Elezioni europee 2019: il partito dell’astensione

voto-astensione
@MarcoVerch - Flickr.com (CC BY 2.0)

Negli ultimi cinque anni, diversi eventi hanno messo a dura prova la tenuta dell’UE: la crisi del debito e il salvataggio della Grecia, la gestione dell’immigrazione, l’ascesa dei populismi e la Brexit sono solo alcuni dei temi più scottanti. Le elezioni europee di maggio saranno un banco di prova importante: l’affluenza alle urne sarà un segnale importante per valutare il rapporto tra l’Unione e i cittadini.

Le cause dell’astensione

L’affluenza alle elezioni europee non è mai stata particolarmente elevata: nel 1979, solo il 62% degli aventi diritto si recò alle urne. Nel 2014, il dato era sceso al 43%. Questo numero nasconde variazioni significative a livello nazionale: si va dall’89% in Belgio e Lussemburgo, dove il voto è obbligatorio per legge, a Repubblica Ceca e Slovacchia, nelle quali meno del 20% degli elettori si reca alle urne. L’affluenza in Italia è sopra la media europea, ma è calata di quasi un terzo: dall’86% nel 1979 al 57% nel 2014.

Il trend è in linea con il calo di partecipazione registrato nelle elezioni a tutti i livelli, ma risulta ancor più preoccupante alla luce del cosiddetto “deficit democratico” che affligge l’Unione. Il Parlamento europeo, in qualità di unica istituzione eletta direttamente, dovrebbe rappresentare i cittadini europei e proteggerne gli interessi, con l’esercizio dei suoi (limitati) poteri. Un’affluenza così bassa, però, sembra suggerire che la percezione dei cittadini non sia in linea con queste ambizioni.

Di cosa si tratta, dunque? Disinteresse, sfiducia, disinformazione? La domanda non è nuova: politici e accademici se la sono posta fin dagli anni Ottanta. La rilevanza del Parlamento europeo come istituzione pesa sicuramente sulla partecipazione elettorale; il contesto politico nazionale, inoltre, influenza l’interesse e la consapevolezza degli elettori.

Parlamento: nel nome o nei fatti?

Le elezioni europee sono spesso definite “di second’ordine”, espressione coniata da Karlhein Reif e Herman Schmitt nel 1980. I cittadini sono più coinvolti e informati quando percepiscono che il loro voto ha un’influenza maggiore: i parlamenti nazionali hanno più poteri rispetto al Parlamento europeo, sono (geograficamente e politicamente) più vicini, e le loro decisioni hanno un impatto più immediato sulla vita quotidiana, almeno nella percezione prevalente.

Il Parlamento Europeo, pur richiamando le assemblee nazionali nel nome, ha poteri legislativi e di controllo molto più limitati. Negli ultimi anni, soprattutto dal trattato di Maastricht in poi, ha assunto maggior controllo sul procedimento legislativo e si è inserito con decisione nel dibattito politico europeo, ma il suo peso rimane ridotto. È spesso percepito come un’istituzione marginale ed è quasi assente dalla copertura mediatica, in Italia come negli altri Stati membri.

Il filtro della politica nazionale

Il sistema politico nazionale gioca un ruolo importante nelle elezioni europee: contribuisce a stabilire i termini del dibattito elettorale, influenza la percezione delle istituzioni europee e la rilevanza che queste hanno nella vita dei cittadini.

Non esistono partiti europei, ma solo gruppi parlamentari: sono i partiti nazionali a presentare delle liste e ad affiliarsi a questi gruppi. I cittadini spesso non conoscono i candidati o i rappresentanti eletti, a parte alcune figure di spicco. La campagna elettorale europea è filtrata attraverso i partiti e i politici nazionali, e il voto alle europee diventa (e viene interpretato dalle stesse forze politiche) un voto all’operato dei partiti nel contesto nazionale, non europeo.

Il peso dell’identità

Ridurre il discorso a una questione di potere, ovviamente, sarebbe errato. Altri fattori, come l’identità, giocano un ruolo importante nell’affluenza alle elezioni europee. La coscienza di un’identità europea può favorire una partecipazione più sentita; al contrario, una forte identità nazionale relega le elezioni europee in secondo piano.

Esiste, ad esempio, un divario netto tra i Paesi dell’Europa occidentale, che tendono ad avere un’identità europea più consolidata, e i nuovi membri, soprattutto i Paesi dell’Europa centrale e orientale. In questi ultimi, l’appartenenza all’Unione Europea è un evento molto recente e passa in secondo piano rispetto alla politica nazionale. Nei Paesi più piccoli, cittadini e rappresentanti politici si sentono messi da parte dai “grandi” e non si sentono pienamente coinvolti nella vita democratica dell’Unione.

2019: l’anno della rivalsa?

Il Parlamento europeo lavora da tempo per crearsi uno spazio nel dibattito politico europeo e negli Stati membri. Il sistema dello Spitzenkandidat va in questa direzione, cercando di emulare le campagne elettorali nazionali. L’idea alla base è dare un volto ai “partiti” europei e creare un dibattito politico europeo autonomo rispetto a quello nazionale.

Il procedimento è stato sperimentato per la prima volta nel 2014 e sarà riproposto anche quest’anno, nonostante le resistenze degli Stati membri. Il Consiglio Europeo, che ha sempre avuto il controllo sulle nomine della Commissione, continua a opporre resistenza, ribadendo che l’indicazione dello Spitzenkandidat non è vincolante.

Cosa dobbiamo aspettarci dalle elezioni del prossimo maggio?

I dati storici, certamente, non sono promettenti.

Il Parlemeter, un sondaggio d’opinione semestrale dell’Eurobarometro, monitora le opinioni dei cittadini nei confronti dell’Unione Europea, del Parlamento e delle elezioni. L’ultima edizione, pubblicata a Novembre scorso, include alcuni dati interessanti sul supporto per l’UE e sulla percezione delle elezioni europee.

In generale, il supporto per l’Unione Europea pare in crescita: più del 60% degli intervistati considera l’appartenenza all’UE un fatto positivo per il proprio Paese. Crescono anche l’interesse e la consapevolezza sulle elezioni in arrivo, anche se i risultati non sono esaltanti. Il 41% dei cittadini sa indicare con esattezza la data della consultazione, e quasi il 50% andrà certamente o probabilmente a votare. Il rovescio della medaglia è che il 44% degli intervistati non ha idea di quando si terranno le elezioni, e il 33% non voterà.

L’eccezione italiana

L’Italia è decisamente in controtendenza rispetto alla media europea. Il supporto per l’Unione è in picchiata, e il 45% dei cittadini ritiene che il Paese non abbia tratto benefici dall’appartenenza all’UE. Emerge inoltre una diffusa sfiducia nella democrazia all’interno delle istituzioni europee e prevale la sensazione di “non essere ascoltati”. Infine, anche se gli elettori italiani sembrano seguire con interesse le elezioni europee, sono molto divisi sulla partecipazione. Quasi un terzo dichiara che non voterà, mentre solo 16% è sicuro di andare alle urne.

Le indicazioni dell’Eurobarometro, come tutti i sondaggi d’opinione, hanno dei limiti e non sono sempre affidabili. Mostrano, però, alcune tendenze interessanti. La sfiducia nell’Unione Europea potrebbe avere due conseguenze in termini elettorali: il voto a movimenti euroscettici o esplicitamente anti-integrazione, o l’astensione.

Le forze euroscettiche sono senz’altro una minaccia alla stabilità dell’UE: qualora raggiungessero numeri significativi, potrebbero influenzare in modo decisivo le decisioni adottate nel Parlamento, come il bilancio pluriennale.
Allo stesso tempo, il calo di partecipazione è un nemico da non sottovalutare. Talvolta questo è il prodotto di ostilità o sfiducia verso l’Unione; spesso, però, è più che altro sintomo di disinteresse e mancanza di consapevolezza.

Se più della metà degli elettori non è a conoscenza delle elezioni, il problema è più radicato di un’ondata populista. Il deficit democratico dell’Unione Europea esiste da tempo; in tempi di crisi come questo, tuttavia, affrontarlo diventa una questione non più rimandabile.

Fonti e approfondimenti

Parlamento Europeo, Risultati delle elezioni del 2014 (dati e affluenza; sito in inglese)

Parlamento Europeo, European Parliament: Facts and Figures. Briefing. Novembre 2014

Parlamento Europeo, Parlameter 2018. Taking up the challenge, Novembre 2018

Nassos Stylianou, John Burn-Murdoch, “European Parliament’s turnout problem in 3 charts“, Financial Times, 06/05/2014

Eurobarometer, “Post-electoral survey 2009“, novembre 2009

Peter Grand, Guido Tiemann, “Low turnout in European Parliament elections is driven by the perception that the process is not rewarding enough for voters“, LSE-EUROPP, 09/08/2012

Directorate-General for Communication-Public Opinion Monitoring Unit, Review. European and National Elections Figured Out, Novembre 2014

Aleksandar Ivković, “Elections for the European Parliament: What’s in store for the EU, and what for the Western Balkans?“, European Western Balkans, 14/01/2019

Karlhein Reif, Herman Schmitt, “Second-order elections”, European Journal of Political Research, Vol. 31, n. 109, 1997.

Simon Hix, Christopher Lord, Political Parties in the European Union, New York, St. Martin’s Press, 1997

Sona Nadenichek Golder, Ignacio Lago, André Blais, Elisabeth Gidengil, Thomas Gschwend, Multi-Level Electoral Politics: Beyond the Second-Order Election Model, 2017

Politico, “Voter turnout in European elections“, grafico interattivo con i dati per tutti gli Stati membri

 

Leave a comment

Your email address will not be published.


*


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: