La Fratellanza Musulmana in Giordania

Giordania
@Berthold Werner - Wikimedia Commons - Licenza: CC BY 3.0

La Fratellanza Musulmana ha ricoperto a lungo una posizione di spicco nel panorama sociale e politico della Giordania. Nata nel 1945,  si sviluppa per molti anni in simbiosi con la monarchia. A partire dalla fine degli anni ‘90, però, questo rapporto di interdipendenza entra in crisi e le faglie interne al movimento si acuiscono, portando alla sua frammentazione dopo il 2011. Una ricostruzione dei principali sviluppi interni ed esterni al movimento aiuta a contestualizzarne la situazione attuale e a rendere evidenti i sintomi latenti di una crisi che si profilava da anni.

La Fratellanza come “opposizione fedele”

Il nucleo originario della Fratellanza giordana è fondato da Abdul Latif Abu Qura secondo il modello ideologico e organizzativo creato in Egitto da al-Banna. Re Abdallah I la riconosce immediatamente come associazione caritatevole e il rapporto che si instaura è di reciproca utilità: il re si serve dell’alleanza con gli Islamisti per legittimare le proprie credenziali religiose quale discendente di Maometto e per consolidare la propria posizione di potere nel Paese, e la Fratellanza riesce a espandere, senza troppe interferenze, la propria presenza sul territorio.

Nonostante non manchino gli attriti, questa relazione continua sotto re Hussein. Gli islamisti fanno infatti da contrappeso alla diffusione della sinistra di ispirazione nasseriana negli anni ’50 e all’insurrezione dei fedayeen palestinesi nella breve guerra civile del 1970.
Nel primo caso, la Fratellanza critica apertamente la sinistra, vista la repressione degli islamisti nell’Egitto di Nasser e il secolarismo proprio del nazionalismo panarabo; la monarchia, dal canto suo, le permette di continuare a operare come organizzazione apolitica anche dopo il ’57, quando i partiti politici vengono banditi.

Nel secondo caso, la situazione è più delicata. La liberazione della Palestina è ritenuta infatti il primo passo verso la costituzione della Ummah islamica, ma la Fratellanza sceglie comunque di rimanere neutrale nel confronto tra l’OLP e re Hussein.  Da un lato, l’interesse nazionale viene privilegiato rispetto a quello ideologico, dall’altro è anche vero che l’OLP, in quanto prettamente secolare, è ritenuta distante dagli obiettivi della Fratellanza.

Il movimento, in questa prima fase, si pone quindi come “opposizione leale” alla monarchia. Ad esempio, durante le “proteste del pane” del 1989, la Fratellanza si astiene dal sostenere pubblicamente i manifestanti. Sono però le scelte nel campo della politica estera ad essere più volte oggetto di contestazione da parte della Fratellanza; in questi casi ricorre spesso alla protesta come mezzo di azione collettiva: difatti, nel 1955 organizza manifestazioni contro il patto di Baghdad, sostiene la prima Intifada del 1987 e l’alleanza con l’Iraq nella Guerra del Golfo del ’90, ma comunque non si esprime mai contro il re, e soprattutto non parteggia per un cambio di regime.

“L’Islam è la soluzione”: l’apice della Fratellanza e l’inizio della crisi

Il rapporto tra monarchia e Fratellanza inizia a cambiare dal 1989. Reintrodotte libere elezioni, la Fratellanza partecipa con una serie di candidati indipendenti guadagnando 22 seggi su 80 e diventando il gruppo maggioritario al governo. Le ragioni di questa vittoria sono tre.
Primo, mentre gli altri partiti sono penalizzati da anni di atrofia e repressione, la Fratellanza può contare su una fitta rete di contatti a livello nazionale nelle moschee, nei gruppi studenteschi e nelle organizzazioni di carità per lanciare la propria agenda elettorale targata “L’Islam è la soluzione”.
Secondo, la Fratellanza rimane l’unico gruppo a competere per i voti dei giordano-palestinesi dal momento che, una volta espulso l’OLP nel 1973, il movimento consolida la propria presenza nei campi profughi.
Terzo, il sistema elettorale permette a ciascun elettore di votare per tanti candidati quanti i seggi del distretto senza dover scegliere tra affiliazione tribale e affinità ideologica.

L’idillio politico della Fratellanza dura poco però, perché nel 1993 il re decide di riformare la legge elettorale. Per evitare problemi in Parlamento sul trattato di pace con Israele del 1994, viene introdotto un sistema a voto unico che penalizza gli islamisti. Inoltre, la mappa dei distretti elettorali è ridisegnata per favorire le aree rurali rispetto a quelle urbane: proprio in queste ultime però si concentra la maggior parte dei giordano-palestinesi, che costituiscono lo zoccolo duro della base di supporto della Fratellanza. Nonostante ciò, il Fronte di Azione Islamico, il partito della Fratellanza, partecipa comunque alle elezioni del ’93.

Verso il 2011: tra frammentazione e marginalizzazione

La distanza con la monarchia si aggrava con la morte di re Hussein e l’ascesa al trono di re Abdallah II nel 1999. Il nuovo sovrano si mostra per lo più disinteressato a coltivare i rapporti con la Fratellanza, complice anche il mutato clima a livello regionale e internazionale e la rinnovata sinergia con Stati Uniti ed Europa. L’11 settembre, il fatto che ideologicamente al-Qaeda prenda spunto da Qutb, che al-Zarqawi sia un membro della Fratellanza egiziana e che la Giordania diviene fondamentale nella guerra al terrorismo di Bush, colloca la Fratellanza nel mirino di un apparato d’intelligence sempre più invasivo.

La Fratellanza partecipa alle elezioni del 2003 e del 2007, ma boicotta quelle del 2010 e del 2013. La partecipazione alle elezioni, nonostante la legge elettorale non fosse cambiata, è data alla necessità di distinguersi dai movimenti salafiti. Nonostante i tentativi di apertura verso il regime però, l’attacco terroristico del 2005 ad Amman e la vittoria elettorale di Hamas del 2006 creano le premesse per un’ulteriore stretta sulle libertà civili e politiche e una rinnovata ostilità verso i movimenti islamisti che sfocerà nell’accusa da parte della Fratellanza di irregolarità e brogli nelle elezioni del 2007.

Le rivolte arabe del 2011 vedono una partecipazione contenuta della Fratellanza come organizzazione. Tuttavia, le vittorie degli islamisti in Egitto e Tunisia portano il regime a inasprire una serie di misure burocratiche volte a contenere il movimento. Nel 2016, in particolare, le sedi della Fratellanza vengono chiuse e l’organizzazione è dichiarata illegale ai sensi della nuova legge sui partiti politici introdotta nel 2014. Inoltre, una serie di ulteriori defezioni sottolineano il peggioramento delle fratture interne al movimento, già evidenti da tempo (si vedano ad esempio l’iniziativa Zamzam del 2013 o la nascita della Società della Fratellanza Musulmana nel 2015).

La frammentazione interna del movimento è stata interpretata in modo diverso nel corso del tempo. Alcuni hanno evidenziato le discrepanze a livello ideologico emerse a partire dal ’93 e in particolare lo scontro tra due correnti opposte, i falchi (al-Suqur), conservatori, e i cigni (al-Hama’im), moderati. Il primo gruppo sarebbe più scettico rispetto alla partecipazione politica e più radicale nelle posizioni riguardanti la questione palestinese; il secondo invece parteggerebbe per un atteggiamento di compromesso, ritenendo la questione palestinese importante, ma subordinata all’interesse nazionale e alla sopravvivenza del gruppo, e i benefici della partecipazione politica superiori ai costi di un’auto-esclusione. A questi si sarebbero poi aggiunti i “centristi” a partire dal ’98 e gli “Hamasisti” dagli anni 2000.

Falchi e cigni sono stati poi ricollegati alla distinzione identitaria tra giordano–palestinesi e transgiordani. I transgiordani discendono dalle tribù presenti nelle zone a est del fiume Giordano prima del ’48, mentre i giordano–palestinesi, dai palestinesi della West Bank giunti in Giordania a più riprese a partire dal ’48. Pur godendo entrambi della cittadinanza giordana, soprattutto dopo la guerra degli anni ’70 i giordano-palestinesi sono stati sia tendenzialmente esclusi dai posti pubblici e dalle alte cariche dell’esercito, che sotto rappresentati a livello politico rispetto alle tribù dell’East Bank, strette alleate della monarchia. Con il passare degli anni, queste differenze sembrano però essersi attenuate.

Infine, un’altra linea di tensione individuata all’interno del gruppo è tra le generazioni più vecchie e quelle più giovani: le prime, avendo beneficiato dei buoni rapporti con la monarchia, sarebbero più inclini a cercare un punto d’incontro rispetto a chi, entrato dagli anni ’90, ha sperimentato solo l’ostilità del regime. Questi tre livelli di analisi spesso coesistono e si aggiungono a divergenze di tipo personale rendendo difficile un’interpretazione univoca.

Sebbene sia azzardato fare pronostici sul futuro della Fratellanza, ciò che continua a trapelare è l’attuale debolezza del movimento come emersa nelle elezioni generali del 2016 e in quelle locali del 2017. Visto anche l’allineamento della Giordania a livello regionale con le monarchie del Golfo e l’Egitto, è improbabile un cambio di rotta nei rapporti tra monarchia e movimento. Piuttosto, sembrerebbe che in Giordania, come nel resto della regione dal 2011, l’azione collettiva sia sponsorizzata sempre meno dai movimenti tradizionali di stampo islamista e sempre più da movimenti più informali, senza leader definiti e con un’alta presenza di giovani.

Fonti e Approfondimenti

Wisam Hazimeh, The Political Survival of the Muslim Brotherhood in Jordan: From participation to Boycott, P.h.D. Thesis, University of East Anglia, June 2015

Janine A. Clark, Islam, Charity, and Activism. Middle-Class Networks and Social Welfare
in Egypt, Jordan, and Yemen, Indiana University Press, 2004

Jillian Schwedler, Faith in Moderation. Islamist Parties in Jordan and Yemen, Cambridge University Press, 2006

David Siddhartha Patel, The Communal Fracturing of the Jordanian Muslim Brotherhood, Middle East Brief, gennaio 2018, https://www.brandeis.edu/crown/publications/meb/meb113.html

Be the first to comment on "La Fratellanza Musulmana in Giordania"

Leave a comment

Your email address will not be published.


*