Cosa è successo veramente ad Hanoi tra Trump e Kim?

Circa dieci mesi fa il mondo assisteva a uno degli eventi più simbolici degli ultimi decenni. L’incontro a Singapore tra il Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, e il leader supremo della Repubblica Popolare Democratica Coreana (più nota come Corea del Nord), Kim Jong-un, ha riaperto una strada chiusa dal 1953, anno dell’armistizio della Guerra di Corea. Oggi ci troviamo ad assistere a un “fallimento” del secondo giro di discussioni in programma tra il 27 e il 28 febbraio ad Hanoi. Trump ha fatto intendere che le volontà di Kim non erano compatibili con la proposta statunitense. In una breve conferenza stampa, l’inquilino della Casa Bianca ha dato la sua visione dei fatti e poco dopo è ripartito in direzione Washington.

Insomma, i presupposti per un ulteriore passo avanti c’erano, ma non sono diventati realtà. Perché?

Prima di andare ad analizzare le strategie di entrambe le parti è utile descrivere un paio di punti sull’atteggiamento del presidente statunitense. Prima di tutto, non è mai successo nella storia diplomatica USA che un presidente in carica lasciasse il tavolo delle trattative in maniera così plateale e prima della scadenza prefissata. Secondo, Donald Trump è stato smentito dalla parola di Kim Jong-un che ha fatto sapere come la richiesta avanzata a Washington non era stata quella di togliere tutte le sanzioni, ma solo quelle imposte dal Consiglio di Sicurezza ONU. Il sostegno di Mosca e Pechino non è sufficiente e per questo la posizione di Trump è cruciale per aprire il dialogo con l’Occidente.

Il più famoso discorso di inizio anno di Kim Jong-un, nel 2018, ha fatto iniziare un processo di “scongelamento” delle relazioni tra Corea del Nord e Corea del Sud, con il successivo coinvolgimento (naturale) di Washington nelle discussioni. Le Olimpiadi invernali di PyeongChang e il team congiunto di Pyongyang e Seoul è stato il primo passo. Lo storico incontro del 28 aprile 2018 tra Kim e Moon Jae-in, il presidente sudcoreano, e i successivi due incontri sono stati una crescita di consistenza della volontà delle due parti di parlare delle divergenze e delle convergenze che per troppo tempo erano state sotterrate sotto le minacce crescenti da ambo le parti. La visita del Segretario di Stato Mike Pompeo a Pyongyang ha dato tangibilità al coinvolgimento di Washington nella questione. Tutto questo nell’arco di cinque mesi, da gennaio a maggio 2018.

Cosa è successo nei cinque mesi che hanno preceduto l’incontro tra Trump e Kim in Vietnam? Poco. Forse niente di rilevante. Per metterla in maniera più chiara, le relazioni tra Corea del Nord e USA sono state declassate da Donald Trump dopo il primo incontro di giugno 2018. Il motivo sembra abbastanza chiaro se oltre alle relazioni internazionali vengono prese in considerazione le elezioni di metà mandato da cui Donald ha provato a difendersi, senza riuscirci veramente. Dall’altro capo del filo diplomatico la strategia di Kim, che non ha l’onere elettorale, ha intrapreso una politica estera tesa a dissolvere il nome attribuito al suo Stato di “Eremita”.

Le relazioni Donald-Pyongyang passano per la segreteria democratica

Abbiamo spiegato qui che tipo di strategia di politica estera viene adottata da Donald Trump e come questa sia “a due livelli”. Infatti, la legittimazione che l’esecutivo deve ottenere lega fortemente politica estera e politica interna, una è funzionale all’altra per guadagnare o perdere voti. La politica estera imprenditoriale che Trump ha sempre voluto mantenere però sembra non aver calcolato il “rischio” (come si direbbe in economia) imprevedibile che le democrazie hanno, ma il mondo imprenditoriale no: l’opposizione.

L’incontro di Singapore del 12 giugno 2018 ha sicuramente dato visibilità a Trump come il presidente che era riuscito là dove tutti i suoi predecessori non erano riusciti. Nonostante ciò, non è riuscito a capitalizzare – in termini elettorali – questo vantaggio politico. Sicuramente le midterms non sono un momento facile per il presidente in carica, ma Trump è sicuramente uno degli architetti di punta del fallimento Repubblicano.

Nell’arco di tempo tra il 12 giungo 2018 e il 27 febbraio 2019, Trump ha incanalato una serie di risultati negativi. Per citarne alcuni prima delle midterm elections:

  • L’incontro di Helsinki del 15 luglio 2018 con Vladimir Putin ha creato moltissime polemiche per il suo atteggiamento nei confronti dell’ostile Russia;
  • Il caso Kavanaugh, il giudice della Corte Suprema che Trump ha nominato e che è stato al centro di molte critiche e accuse tra settembre e ottobre 2018;
  • L’alleanza sempre più evidente tra alcuni movimenti sociali americani (Black Lives Matter è sicuramente quello più evidente) e la politica anti-trumpiana.

Dopo il voto Trump ha dovuto confrontarsi con una realtà ben più dura:

  • Il braccio di ferro con Pechino sui dazi, che non ha portato a nulla di concreto e a molti rumori sulla capacità del presidente di gestire la situazione;
  • La nomina di Nancy Pelosi a Speaker della Camera e la maggioranza democratica con un forte innesto di socialismo democratico di cui Alexandria Ocasio Coretz è l’esponente più in vista;
  • La narrativa presidenziale della carovana migrante tesa a sviare i problemi del Paese. La sua inefficacia si è andata ad unire alla questione della costruzione del muro
  • Il più lungo shutdown che gli USA abbiano mai vissuto, con dei danni politici, economici e sociali per gli elettori repubblicani e i dipendenti statali. Perso anche questo da Donald Trump
  • Il Green New Deal dell’ala progressista democratica come proposta per il futuro, tesa già alle elezioni del 2020

Sembra evidente quindi come “la più grande minaccia del mondo” per Donald Trump non sia Kim Jong-un, anzi. Il viaggio ad Hanoi era potenzialmente una possibilità per il presidente-imprenditore di distogliere l’attenzione statunitense dalla politica interna e guadagnare credibilità internazionale.

Nonostante ciò, ancora una volta, Trump è stato tirato per la giacca dalla politica interna. Le rivelazioni di Cohen hanno fatto decidere per una ritirata, scomposta, da Hanoi. La testimonianza potrebbe portare Trump verso un nuovo Watergate con le accuse di falso e di abuso di potere. Una situazione da evitare a poco più di un anno dalle elezioni. Da buon imprenditore Trump è riuscito comunque a chiudere un accordo da circa $20 miliardi per l’acquisto di 110 Boing da parte della VietJet e Bamboo Airways con il governo vietnamita. Prima di incontrare Kim.

La politica estera di un (ex) Stato eremita

L’ultimo evento internazionale di Kim in ordine cronologico è stato il quarto incontro a Pechino il 9 gennaio 2019 con il presidente cinese Xi Jinping. Ma negli ultimi mesi Kim Jong-un ha messo in campo una politica estera fatta di piccoli passi, silenziosa, spesso nascosta, con i suoi vicini. Vicini geografici, ma anche politici. La Russia e la Cina sono sempre stati i due pilastri di Pyongyang.

Alcuni eventi tra giugno 2018 e febbraio 2019 aiutano a far capire come Kim si stia muovendo, al contrario di Trump, verso fuori.

  • Li Zhanshu, uno dei sette membri del Politburo permanente cinese, ha preso parte alla celebrazione del 70° anniversario della fondazione della Corea del Nord;
  • Il dialogo continuo con Seoul grazie all’engagement con il presidente Moon Jae-in è un segno importante della volontà di Kim di proseguire sulla strada del dialogo con i propri “lontani” connazionali;
  • A ottobre 2018 una delegazione russa capeggiata dal vice ministro degli affari esteri del Cremlino è arrivata a Pyongyang;
  • A fine novembre 2018 il ministro degli affari esteri nord coreano ha visitato Hanoi;
  • Il ministro degli esteri vietnamnita ha visitato Pyongyang tra il 12 e il 13 febbraio.

L’incontro tra Kim e Trump ad Hanoi non sembra quindi essere un evento senza una fitta rete di incontri internazionali tra Pyongyang e buona parte dell’ex sfera sovietica e cinese. Al contrario, la visita di Kim ad Hanoi sarebbe stata molto più difficile del previsto se Kim non avesse avuto l’opportunità di conciliarla con l’incontro con il presidente USA. La storia del Vientam, infatti, racconta come sia un tassello molto complicato delle relazioni tra Cina e USA. Hanoi gestisce in maniera molto bilanciata i rapporti tra le due potenze, cercando di evitare di sbilanciarsi a favore di una, perdendo il controllo sull’altra. Una visita ufficiale di Kim avrebbe senza dubbio sbilanciato verso la sfera socialista l’ago della bilancia.

Il summit è fallito, lunga vita alla sfera socialista

Trump ha lasciato Hanoi dopo aver condotto i suoi interessi imprenditoriali. Kim ha proseguito la visita di Stato con gli alti funzionari del partito comunista vietnamita per altri due giorni. Dopo 50 anni la famiglia Kim ha riaperto le relazioni diplomatiche ad altissimo livello con un partner che per lungo tempo è stato silenziosamente a osservare la partita tra USA, Cina e Pyongyang.

Come in una partita a scacchi, Donald Trump ha fatto la sua mossa da alfiere, senza tener conto del cavallo nascosto della Corea del Nord, pronto a cogliere l’opportunità.

Fonti e Approfondimenti

Mason, J. e Vu Khanh, Vietnamese carriers VietJet, Bamboo unveil Boeing deals worth $15 billion, Reuters, 27 febbraio 2019, https://www.reuters.com/article/us-usa-northkorea-boeing/vietnamese-carriers-vietjet-bamboo-unveil-boeing-deals-worth-15-billion-idUSKCN1QG0FL

Ohtham, O., North Korean foreign minister arrives in Beijing en route to Vietnam and Syria, NKNews, 29 novembre 2018, https://www.nknews.org/2018/11/north-korean-foreign-minister-arrives-in-beijing-en-route-to-vietnam-and-syria/

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