America latina, USA e Gerusalemme Ovest

America latina, USA e Gerusalemme Ovest
@James Emery - wikimedia commons - Licenza: Attribution 2.0 International (CC BY 2.0)

Dopo la contestata decisione dell’amministrazione Trump, gli Stati Uniti non sono rimasti a lungo i soli ad aver spostato le proprie sedi diplomatiche nello Stato israeliano.

Dopo pochi giorni, rispettivamente il 16 e il 21 maggio, il Guatemala e il Paraguay sono diventati il secondo e terzo Stato a riconoscere Gerusalemme Ovest come sede della propria Ambasciata presso Israele. La scelta diplomatica dei due Paesi latinoamericani non sorprende alla luce della storica influenza statunitense esercitata sulla Regione, ma anche dei recenti rapporti di vicinanza con lo Stato di Israele.

Guatemala e Paraguay sulle orme di Trump

Jimmy Morales, il Presidente del Guatemala, è stato il primo a seguire l’esempio di Trump, rendendo nota la decisione a marzo, durante una riunione dell’influente lobby americana pro-Israele Aipac (Commissione per gli Affari Pubblici di Israele). Per il Paese centroamericano si tratta solo di un ritorno: fu infatti il secondo Paese al mondo a riconoscere lo Stato di Israele, e il primo a trasferire la propria Ambasciata a Gerusalemme, anche se dal 1980 ad oggi si era spostata a Tel Aviv.  Inoltre, il Guatemala è stato uno dei cinque Paesi schieratisi con USA e Israele nelle ultime votazioni ONU su Gerusalemme (insieme a Honduras, Togo, Micronesia, Nauru, Palau e Isole Marshall). 

Alla cerimonia di apertura dell’ambasciata paraguayana ha partecipato direttamente il Presidente Horacio Cartes, in conclusione di mandato, che si è definito entusiasta e “nemico delle posizioni tiepide o ambigue”. Cartes ha voluto sottolineare l’altissimo livello dei rapporti tra il suo Paese e il mondo arabo, ma secondo Carlos Mateo Balmelli, figura di spicco del Partito Liberale all’opposizione, la scelta del Presidente è stata un errore oltre che una provocazione, in un momento in cui “bisognerebbe costruire ponti”.  

A conclusione della visita, è stato firmato un memorandum d’intesa tra Netanyahu e Cartes che prevede la fornitura di beni alimentari da parte dal Sud America in cambio di tecnologie da parte di Israele.

L’occasione ha rappresentato anche la prima visita ufficiale di un Presidente paraguayo nello Stato israeliano, nonostante i rapporti bilaterali dei due Stati siano ben consolidati nel tempo. Il Paraguay fu uno dei 33 Paesi firmatari del fallimentare Piano di partizione della Palestina ONU (UNSCOP) del 1947, che proponeva la ripartizione del territorio conteso nel conflitto israelo-palestinese in due Stati autonomi, ed il controllo internazionale sulla città di Gerusalemme. Paraguay e Israele mantengono relazioni diplomatiche dal 1947, nonostante alcuni periodi di sospensione per motivi di budget.

Israele e il Sud America

Meno di un anno fa, a settembre 2017, Netanyahu è stato il primo Premier israeliano in carica in visita ufficiale in Sud America: nel suo tour politico-diplomatico ha incontrato i leader di Argentina, Paraguay, Colombia e Messico, tutti Paesi in cui le tornate elettorati hanno portato alla vittoria esecutivi ostili verso l’Iran e aperti al dialogo con Israele. La visita di Netanyahu in Argentina è significativa per via della presenza nel Paese della settima comunità ebraica al mondo (181 000 membri), e degli attentati compiuti tra il 1992 e il 1994 all’Ambasciata israeliana e al centro ebraico AMIA, di cui l’interpol ritiene responsabile il regime iraniano. La cooperazione diplomatica, nel campo della sicurezza e della lotta al terrorismo, è stata al centro del dibattito fra i leader, soprattutto alla luce dell’importanza strategica della regione latinoamericana per i presunti rapporti tra il narcotraffico e il finanziamento del movimento terrorista Hezbollah, uno dei principali nemici di Israele.

Una spiegazione a lungo termine dell’interesse di Netanyahu per il Sudamerica è sicuramente legata al rapporto del suo Paese con lo storico alleato nel Nord del continente. La demografia statunitense, secondo svariate stime, è destinata a modificarsi radicalmente entro il 2050, fino ad arrivare a contare circa il 30% della popolazione con origini ispaniche: in questo senso, le politiche israeliane di avvicinamento diplomatico mirano a instaurare nel sentimento collettivo sudamericano (specialmente nel caso messicano) un’immagine positiva dello Stato mediorientale che non influenzi i rapporti di amicizia futuri con gli USA. 

Tutte le visite di Netanyahu, il cui obiettivo era “potenziare l’immagine di Israele nel mondo”, sono state accompagnate dal tentativo di rafforzare i rapporti commerciali bilaterali, anche in considerazione dell’importanza del mercato sudamericano.  Con la Colombia la collaborazione è florida e duratura, basti pensare ai 550 milioni di dollari di strumentazioni e armi esportate nel Paese dall’industria bellica israeliana, e le centinaia di imprese che operano sul mercato colombiano. In Messico, dove si trova la seconda comunità ebraica sudamericana (40 000 membri), la situazione è più complessa: il Presidente Pena Nieto non ha gradito il supporto “social” di Netanyahu al muro proposto da Trump per dividere il suo Paese dagli USA, e la visita del Primo Ministro israeliano ha rappresentato il tentativo di ricucire lo strappo diplomatico. 

I rapporti commerciali tra Israele e il blocco sudamericano risalgono però a dieci anni fa, quando, nel dicembre 2007, Israele fu il primo Paese “non-latino” a stipulare un accordo con il MERCOSUR (Mercado Común del Sur). L’Accordo di Libero Scambio (ALS), firmato dopo due anni di negoziati, fu definito dall’allora Primo Ministro israeliano, Ehud Olmert, un “ponte tra il suo paese e l’America latina” che avrebbe dovuto mettere le basi per una maggiore e migliore collaborazione sul piano internazionale. L’accordo prevedeva, per i primi quattro anni, un abbassamento del 40% dei dazi doganali sulle esportazioni israeliane verso gli Stati membri dell’Organizzazione ed un impegno, nell’arco di dieci anni, verso la progressiva rimozione per tutti i prodotti agricoli e industriali. Al momento della conclusione, l’86% delle esportazioni verso Israele dei principali partner MERCOSUR erano esenti da dazi doganali. L’ALS non è stato accolto positivamente da tutti i membri dell’Organizzazione e, infatti, dal momento della sua sottoscrizione è rimasto bloccato per tre anni a causa della mancata ratifica da parte di alcuni Parlamenti nazionali. In particolare il Brasile, tramite la Commissione per le relazioni estere e la difesa nazionale del Congresso, ha raccomandato la sospensione della ratifica fino al momento in cui Israele non avesse accettato la creazione di uno Stato palestinese secondo i confini stabili nel 1967. Questa presa di posizione ha rappresentato un enorme problema per lo Stato mediorientale, sia per le sue implicazioni pratiche che per quelle politiche, considerando che il Brasile era (ed è) la maggiore economia del Sud America e, senza alcun accordo, la terza maggiore destinazione delle sue esportazioni. 

Fin dall’inizio dei negoziati – per conto del Comitato Nazionale Palestinese per il BDS (Boicottaggio, Disimpegno e Sanzioni) – la Campagna dell’Organizzazione popolare palestinese contro il Muro della “Apartheid” ha collaborato con gli intellettuali, i movimenti sociali, i partiti ed i singoli politici brasiliani per bloccare la ratifica dell’accordo, costituendo il “Fronte per la Difesa del popolo palestinese” ed il “Fronte parlamentare contro la ratifica del contratto per la zona di libero scambio”. Nonostante le pressioni, l’accordo è stato ratificato dal Brasile (anche se con notevole ritardo) ed è entrato in vigore nel marzo 2010, dando un forte impulso alle importazioni da Israele nel settore tecnologico della regione sudamericana. 

Negli ultimi giorni, le relazioni tra America Latina e Israele sono tornate all’ordine del giorno della cronaca. Oggi si sarebbe dovuta giocare una partita di calcio “amichevole” tra le squadre di Argentina e Israele,  in vista dei Mondiali in apertura a Mosca la prossima settimana. Da quando la data è stata ufficializzata, ed i biglietti messi in vendita, l’evento è subito diventato un caso politico. Pietra dello scandalo è stata, chiaramente, la localizzazione dell’evento proprio a Gerusalemme: prevedibili le proteste della BDS e della Federcalcio palestinese, oltre che le minacce esplicite semi-anonime nei confronti della nazionale argentina, in particolare contro il capitano Lionel Messi. Alla fine, il match è stato annullato per motivi di “sicurezza”, ma non sono mancate giustificazioni politiche ufficiose e risentimenti diplomatici. Il Ministro della Difesa israeliano ha criticato la scelta degli atleti argentini di cedere alle pressioni degli “odiatori”, ed il Presidente Macrì – che avrebbe dovuto assistere alla partita – ha tentato di compensare l’imprevisto con delle scuse ufficiali a Nethanyau. 

 

Reazioni 

La situazione risulta a tratti surreale, e sicuramente drammatica. Mentre l’opinione pubblica, più o meno timidamente, si interroga sui 62 morti e quasi 3000 feriti in un solo giorno nella striscia di Gaza, nel giro di dieci giorni la storia si ripete. Altre due Ambasciate traslocano in quella che, secondo il diritto internazionale, non è la capitale di Israele, mettendo in atto un vero e proprio affronto allo Stato palestinese e ai tentativi di pacificazione del conflitto dell’area.

In sede ONU, Israele continua ad avere molte difficoltà: tutte le ultime risoluzioni in materia confermano che l’occupazione dei territori palestinesi, con particolare riferimento a Gerusalemme Est, non ha alcuna validità legale e costituisce  una sistematica violazione del diritto internazionale, oltre che il principale ostacolo alla pacifica realizzazione della “two-State solution”.

Anche il voto dello scorso 21 dicembre sullo status di Gerusalemme, nonostante le minacce provenienti da Washington, conferma questo trend negativo: durante la sessione straordinaria dell’Assemblea Generale, 128 Stati membri hanno accolto favorevolmente la condanna, proposta da Turchia e Yemen, contro la decisione degli USA del 6 dicembre di riconoscere la città come capitale dello Stato israeliano, contestualmente a quella sullo spostamento della sede diplomatica. Solo 9 Nazioni hanno sostenuto la potenza nordamericana.

Già il 13 dicembre si era a tenuto a Istanbul un summit di leader musulmani che avevano dichiarato, sotto l’egida di Erdogan, “Gerusalemme Est capitale della Palestina”, e chiesto alla comunità internazionale di fare altrettanto. Lo scontro è approdato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che, con  una risoluzione proposta dall’Egitto, respingeva il riconoscimento e condannava l’iniziativa di Trump. Ma nonostante 14 membri favorevoli, gli Stati Uniti hanno imposto il diritto di veto per affossare la risoluzione, segnando così il primo grande strappo di cui hanno poi pagato le conseguenze in Assemblea Generale ONU: i pochi fedeli in questa sede sono stati Guatemala, Honduras, Togo, Micronesia, Narau, Palau e Isole Marshall, Paesi dal peso diplomatico assai ridotto. Molto più sostanzioso, invece, è stato il peso dei 35 Paesi astenuti, tra cui emergono in primis Canada e Messico (due Stati confinanti con gli Stati Uniti), seguiti da tre Paesi dell’Ue (Croazia, Polonia e Repubblica Ceca), ed Argentina e Australia. Tanti i Paesi africani, nessuno a maggioranza musulmana, che risultano invece tra gli assenti. 

Secondo la stampa internazionale si è trattato di un rimprovero verso le politiche “personali” del Presidente americano, per i più disfattisti è una dimostrazione dell’ “isolamento internazionale di Washington”. Sicuramente, la reazione della comunità internazionale e lo scarso seguito avuto dagli Stati Uniti, rappresentano un argine e un barlume di speranza di fronte al potenziale negativo di iniziative arbitrarie in materia di sovranità internazionale.

 

 

Fonti e Approfondimenti:

https://www.theguardian.com/world/2018/may/07/paraguay-israel-embassy-jerusalem-tel-aviv

https://www.ilcaffegeopolitico.org/58310/demografia-incide-sui-rapporti-israele-lamerica-latina

https://www.theguardian.com/world/2017/dec/21/united-nations-un-vote-donald-trump-jerusalem-israel

http://mfa.gov.il/MFA/PressRoom/2007/Pages/Israel%20signs%20free%20trade%20agreement%20with%20MERCOSUR%2018-Dec-2007.aspx

https://www.ictsd.org/bridges-news/puentes/news/tratado-de-libre-comercio-mercosur-israel-entr%C3%B3-en-vigencia

https://www.agi.it/estero/gerusalemme_onu-3303394/news/2017-12-22/

http://it.euronews.com/2018/05/21/paraguay-sposta-l-ambasciata-a-gerusalemme

 

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