Il sultano e le formiche: la povertà silenziosa di Hong Kong e Singapore

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Se l’accumulazione di capitale nelle città di Hong Kong e Singapore è sotto gli occhi di tutti, l’incredibile disugualianza è un fattore ampiamente sottovalutato. La povertà dilagante è uno dei risultati di politiche di liberalizzazione che hanno attratto sempre più l’1% mondiale, creando un divario insanabile.

Con coefficienti Gini – parametro per misurare la disuguaglianza economica dove 0 è la perfetta uguaglianza e 100 il monopolio di un singolo – simili, le due città si contendono il primato asiatico. Nel 2019, Singapore registrava il Gini a 45,2%, il più basso dal 2000 (quando era 44,2%), simile al 47,3% di Hong Kong nel 2016. Di altri Paesi asiatici, la Repubblica di Corea 37%, il Giappone 34%; comparando con altri Paesi europei, l’Italia nel 2017 si attestava al 33%, la Germania al 29%. Quali sono quindi i costi di una povertà sotterranea estremamente sviluppata in due dei più grandi paradisi economici mondiali?

 

La colonna migratoria

Le due città sono tra i più importanti centri di attrazione per i lavoratori migranti provenienti dall’Asia del sud e sudest. Oltre un milione e mezzo a Singapore e poco meno di mezzo milione a Hong Kong. Rispettivamente compongono il 36% e meno dell’1% della popolazione cittadina.

 

Lavoratori abbandonati e sfruttati

Nel caso di Singapore, non è eccessivo parlare di “accumulazione di forza lavoro”, controbilanciato all’accumulazione di capitale dell’offshore asiatica. Se la componente migrante cresce, la domanda di lavoro cresce con essa, ma le dimensioni ristrette dello Stato fanno in modo da limitare l’offerta. Il risultato immediato è una stagnazione dei salari per i migranti, che vedono la competizione sempre più aggressiva con una corsa ai salari al ribasso. Questo permette alla restante fetta di popolazione di arricchirsi spartendosi il più alto rapporto popolazione-PIL di tutta l’Asia. Il reddito pro capite si aggira sopra ai $35 mila annui, mentre un lavoratore migrante guagagna in media tra i $350-500 al mese ($4200-6000 annui). Il sistema a partito unico instaurato dal PAP interviene in ogni occasione per cercare di silenziare forme di protesta o di semplice richiesta di maggiori diritti e tutele per lavoratori che vivono tra estrema emarginazione e sfruttamento brutale.

Questa situazione economico-sociale si è poi andata a materializzare durante l’emergenza dell’attuale pandemia. Il sovraffolamento dei dormitori, profonda la marginalizzazione e la mancanza di volontà del governo di prendersi cura di 1/3 della popolazione che vive il Paese hanno creato una sacca pronta a esplodere in caso di emergenza. Se nel dormitorio più popolato vivono oltre 24mila lavoratori migranti, a metà marzo – quando i casi sorpassavano i 10mila nella città-Stato – quasi tutti erano migranti. Questo sottoliena ancora di più come in società altamente diseguali la realtà economica è solo una delle variabili. Il caso della panedmia può funzionare da tracciante per vedere non solo quali governi abbiano risposto meglio alla crisi, ma in quale modo. All’apparenza 26 decessi su oltre 50mila casi totali sembra essere un successo, e così il governo lo ha presentato. Ma la glaciale disuguaglianza ha portato alcune fasce di popolazione a rischiare molto più di altre.

 

Le lavoratrici migranti

Diverso nei numeri ma con una pratica simile, il benessere dei cittadini di Hong Kong fiorisce nelle difficoltà delle lavoratrici migranti. Quasi il 50% viene dalle Filippine e l’altra metà dall’Indonesia, pagando varie migliaia di dollari per assicurarsi un posto di lavoro nelle case della classe media lacale. Il guadagno va in grande parte alle famiglie lasciate nei propri Paesi, cercando di sostenere le difficoltà economiche. Come nel caso di Singapore, lo scarso interesse della società e del governo locale nei confronti dei migranti fa si che si siano create delle spaccature profonde dentro un tessuto già particolarmente frammentato. Durante le proteste del 2019, avvenute per la grande maggioranza di domenica, si potevano scorgere centinania di lavoratrici migranti. Non nei cortei, non con la popolazione locale, nè vestite con gli iconici elmetti gialli e le maschere. Tutto un altro scenario, non raccontato da molti e ignorato dalla grande maggioranza di chi protestava contro le ingiustizie dell’amministrazione Lam. La comunità delle lavoratrici migranti che si riuniscono ogni domenica sotto i grattaceli di Central o sui ponti pedonali di Mong Kok rappresentano la necessità di una solidarità orizzontale per chi è stata ampiamente abbandonata. Sfruttata. Se le ingiustizie hanno portato centinaia di migliaia di residenti di Hong Kong – classe media con educazione universitaraia per lo più – a protestare, la giustizia sociale è ancora un’utopia da pronunicare. 

Se non gli viene dato il più piccolo ripostiglio di casa per dormire la notte, le lavoratrici migranti attraversano la città ogni giorno per raggiungere le diverse case. Possiamo vedere dalla mappa (come per Singapore prima) che i margini della città sono popolati da queste fasce di popolazione. Nel caso di Hong Kong non solo da loro, che spesso trovano abitazioni tra Mong Kok e Sham Shui Po (“cluster 4″ nell’immagine), sulla penisola di Kowloon. Nonostante Mong Kok sia geograficamente il cuore della città, è anche il quartiere più popolato al mondo con circa 130 mila abitanti per chilometro quadrato. Se come abbiamo visto nel precedente articolo il problema abitativo è in qualche modo aggirato dai lavoratori occidentali attratti dalla finanza e business, questo è allo stesso tempo il problema principale per chi viene a lavorare in città da zone molto più povere.

 

La grande disuguaglianza che non finirà

Le due città competono a livello di alta finanza, attirando miliardari e professionisti di fama mondiale per dare spinta creativa e dimostrare al mondo di essere hub mondiali. La competizione però esiste anche a livello di lavoratori migranti, con la necessità di attrarre quanto più personale possibile per far funzionare tutti i servizi che il governo vuole dare alle proprie classi benestanti. La velocità non esisterebbe senza l’aiuto di tecnici reperibili 24 ore. La creatività non potrebbe essere sostenuta senza la mano d’opera di chi costruisce palazzi ogni giorno, in città che abbattono e costruiscono grattaceli ogni giorno. Lo sfarzo non esisterebbe senza chi tutti i giorni non indossasse l’uniforme di hotel, centri conferenze, ristoranti, negozi di alta moda.

Queste città non esisterebbero senza i lavoratori migranti, invisibilmente centrali nel mantenimento del funzionamento dell’accumulazione di capitale.

 

 

Fonti e approfondimenti

Poverty concentration in an affluent city: Geographic variation and correlates of neighborhood poverty rates in Hong Kong

Singapore and foreigns workers, The Guardian

‘We’re in a prison’: Singapore’s migrant workers suffer as Covid-19 surges back

Hong Kong’s movement must stop ignoring migrant workers

Income inequality in Singapore at lowest in almost two decades: SingStat

Income equality, OECD Data

Fai clic per accedere a Oxfam_inequality%20report_Eng_FINAL.pdf

Fai clic per accedere a Hung2018.pdf

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