Ricorda 1990: Convenzione internazionale sui lavoratori migranti

Era il 18 dicembre 1990 quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò con la Ris. 45/158 la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie (ICMW), primo strumento volto alla tutela onnicomprensiva dei diritti di una delle categorie meno tutelate nello scenario internazionale. Oggi – a trenta anni dall’approvazione – solo 55 Stati ne sono parte e 13 hanno firmato senza ratifica, il che la rende uno degli strumenti meno considerati e conosciuti nella protezione dei diritti umani.

Contesto storico

Sin dagli inizi del ‘900 il problema della gestione dei flussi migratori si è andato a collegare sempre più strettamente con la necessità di pensare tutele e sviluppare strumenti volti alla protezione dei migranti – tra cui compaiono anche i lavoratori migranti. Al fine di garantire la loro tutela, già nel 1919, nella bozza di costituzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) venne incluso il riferimento alla protezione dei lavoratori impegnati al di fuori del proprio Paese, principio che verrà poi riaffermato diverse volte in dichiarazioni e convenzioni adottate dall’ILO tra gli anni ’40 e ’70. Negli stessi anni, inoltre, iniziarono le discussioni interne alle Nazioni Unite relative ai diritti dei lavoratori migranti, che si concretizzarono in risoluzioni e report volti ad affrontare il tema delle discriminazioni, dello sfruttamento e del traffico illegale dei lavoratori e a trovare una soluzione comune al problema.

Per questo motivo, a seguito dell’adozione della Ris. 34/172 dell’Assemblea generale sulle misure per migliorare la situazione e assicurare i diritti umani e la dignità dei lavoratori migranti, venne istituito – nel 1980 – un gruppo di lavoro formato da rappresentanti degli Stati membri dell’Onu e di varie organizzazioni internazionali con il fine di redigere una Convenzione che tutelasse in modo onnicomprensivo i diritti di questi soggetti. I lavori durarono nove anni e la bozza venne completata nel giugno del 1990 – per poi essere adottata dall’Assemblea generale nel dicembre dello stesso anno ed essere aperta alle firme degli Stati. Gli anni successivi furono caratterizzati da un intenso lavoro di sensibilizzazione e pubblicizzazione della Convenzione, in particolare a partire dal 1998 quando si riunì per la prima volta il Comitato direttivo della “Campagna Globale per la ratifica della Convenzione”. Questa campagna fu fondamentale per diffondere a livello internazionale il testo, coinvolgere più Paesi nella ratifica e far sì che entrasse in vigore nel 2003 – anno in cui si raggiunse il limite minimo richiesto di ratifiche. Nonostante questo, però, la Convenzione rimane ancora oggi altamente “ignorata” – con 130 Stati che non vi hanno preso parte. Per capire il perché di questa volontà politica avversa è sufficiente analizzare il testo e comprenderne la portata universale e innovativa riguardante la protezione dei diritti umani.

I lavoratori migranti

Prima di affrontare la struttura e il contenuto, è importante concentrarsi sul soggetto della Convenzione. Chi è il “lavoratore migrante”?
Così come stabilito all’art.2 con questo termine ci si “riferisce a una persona che sarà occupata, è occupata o è stata occupata in un’attività remunerata in uno Stato del quale non è cittadino”. Oltre alla macro-categoria vengono elencate, sempre all’art. 2, una serie di altre figure – andando così a estendere la nozione e a tutelare più situazioni e individui. Vi compaiono, infatti, i lavoratori trans-frontalieri, gli stagionali, i marittimi, gli impiegati su una piattaforma a largo, gli itineranti, quelli a progetto e con un’occupazione determinata. Sono poi inclusi anche i lavoratori che svolgono la propria mansione nello Stato di arrivo per un tempo definito e limitato e i lavoratori autonomi, ossia quelli privi di contratto di assunzione.
Il testo aggiunge, inoltre, all’art.3 una specifica su tutte quelle categorie non riconducibili alla nozione di “lavoratore migrante”.
La Convenzione però non si limita a definire il soggetto, ma amplia anche le tutele inserendo e sottolineando una specifica fondamentale che può essere rinvenuta all’art.5:

Dichiarazione diritti lavoratori migranti

Art. 5

Come può essere facilmente compreso, quindi, a essere tutelati non sono solamente i migranti “regolari”, ma tutti i migranti – anche gli “irregolari” – che devono essere protetti in quanto esseri umani. 

Struttura e contenuto

Oltre a estendere il concetto di lavoratore migrante, includendovi la tutela anche degli irregolari, la Convenzione – nelle sue 9 parti e 93 articoli – affronta aspetti complessi quali la protezione dei diritti da ogni punto di vista e la gestione delle migrazioni e dei traffici illeciti. Per comprenderla, si può concentrare l’attenzione su alcuni elementi fondamentali.

La non discriminazione

Sottolineato già dai primi articoli (art.1 e art.5) il principio di non discriminazione assume un ruolo centrale nel testo e viene ripreso ed esteso in una parte dedicata, la Parte II, dove all’art. 7 si stabilisce che le previsioni della Convenzione si applicano “senza alcuna distinzione rispetto a sesso, razza, colore, lingua, religione o convinzione, opinione politica o di altro tipo, origine nazionale, etnica o sociale, nazionalità, età, condizione economica, proprietà, stato civile, nascita o altro stato giuridico”.

I diritti

Le Parti III-V vanno poi a stabilire quali sono i diritti riconosciuti ai lavoratori migranti, tra cui non compaiono solo quelli fondamentali, ma anche un vasta serie di diritti economici, sociali, politici e culturali. Tra questi, alla Parte III (art 8-35) vengono elencati sia i diritti già contenuti negli altri strumenti internazionali sui diritti umani, sia alcuni più specifici collegati alla situazione dei lavoratori migranti e delle loro famiglie. Tra questi compaiono i diritti di proprietà, il divieto di espulsione, il diritto di protezione diplomatica e consolare, e quelli relativi alle condizioni di vita, di salute, sull’educazione e il rispetto dell’identità culturale e la libertà di partecipare alle attività sindacali. Nella Parte IV (art. 36-56) vengono previsti più diritti per i lavoratori regolari – e le rispettive famiglie – allo scopo di eguagliare il loro status con quello dei lavoratori nazionali. Infine, alla Parte V (art.57-63) si trovano i diritti delle categorie specifiche di lavoratori elencati all’art.2.

La gestione delle migrazioni

Accanto alla tutela dei diritti, la seconda “anima” della Convenzione è rappresentata dalla gestione delle migrazioni e la prevenzione ed eliminazione del traffico illegale dei lavoratori migranti. Se, infatti, l’art.35 sottolinea che “Nessuna disposizione […] può essere interpretata nel senso di comportare la regolarizzazione della situazione dei lavoratori migranti o dei membri delle loro famiglie”, la Parte VI risulta interessante in quanto intende promuovere “condizioni giuste, eque, umane e legali in connessione all’emigrazione internazionale di lavoratori e dei membri delle loro famiglie”. Gli art. 65-71 trattano la questione delle migrazioni e della necessità della collaborazione e dello scambio di informazione tra gli Stati, volta soprattutto – come stabilito all’art.68 – all’eradicazione dei traffici illeciti e alla regolarizzazione delle situazioni “irregolari”. 

Convenzione diritti lavoratori migranti

Art. 68

Volontà politica e diritti umani

Da questa analisi si può facilmente comprendere la portata innovativa della Convenzione e per quali motivi viene ostacolata e ignorata a livello internazionale. Il testo, infatti, non è ancora stato ratificato da nessun Paese UE e – in generale – da quasi nessun grande Paese di immigrazione. Gli Stati sono generalmente restii a firmare e ratificare il testo in quanto la protezione e regolarizzazione dei lavoratori migranti non rientra quasi mai tra le priorità politiche dei governi, e anzi, spesso confligge con opinioni pubbliche sempre più xenofobe e nazionaliste. Accanto a ciò, entrare a far parte della Convenzione produce degli “obblighi” in capo agli Stati a cui spetta, oltre all’implementazione del testo, l’invio ogni cinque anni di un report sulla situazione nel Paese alla Commissione sui lavoratori migranti (organo incaricato del controllo). Questo fa sì che nell’ottica della “ragion di Stato” la ratifica della Convenzione risulti “costosa” a livello politico e di stabilità interna e che – ancora una volta – gli interessi nazionalisti abbiano la meglio sull’ottica universalistica della protezione dei diritti umani.

 

Fonti e approfondimenti:

Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie (1990) – testo in italiano: https://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/Convenzione-internazionale-sulla-protezione-dei-diritti-di-tutti-i-lavoratori-migranti-e-dei-membri-delle-loro-famiglie-1990/34

Pagina della Commissione sui lavoratori migranti: https://www.ohchr.org/EN/HRBodies/CMW/Pages/CMWIndex.aspx

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Grafica: Marta Bellavia – Instagram: illustrazioninutili_

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