Com’è cambiata la polizia statunitense, dagli anni Sessanta a oggi

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Negli Stati Uniti, uno dei più importanti dispositivi di riproduzione delle disuguaglianze è costituito dalle forze dell’ordine. Fin dalle origini, la forma di controllo sociale messa in atto dai corpi di polizia è profondamente intrecciata con la storia della discriminazione verso le persone non bianche, in particolare verso la popolazione afroamericana. 

Dalla seconda metà del ventesimo secolo, i governi federali hanno investito molte risorse nei dipartimenti di polizia, accompagnando le proprie decisioni con una retorica rigorosamente bellicista. In questo contesto, gli agenti hanno rappresentato e continuano a rappresentare il braccio esecutivo di norme e prassi discriminatorie e razziste, sempre più apertamente sfidate all’interno del dibattito pubblico e non solo. Nonostante ci sia ancora molta strada da fare, diverse iniziative intraprese dalle amministrazioni locali stanno mostrando come un alleggerimento del raggio d’azione della polizia porti enormi benefici, in termini di gestione pacifica delle crisi, diminuzione degli arresti e incontri violenti con le comunità.

La militarizzazione della polizia

Gli anni Sessanta del Novecento vengono solitamente ricordati come una delle tappe più significative per il progresso della giustizia sociale negli Stati Uniti. Tra il 1964 e il 1965, dietro la spinta del movimento per i diritti civili degli afroamericani, il presidente Lyndon B. Johnson decretò la fine della segregazione e della discriminazione razziale nell’accesso al voto. Tuttavia, in questi stessi anni, l’amministrazione intraprese una rotta che avrebbe portato a conseguenze molto negative per le comunità nere. In seguito alle manifestazioni che sorsero nel Paese dopo l’uccisione di un quindicenne afroamericano da parte della polizia di New York, Johnson dichiarò l’inizio di una “guerra al crimine”. In particolare, con due provvedimenti firmati nel 1965 e nel 1968 fu stabilito un importante aumento dei finanziamenti federali alle forze dell’ordine locali e si compì il primo passo in quella che sarebbe stata una progressiva militarizzazione della polizia. Due misure giudicate funzionali a garantire un maggiore livello di controllo nelle aree in cui si era registrato il maggior numero di crimini violenti, ovvero nelle comunità più povere e/o maggiormente abitate dalla popolazione afroamericana. 

La guerra al crimine degli anni Sessanta è altresì fondamentale perché costituisce la prima di una serie di metafore belliche utilizzate dalle amministrazioni per legittimare un orientamento punitivo nei confronti della devianza. Negli anni successivi, infatti, i successori di Johnson – Nixon, Reagan, Clinton – si sono inseriti in questa scia, facendosi promotori di un approccio securitario che è stata una costante di molti governi a stelle e strisce, di entrambi gli schieramenti politici. In questo contesto, le forze di polizia si sono trovate a giocare un ruolo centrale nelle comunità statunitensi, potendo disporre di grandi risorse operative e di un forte supporto dell’opinione pubblica. Questo spiega perché, nonostante a partire dagli anni Novanta il tasso di crimini violenti sia diminuito, i fondi destinati alle forze di polizia locale nello stesso periodo siano notevolmente aumentati, anche grazie al supporto del governo federale. Dei tre livelli di governo, è proprio quest’ultimo che ha fatto registrare la crescita di fondi più elevata, aumentandoli del 352% tra il 1982 e il 2015. Nel merito, due sono i programmi di finanziamento che coprono la maggior parte della spesa federale: il Byrne Justice Assistance Grant, avviato nel 1988 nel periodo di Reagan e modificato nel 2005, e il Community Oriented Policing Services, o COPS, istituito nel 1994 durante l’amministrazione Clinton. Il bilancio delle forze di polizia è stato incrementato ovunque di milioni di dollari all’anno, seguendo in molti casi una tendenza contraria rispetto a servizi pubblici essenziali come l’istruzione o la sanità. 

La profilazione delle minoranze

Il policing, ovvero l’attività di sorveglianza e controllo sociale posta in essere dagli agenti, rappresenta il momento di ingresso nel sistema giudiziario statunitense. Nell’azione delle forze dell’ordine il pregiudizio razziale, e quindi la discriminazione, manifesta la sua doppia natura culturale-istituzionale. La polizia si trova infatti titolare di un grande potere discrezionale: essa decide quali soggetti sorvegliare e in quali aree esercitare un maggiore o minore controllo. Per quanto concerne la scelta dei soggetti, un’ampia evidenza empirica indica come gli stereotipi razziali influenzino in maniera profonda l’operato degli agenti. Ad esempio, nel caso dei controlli stradali, uno studio recente dello Stanford Open Policy Project ha rilevato che gli afroamericani hanno una più alta probabilità di essere fermati quando a bordo di un veicolo e di subire successivamente una perquisizione rispetto agli altri gruppi. 

Come negli approcci basati sulla persona, nella scelta delle aree risultano sempre più decisivi i modelli statistici elaborati grazie alle raccolte di dati. Anche qui la ricerca dimostra come, a trovarsi sistematicamente sfavorite in questo meccanismo arbitrario, siano le zone caratterizzate da un grado più elevato di disagio sociale, dove si intrecciano disuguaglianze e disparità di trattamento, tra gli altri, a livello scolastico, ambientale e nell’housing. Negli anni, le forze dell’ordine hanno scelto di concentrare la proprie operazioni dove il tasso di criminalità è più elevato. Una decisione che si è tradotta nella creazione di un modello intrinsecamente discriminatorio.

Sebbene negli anni Novanta, quando le tecniche di profilazione digitalizzata sono state adottate per la prima volta dalle forze di polizia, si riteneva che il loro impiego avrebbe portato a una maggiore oggettività, questa teoria negli ultimi anni si è sempre più trovata sotto attacco. Secondo l’esperto di intelligenza artificiale Will Douglas Haven, gli algoritmi sono sostanzialmente razzisti: al di là del fattore automatizzato, essi ricomprendono inevitabilmente gli schemi mentali che condizionano l’operato di chi inserisce i dati. E così facendo, finiscono per rafforzare gli stessi stereotipi e modelli di comportamento discriminatori che dovrebbero annullare

Le riforme della polizia dopo Black Lives Matter

Negli ultimi decenni le riforme federali e locali hanno spesso espanso il potere e i fondi a disposizione della polizia. Le proteste contro il razzismo sistemico e la brutalità delle forze di polizia che sono seguite all’omicidio dell’afroamericano George Floyd da parte dell’agente Derek Chauvin – recentemente condannato – hanno spinto i democratici a prendere posizione sul tema l’estate scorsa. Dopo che il Congresso ha abbandonato un primo tentativo di riforma, nel mese di febbraio la rappresentante Karen Bass ha presentato alla Camera la seconda versione del George Floyd Justice in Policing Act. I cambiamenti delineati nella proposta di legge riguardano la fine dell’immunità qualificata – un forte strumento di tutela giuridica delle forze dell’ordine -, la limitazione degli equipaggiamenti militari e l’implementazione di misure di controllo sull’operato degli agenti, oltre al finanziamento di corsi di formazione per gli stessi. 

Trasformare il corpo di polizia da un organo strutturalmente discriminatorio e oppressivo a un organo rispondente alle esigenze delle comunità è uno degli obiettivi principali dei movimenti sociali che si stanno affermando negli Stati Uniti. Per realizzare un vero cambiamento “di sistema”, le politiche adottate fino ad oggi dal governo federale devono essere radicalmente ripensate. Perché a livello locale il concetto di sicurezza venga declinato in misure a effettiva tutela delle comunità, è indispensabile che il potere e i fondi distribuiti nel tempo alle forze di polizia vengano indirizzati a politiche alternative. Come sottolinea l’ACLU, oggi le comunità bianche hanno maggiori probabilità di vedere investimenti più significativi nelle risorse che vengono utilizzate in modo programmatico per mantenere la sicurezza, la salute e la stabilità: tutto questo, senza l’intervento della polizia

Diverse comunità si stanno già muovendo in questa direzione. Per esempio, nella capitale del Texas, Austin, il consiglio comunale ha deciso di investire ingenti risorse, tra cui buona parte dei fondi precedentemente destinati al dipartimento di polizia, in politiche abitative, programmi di prevenzione della violenza e servizi di salute mentale. Come riportato dal Guardian, Austin è passata da una spesa del 40% del suo budget complessivo per la polizia a un’assegnazione di circa il 26% alle forze dell’ordine. Inoltre, lo stesso ruolo degli agenti di polizia è stato messo in discussione in alcuni dei frangenti in cui storicamente sono state adottate pratiche di iper-criminalizzazione delle minoranze, come i già citati controlli stradali. Sulla scia di Berkeley (CA), in diverse parti del Paese sono state formulate e approvate proposte per togliere il controllo del traffico agli agenti di polizia, responsabili di numerosi atti di violenza anche in tempi recenti. 

A otto anni dalla nascita di Black Lives Matter, l’approccio punitivo perseguito dalle forze dell’ordine nei confronti delle minoranze è nuovamente sfidato da un’ondata di sollevazione popolare. Nel corso del tempo, il sistema di controllo e il razzismo istituzionalizzato degli Stati Uniti hanno dimostrato di sapersi auto-conservare a tutti i livelli, dai controlli stradali alle sentenze sul consumo di sostanze stupefacenti. Iniziare a trasferire il potere di cui dispone la polizia, verso istituzioni non violente e radicate nelle comunità, potrebbe essere il primo passo per fare i conti con il proprio passato e per scoprire che una narrazione diversa non solo è possibile ma auspicabile.

 

Fonti e approfondimenti

Alexander, Michelle. 2010. “The New Jim Crow: Mass Incarceration in the Age of Colorblindness”. New Press

Badger, Emily Bui, Quoctrung, “Cities Grew Safer. Police Budgets Kept Growing.”, The New York Times, 12/06/2020. 

Benbouzid, Bilel. 2019. “To predict and to manage” . Big Data & Society.

Gomez, Henry, J., “Here’s what the George Floyd Justice in Policing Act would do”, NBC, 21/04/2021. 

Heaven, Will, D., “Predictive policing algorithms are racist”, MIT Technology Review, 17/07/2020. 

Laneri, Francesco, A. 2021. “L’immunità qualificata delle forze dell’ordine nel diritto statunitense”, AmbienteDiritto.    

Lee, Nathaniel, “Here’s how two federal programs helped expand police funding by over 200% since 1980”, CNBC, 25/06/2020. 

Lepore, Jill, “The invention of the police”, The New Yorker, 13/07/2020. 

Levin, Sam, “These US cities defunded police: ‘We’re transferring money to the community”, The Guardian, 11/03/2021.  

O’Connor, Meg, “What Traffic Enforcement Without Police Could Look Like”, The Appeal, 13/01/2021.  

Pierson, Emma et al. 2020. “A large-scale analysis of racial disparities in police stops across the United States”. Nature human behaviour.

Speri, Alice, “Stop-and-Frisk Never Really Ended. Now It’s Gone Digital”, The Intercept, 13/10/2020. 

Vargas, Robert McHarris, Philip. 2017. “Race and state in city police spending growth: 1980 to 2010”. Sociology of race and ethnicity.

 

Editing a cura di Cecilia Coletti

Leave a comment

Your email address will not be published.


*