Parte 2 – Di Lorenzo Di Reda
Il XX secolo portò in Argentina una ingannevole parvenza di democrazia. Terminato il ciclo delle oligarchie – di cui si è raccontato nella prima parte – il suffragio universale maschile del 1912 e una nuova maturità politica e sociale sembrarono preparare il Paese a una svolta decisiva. Le dinamiche internazionali, unite alle insoddisfazioni di alcuni settori della popolazione, provocarono però una congiuntura letale per i governi radicali liberali del primo Novecento.
La Década infame
La crisi economica globale del 1929 colpì profondamente l’Argentina, essendo questa molto legata ai commerci internazionali. Aumentò così la percezione del bisogno di ciò che le istituzioni non potevano offrire: ordine, stabilità, armonia. In queste crepe si inserirono i militari, che rivendicavano un potere adeguato alla loro importanza storica. Il colpo di stato militare del 1930, primo di una triste serie, fu appoggiato da ampi settori della popolazione civile (parte degli studenti, clero, grandi produttori agricoli e industriali) e da molti politici. Tale sostegno popolare rese paradossalmente più aspra la spaccatura tra fiancheggiatori e oppositori del governo militare: l’Argentina era letteralmente divisa in due.
I golpisti, guidati dal generale José Uriburu, tramite un linguaggio tipicamente populista, promisero unità, stabilità, armonia sociale ed economica. Si proposero come i salvatori della patria, gli unici in grado di preservarla dalla totale frammentazione. Meccanismi simili a quelli attuati da Rosas, nel linguaggio e nelle intenzioni, ma un secolo dopo.
Questo decennio divenne noto come Década infame a causa di frodi elettorali, corruzione, esclusione politica e sociale e ricerca di una restaurazione conservatrice, nazionalista e antidemocratica. Lo Stato divenne una figura attiva nell’economia nazionale, con un interventismo sempre più forte. Il fallimento del modello liberale non si manifestò solo dal punto di vista economico: i nuovi regimi puntavano a una visione corporativista e collettivizzante della realtà. Come nel caso di Rosas, un bipolarismo eccessivo causò tensioni senza precedenti, che non portarono mai all’equilibrio desiderato, bensì a un nuovo golpe militare, nel 1943.
Questo golpe si differenziava dal precedente per una maggiore tendenza autoritaria e per l’assenza di sostegno popolare. Le fazioni opposte erano definite nettamente: da una parte le classi popolari e piccolo-borghesi, dall’altra i ceti più abbienti e l’alto clero. La volontà di ordine nazionale dipendeva da una repressione ancor più metodica e diffusa: i golpisti occuparono università e sciolsero il Congresso. In questo contesto così teso e polarizzato, riuscì ad affermarsi Juan Domingo Perón.
Peronismo e antiperonismo
Il principale successo di Perón fu quello di riuscire, apparentemente, ad accontentare quasi ogni strato della società, dai proletari al clero, dai grandi industriali all’esercito. Con meccanismi populisti tradizionali ma estremamente raffinati, Perón emerse come leader popolare pur essendo un gerarca militare. Da un lato favorì le grandi industrie nazionali, in un’ottica di “sostituzione delle importazioni” e di rafforzamento dei mercati interni; dall’altro, propiziò la redistribuzione delle terre, osteggiando i grandi monopoli esportatori. La sua dottrina si basava su concetti come paternalismo statale e corporativismo, ampliamento dei diritti sociali e dei lavoratori, contrasto all’oligarchia, patriottismo e antiliberalismo. Tutti elementi ripresi successivamente da coloro che riproposero modelli neoperonisti o “giustizialisti”. Chi non sosteneva il suo governo era additato come nemico della patria e del popolo: questa polarizzazione, necessaria per compattare le proprie fila di fedelissimi, definì sempre più nitidamente gli schieramenti di questa nuova fase della Grieta.
Ampliando il concetto e la struttura dello Stato interventista della Década infame, Perón iniziò una trasformazione istituzionale senza precedenti in Argentina. Condusse un grande processo di “democratizzazione” del benessere sociale e di inclusione delle masse emarginate di lavoratori umili. La Confederación General del Trabajo (CGT), principale riferimento sindacale nazionale, divenne una colonna portante del regime peronista. La CGT fu incorporata nella sempre più estesa macchina statale, in un meccanismo di totale unificazione tra il leader e i lavoratori-sostenitori. Il modello peronista di Estado de bienestar produsse un enorme consenso tra le classi umili che beneficiarono delle sue riforme, ma aumentò l’ostilità di chi rifiutava questo sistema assistenzialista e clientelare. Il fronte antiperonista, le cui eredità arriveranno ai nostri giorni, era sempre più ampio e agguerrito.
L’esacerbazione del conflitto sociale, accompagnata dagli insuccessi macroeconomici e dal fallimento della “Tercera posición” -una politica internazionale di non allineamento né con gli Stati Uniti né con l’Unione Sovietica – portò al collasso il regime peronista. I toni aggressivi di Perón avevano reso estremamente teso il clima nazionale, mentre gli antiperonisti reagivano con violenze e attentati. Il caso più drammatico fu il bombardamento di Plaza de Mayo, nel giugno 1955, quando il fallito attacco alla Casa Rosada da parte di alcuni gruppi di militari e civili avversi a Perón provocò più di trecento morti.
Il 19 settembre 1955, dopo nuovi, sanguinosi scontri, Perón decise di rinunciare in favore dei generali Eduardo Lonardi (che divenne presidente) e Pedro Aramburu. Fu il terzo golpe militare nel giro di venticinque anni.
Gli anni più bui
Il governo golpista bandì il Partito Giustizialista dalla scena politica nazionale. Ciò ampliò la frattura tra peronisti, ancora forti e numerosi, e antiperonisti, che appoggiarono con entusiasmo il golpe. La linea dura della Revolución Libertadora, come si autodefinì, si palesò immediatamente: vennero sospesi il Congresso, lo stato di diritto e ogni attività politica. Iniziò una repressione anticomunista, antiperonista e antisindacale mai tanto diffusa e feroce.
Si entrò così in una fase definita dallo storico Marcelo Cavarozzi “semi-democrazia”, poiché il Partito Giustizialista, di maggioranza, rimaneva escluso dalle elezioni. La spaccatura fu solo parzialmente assorbita dai radicali di Frondizi, che vinse le elezioni del 1958 e legalizzò nuovamente il peronismo (ma non Perón, in esilio in Spagna). Il malcontento dei militari riapparve con due nuovi colpi di stato nel 1962 e nel 1966. Quest’ultimo fu il primo a definirsi non provvisorio, bensì una “Rivoluzione argentina” permanente e duratura, a difesa dell’unità nazionale, dell’occidente e del cristianesimo. Il golpe ebbe l’appoggio di molti partiti e degli antiperonisti. Le continue incursioni militari nelle università (in particolare, la celebre “Notte dei lunghi bastoni” del 29 luglio 1966, a Buenos Aires) e l’inasprirsi di torture e terrorismo di stato portarono alla creazione di gruppi armati clandestini, tra cui i celebri Montoneros, che a loro volta risposero con la violenza al regime. L’organizzazione di movimenti antagonisti era un fatto nuovo, che mostrava quanto fosse alto il livello di frattura sociale e ideologica. La dittatura, sempre più debole anche a causa di imponenti insurrezioni civili (come quella di Cordoba, o Cordobazo, del maggio 1969), decise di permettere le elezioni e addirittura il ritorno del peronismo (ma non di Perón), quale auspicabile ago della bilancia in un contesto di totale instabilità.
Le elezioni del marzo 1973 furono vinte dal peronista Héctor Campora. Ripristinata la legalità del Partito Giustizialista e del suo leader, Campora si dimise dopo appena 49 giorni e convocò nuove elezioni con l’obiettivo di riportare al potere Perón, sicuro della vittoria. Tornato alla ribalta grazie al prevedibile successo elettorale, Perón non riuscì a ricucire lo strappo come sperato, sia perché allontanò le frange più estremiste delle opposizioni alla dittatura -che avevano svolto un ruolo determinante per il suo ritorno-, che per la sua improvvisa morte, il 1° luglio 1974. In un contesto ancora tutt’altro che riappacificato, non fu difficile per i militari riconquistare il potere, nel marzo 1976. L’obiettivo era quello di proseguire in maniera più determinata il percorso iniziato dieci anni prima, con livelli di repressione e sistematizzazione della violenza mai visti prima. Un processo di “riorganizzazione nazionale” in chiave gerarchica, antipopolare e antisovversiva, in un’ottica di disciplinamento della società. Ancora una volta, la polarizzazione divenne uno strumento di legittimazione del potere nel nome di un improbabile ordine superiore.
La brutalità della dittatura del 1976-1983 fu tale da unire, forse per la prima volta, il popolo argentino: il suo ripudio in favore di una transizione democratica fu totale. Le presidenze successive non riuscirono a richiudere del tutto le ferite e a fare giustizia, fino ai processi contro i militari degli anni Duemila.
La Grieta nel XXI secolo
La crisi devastante del 2001 portò a una fortissima instabilità economica e sociale, ma stavolta le istituzioni democratiche ressero, con la vittoria elettorale del semisconosciuto peronista Nestor Kirchner (2003-2007). Néstor fu poi seguito dalla moglie e allora (2007) vicepresidente Cristina Fernández. Il decennio kirchnerista seguì in buona parte la ricetta peronista di sessant’anni prima, con politiche assistenzialiste, assunzioni pubbliche massive, sussidi alle famiglie meno abbienti, salario minimo garantito, inclusione sociale e politica mirata all’aumento del proprio consenso. Questi meccanismi clientelari aumentarono il consenso tra le fasce popolari e i “planeros”, -coloro che beneficiavano dei piani assistenziali statali- ma al contempo riaccesero la fiamma della Grieta grazie alla retorica populista e divisiva dei Kirchner. Gli antiperonisti divennero antikirchneristi, la spaccatura politico-sociale si riaccese pur senza eccedere dai limiti democratici che ormai sembravano radicati nella società argentina. Le elezioni del 2015 videro il trionfo del liberale di destra Mauricio Macri, antikirchnerista. Gli anni di governo macrista non smorzarono la faglia, che anzi si mantenne ad alta intensità a causa delle privatizzazioni e della diminuzione dell’assistenzialismo.
L’avversione nei confronti di Macri delle fasce popolari e della piccola borghesia ha portato a una facile vittoria del “nuovo” peronismo nelle successive elezioni del novembre 2019, con l’avvento di Alberto Fernández. Nonostante la sua retorica populista e neoperonista, Fernández si è iniziato a mostrare come un presidente moderato e pronto al dialogo, proponendo, nei primi mesi di governo, un vero e proprio ibrido tra il giustizialismo e i modelli socialdemocratici europei.
L’Argentina, in due secoli di storia nazionale, non ha mai smesso di vivere una profonda spaccatura politica al suo interno. La Grieta si è trasformata e ha cambiato forma, rimanendo una costante della travagliata vita politica argentina. Un bipolarismo ininterrotto, che deriva dalla profonda diversità di due realtà che, fin dall’indipendenza, compongono questo Paese. Da una parte, un’anima conservatrice, più legata alle appartenenze locali, alla matrice cattolica e a ideali antiliberali, retaggi del colonialismo e del suo sistema politico-sociale. L’eredità del dominio spagnolo rimane tuttora un elemento fondamentale nella cultura argentina. Dall’altra, il mondo progressista e ispirato dai modelli occidentali della borghesia prevalentemente bonaerense, che ha sempre avuto come punti di riferimento il liberalismo inglese e gli ideali rivoluzionari francesi e statunitensi.
Due dimensioni che appaiono inconciliabili anche nel futuro prossimo, nonostante la moderazione dell’attuale presidente Fernández, e che potrebbero mantenere intatta ancora a lungo la forza della Grieta.
Fonti e approfondimenti
Francesco Betrò, L’Argentina chiede ancora memoria, verità e giustizia, 23 marzo 2020
Francesco Betrò, Perché le Malvinas sono così importanti per l’Argentina, 19 febbraio 2020
Francesco Betrò, Con Alberto Fernández il peronismo torna ufficialmente alla Casa Rosada, 12 dicembre 2020
Alex Schober, Widening La Grieta in Argentina, in “The SAIS Europe Journal of Global Affairs”, 2017, Volume 20, pp.63-74.
Carlos Pagni, La crisis argentina: El experimento populista de los Kirchner, in “Cuadernos de Pensamiento Político”, No. 35, 2012, pp. 97-112
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Loris Zanatta, I sogni imperiali di Perón: ascesa e crollo della politica estera peronista, libreriauniversitaria.it, 2016