide le già menzionate stime, non è improbabile che essa si possa ridurre in conseguenza del grande accordo tra la Cina e la Russia sulla fornitura di gas naturale da 400 miliardi di dollari recentemente concluso.
Ad ogni modo, sin dalla fine del 1994, la Cina ha gestito un’importante riorganizzazione delle compagnie energetiche nazionali, con il forte emergere di NOC, CNPC e Sinopec. Molte di esse, per altro, sono fortemente presenti nel continente africano, dove hanno concluso accordi per l’estrazione di enormi quantità di greggio. Tutte queste compagnie, benchè il white paper sull’energia del 2012 andasse nella direzione opposta, sono statali, data la necessitò di concludere accordi bilaterali a lungo termine previa negoziati politici di alto rilievo.
Nonostante le varie critiche e preoccupazioni per l’ingombrante presenza cinese nel continente africano, i principali partners da cui la Cina ricava petrolio si trovano in Medio Oriente. La garanzia del principio di non interferenza, infatti, ha fatto della Cina un importante alleato di paesi come l’Arabia Saudita, l’Iran e l’Iraq. Anche l’America Latina, ed in particolare il Venezuela, ha stretto accordi con la Cina in tema di fornitura di petrolio. Agendo in tale direzione, la Cina si trova quotidianamente a confronto con due fenomeni: da una parte una crescente critica in relazione ai rapporti stabiliti; dall’altra il pericolo della pirateria nel trasporto delle risorse. Quanto al primo dei due problemi, Pechino è fortemente invisa a buona parte dell’opinione pubblica internazionale per aver sostituito gli storici partner economici dell’Africa e dell’America Latina attraverso una politica che restituisce in termini infrastrutturali e monetari la disponibilità a cedere carboni fossili. Il secondo fenomeno concerne invece il trasporto marittimo dei medesimi materiali, che attraversa zone particolarmente pericolose in cui la pirateria è un fenomeno piuttosto comune. La Cina ha pertanto provveduto alla creazione di pattugliamenti e di specifiche strategie ed alleanze con i Paesi di transito, al fine di non mettere a repentaglio la propria sicurezza energetica.
Quando nei più disparati contesti nazionali ed internazionali la Cina ha dichiarato piena fedeltà nel modello di crescita ad ogni costo, quasi nessun attore statale ha creduto nella possibilità che ciò comprendesse anche l’impiego di energia rinnovabile. Notevoli sono, infatti, stati i passi fatti in tale direzione, benchè è del tutto inimmaginabile, allo stato attuale, per la Cina, pensare di far a meno in maniere considerevole delle tradizionali fonti energetiche.
Indubbiamente, importanti progetti sono stati portati avanti anche nel settore idroelettrico, con la costruzione, in toto solo recentemente ultimata, della Diga delle tre gole. Essa, nonostante alcune preoccupazioni iniziali, oltre a presentarsi come fonte importante di energia sul Fiume Azzurro, ha anche in parte risolto i problemi di straripamento che, con cadenza quasi annuale, si stavano verificando nell’area. Tuttavia, i costi esorbitanti, comparati alla resa in termini di produzione energetica sono sembrati assolutamente poco soddisfacenti per un Paese che necessita di un considerevole fabbisogno energetico.
D’altro canto, come in molti hanno sottolineato, la crescita economica cinese ha subito un rallentamento che si ripercuoterà nel breve periodo anche sulla richiesta energetica. In tal senso, quella che è stata lungamente definita vera e propria emergenza energetica potrebbe non rivelarsi più una delle principali priorità del governo di Pechino che, con il supporto degli accordi bilaterali già in atto e con il rapido avanzare dell’impiego di risorse rinnovabili, potrebbe lentamente rinunciare anche ad alcune quote di carbone.
Fonti e Approfondimenti:
http://www.theenergycollective.com/robertwilson190/420531/why-china-still-behind-west-energy
http://oilprice.com/Energy/Energy-General/Chinas-Insatiable-Hunger-for-Energy-Resources.html
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