La politica sull’immigrazione di Trump

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Negli ultimi giorni il dibattito pubblico italiano non ha potuto fare a meno di concentrarsi sul Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration, l’accordo promosso dalle Nazioni Unite che sancisce la volontà di creare una rete di collaborazione internazionale per fare fronte ai processi migratori. 

Iniziato due anni fa con la Dichiarazione di New York su rifugiati e migranti, il percorso che porterà, proprio in questi giorni a Marrakech, all’approvazione del documento ha attraversato numerose difficoltà. Infatti, se alla Dichiarazione presero parte tutti i 193 membri delle UN, alcuni governi nazionali hanno deciso in seguito di non partecipare ai negoziati o non approvare la versione finale dell’accordo. 

I primi ad abbandonare il progetto, nel dicembre 2017, sono stati gli Stati Uniti: Trump ha sempre espresso una linea molto dura sulla questione dei flussi migratori, facendone un proprio cavallo di battaglia durante la campagna elettorale e, in seguito, uno dei temi principali dell’agenda. Non a caso, uno dei manifesti che si vede più frequentemente nei comizi di Trump citaBuild the wall” o “Finish the wall”, in riferimento alla costruzione del muro al confine con il Messico, il Paese da cui provengono la maggior parte degli immigrati presenti sul suolo statunitense. 

Il rifiuto del Global Compact e “Build the wall” si inseriscono in una cornice più ampia, quella delle politiche migratorie di Trump, che va molto al di là degli slogan.

Il muro oltre la siepe

Spacciatori. Stupratori. Terroristi. 

Trump non ha mai riservato buone parole nei confronti dei migranti, descritti nella migliore delle ipotesi come coloro che “rubano” il lavoro ai disoccupati nati negli States. Nella peggiore, come i portatori di un malessere generalizzato che sfocia nei reati che affliggono la società americana. Tra l’altro, è opportuno specificare che la narrazione di Trump non corrisponde alla realtà dei fatti. Contrariamente a quanto sostenuto dal presidente, diversi studi hanno dimostrato che gli immigrati negli Stati Uniti sono molto meno propensi degli americani a commettere crimini. 

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Il cartello “Finish the wall” compare spesso nei comizi di Trump. Fonte: Flickr 

Detto questo, fin dai primi giorni del suo mandato Trump ha cercato di mantenere fede alle promesse della campagna elettorale: alla fine del mese di gennaio del 2017, ovvero subito dopo l’insediamento del tycoon, tre ordini esecutivi hanno inaugurato la politica della nuova amministrazione sul tema. I provvedimenti miravano ad aumentare il controllo alla frontiera con il Messico, limitare o in alcuni casi a sospendere gli ingressi di immigrati negli Stati Uniti e ad applicare una maggiore severità nelle politiche di espulsione. 

Le predisposizioni di fine gennaio hanno concorso a tracciare una linea molto precisa. Paradossalmente, considerando l’importanza propagandistica dello slogan “Build the wall”, la costruzione – o per meglio dire l’ampliamento – della barriera al confine con il Messico ha riscontrato ostacoli di varia natura. A mio modo di vedere, altri due sviluppi aiutano maggiormente a comprendere i cambiamenti di questi due anni.  

Sicurezza senza religione 

Durante la campagna elettorale, Trump aveva promesso in più di un’occasione che, una volta salito in carica, avrebbe emanato un provvedimento volto a impedire l’ingresso nel territorio americano ai migranti di religione musulmana, per ragioni di sicurezza nazionale. Con un ordine esecutivo, è stata imposta la sospensione temporanea degli ingressi ai cittadini di Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen, tutti Paesi a netta maggioranza musulmana.  

La decisione di Trump scatenò una lunga ondata di proteste e una serie di sfide legali, poiché molti Stati e compagnie private portarono la questione nei tribunali federali: ad essere contestata era la discriminazione su base religiosa, contraria al Primo Emendamento della Costituzione americana. Alcuni giudici federali bloccarono così la prima versione del cosiddetto “Travel Ban”, costringendo il presidente a vararne una seconda, contenente alcune modifiche, a marzo. In breve tempo, tuttavia, si ripresentò la stessa situazione, con le corti federali a bloccare i tentativi dell’esecutivo. 

In settembre, la proclamazione presidenziale n. 9645 pose diverse restrizioni nei confronti degli individui provenienti dai seguenti otto Paesi: Chad, Iran, Libia, Corea del Nord, Somalia, Siria, Venezuela, e Yemen. Come avvenuto in precedenza, alcune corti inferiori decisero di sospendere l’applicazione del provvedimento di Trump, con l’eccezione dei casi della Corea del Nord e del Venezuela. 

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Una manifestazione di protesta contro il Muslim Ban. Fonte: Flickr 

Infine il 26 giugno di quest’anno è intervenuta la Corte Suprema, che ha dichiarato la legittimità costituzionale del terzoTravel Ban”: il Chief Justice Roberts ha sostenuto che il provvedimento, il quale non contiene alcun riferimento alla religione ma si riferisce esclusivamente ai cittadini di alcuni Stati, non può essere contrario al primo emendamento. Inoltre, rientra all’interno dei limiti imposti all’esecutivo in materia di immigrazione, sanciti dall’Immigration and Nationality Act.

La sentenza della Corte ha sancito una vittoria su tutti i fronti per The Donald.

Piazza-pulita 

Anche per quanto riguarda la politica interna si registrano dei cambiamenti rispetto al passato. Se durante l’amministrazione Obama veniva espulso chi si era reso colpevole di reati particolarmente gravi, le cose con Trump sono cambiate in fretta.

Difatti, con un altro ordine esecutivo, uno dei primi varati dal neo-presidente in carica alla fine del gennaio 2017, è stata diminuita l’entità dei reati per i quali un immigrato può essere espulso dal Paese. Questo, neanche a dirlo, ha causato delle ripercussioni notevoli. Gli unici dati a disposizione si riferiscono al 2017 ma, nonostante l’arco di tempo ridotto, essi rendono immediatamente visibili i risultati ottenuti dal tycoon. 

Dalla sua prima giornata alla Casa Bianca alla fine dell’anno fiscale (30 settembre), sono state effettuate 61.000 espulsioni, il 37% in più rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente. Inoltre, assumendo ancora come riferimento il periodo compreso tra gennaio e settembre, si è registrato il 43% di arresti in più rispetto al 2016, corrispondente a un totale di 110.000 persone. 

Gli obiettivi di Trump in materia di immigrazione sono sempre stati molto chiari. Il ritiro dal Global Compact, la retorica sul muro al confine con il Messico e i suoi provvedimenti anti-migrazione e sulle espulsioni degli immigrati procedono tutti verso la medesima direzione. 

Il muro eretto in questi due anni, costruito su una campagna permanente di diffamazione e sulla concreta esclusione degli immigrati a suon di ordini esecutivi, non sarà facile da scalfire in futuro. 

Fonti ed approfondimenti

https://www.brookings.edu/research/a-dozen-facts-about-immigration/

Trump Boycotts U.N. Migration Talks

Fai clic per accedere a TCMTrumpSpring2018-FINAL.pdf

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