Estremismo, razzismo e suprematismo: Netanyahu è tornato con i rinforzi

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

I risultati delle elezioni dello scorso 1 novembre hanno decretato il ritorno al potere di Benjamin Netanyahu. Il Likud, partito di destra da lui guidato, ha ottenuto la maggioranza dei seggi nella Knesset, il parlamento israeliano.

Tuttavia, per creare una maggioranza e poter tornare a ricoprire il ruolo di Primo ministro per la sesta volta, Netanyahu ha stretto un’alleanza con partiti di stampo religioso, dichiaratamente anti-arabi e suprematisti, formando quello che molte testate hanno definito “il governo più a destra della storia di Israele”.

Una svolta preoccupante

Il nuovo governo israeliano si è insediato ufficialmente lo scorso 29 dicembre, ma la composizione della maggioranza parlamentare negoziata da Netanyahu per crearlo ha suscitato forti preoccupazioni già nei giorni successivi alla pubblicazione dei risultati elettorali. Gli alleati principali del Likud sono infatti partiti di stampo religioso e/o di estrema destra. Più precisamente, i primi compongono, complessivamente, la maggioranza in parlamento: sui 64 seggi (su un totale di 120) della coalizione vincente, Sionismo religioso, Shah e Giudaismo unito della Torah ne hanno conquistati 33, superando persino il Likud. 

All’interno di questi partiti è possibile trovare personalità particolarmente conservatrici e intenzionate a riportare i precetti religiosi in ogni aspetto della vita pubblica. Tra questi vi è Avi Maoz, leader del partito di estrema destra Noam ed entrato nella Knesset all’interno della lista di Sionismo religioso. Questo politico è ben noto per la sua opposizione al femminismo e per le sue opinioni sulla comunità LGBTQ+, considerata sessualmente deviata.

In base all’accordo di governo, a Maoz verrà affidato il compito di guidare una nuova organizzazione con lo scopo di valorizzare l’identità ebraica e in particolare il concetto di “popolo eletto”, al quale la terra di Palestina è stata assegnata per decreto divino. Da sottolineare che i seguaci di Noam considerano se stessi una moderna versione dei maccabei, un gruppo di guerrieri che nel II secolo a.C. istituì il regno di Giudea. 

Questo nuovo governo è quindi formato da persone che utilizzano la religione come un elemento identitario, una base ideologica da imporre sulla società e un mezzo per avanzare pretese territoriali: in altre parole, da individui che sarebbero ben lieti di trasformare il Paese in una teocrazia. 

L’estremismo religioso e la svolta teocratica non sono però l’unico problema. Già all’indomani delle elezioni, l’orientamento politico di estrema destra aveva suscitato forti preoccupazioni, sia all’interno del Paese che all’estero.

Per esempio, il 4 novembre un’analisi pubblicata da The times of Israel, ha fatto notare come con un simile parlamento, «il prossimo ministro della Salute potrebbe rovesciare la decisione dell’attuale ministro Nitzan Horowitz di bandire la terapia di conversione – un trattamento pseudoscientifico per cambiare l’orientamento sessuale di una persona (…) – o di permettere agli uomini omosessuali di donare sangue». Due giorni prima, anche The Guardian aveva espresso in un editoriale il timore di una svolta estremista e autoritaria, che potrebbe minare alcuni dei progressi sociali ottenuti negli ultimi anni.

Niente di nuovo sul fronte palestinese

Come a confermare questi timori, già a gennaio il nuovo ministro della Giustizia Yariv Levin (Likud) ha annunciato un piano per riformulare il sistema giudiziario affidando gran parte dei poteri della Corte suprema all’esecutivo. Di fatto, questa decisione mina la divisione democratica dei poteri, in un Paese dove non esiste una costituzione formale. I cittadini, soprattutto quelli che si identificano nella dormiente sinistra israeliana, sono quindi scesi in piazza a protestare. Queste manifestazioni sono senza dubbio un segnale positivo, ma il motivo alla base tradisce uno spiccato etnocentrismo: si protesta per salvaguardare esclusivamente i diritti dei cittadini ebrei

Israele e i suoi sostenitori hanno sempre raccontato a se stessi e al mondo di essere non solo un Paese democratico, ma addirittura di detenere il primato di unica democrazia del Medio Oriente. In realtà, le premesse stesse del regime israeliano contraddicono le nozioni più basilari di democrazia: si tratta di una nazione fondata per un popolo specifico sulla base di precetti religiosi e ideali politici risalenti al XIX secolo. Gideon Levy, giornalista israeliano, ha riassunto perfettamente la questione illustrando come il Paese abbia tre sistemi giudiziari differenti: una democrazia per gli ebrei, un regime di apartheid per gli arabi israeliani e un’occupazione militare per i palestinesi dei Territori Occupati.

Suprematisti anti-arabi al potere

Il 2022 è stato l’anno con il maggior numero di palestinesi uccisi dal 2005 con 231 vittime, per la maggior parte sotto i 30 anni. L’esecutivo al potere era la coalizione “moderata” di Bennet e Lapid; con il nuovo governo omicidi e violenze promettono solo di aumentare. Tra gli alleati di Netanyahu spiccano infatti coloni residenti nei in insediamenti illegali in Palestina e altri personaggi dichiaratamente razzisti e anti-arabi. Tra questi vi è Betzalel Smotrich, membro di Sionismo religioso e orgogliosamente omofobo, appena nominato ministro delle Finanze; in base alla sua nuova carica, costui otterrà il controllo di tutte le attività civili in Cisgiordania, inclusa la gestione del processo di colonizzazione.

Tuttavia, la figura tristemente più rappresentativa di questo nuovo governo è Itamar Ben-Gvir, leader di Potere ebraico; come facilmente intuibile dal nome del suo partito, si tratta di un personaggio apertamente colonialista, suprematista e sostenitore dell’annessione totale della Palestina storica allo Stato di Israele.

Oltre ad aver tenuto esposto nel salotto di casa l’immagine di Baruch Goldstein, che nel 1994 uccise 29 palestinesi a Hebron, Ben-Gvir era stato condannato nel 2007 per incitamento al razzismo e per sostegno al gruppo ebraico kahanista. Questo movimento, ispirato al rabbino estremista Meir Kahane (ucciso nel 1990) professa l’esclusiva sovranità ebraica sulla “Terra d’Israele” e, pertanto, l’espulsione degli arabi; auspica inoltre la ricostruzione del tempio di Gerusalemme distrutto nel 70 d.C.

A un individuo di questo calibro, che poco prima delle elezioni ha minacciato con una pistola dei palestinesi residenti a Sheikh Jarrah urlando «Sono io il padrone di casa qui» e alcuni giorni dopo l’insediamento del governo è provocatoriamente entrato nel complesso di al-Aqsa scortato dalla polizia, è stato affidato il Ministero della sicurezza nazionale.

In altre parole, le forze dell’ordine e soprattutto la polizia di frontiera sono sotto il controllo di un soggetto apertamente favorevole all’uso della violenza indiscriminata contro gli arabi. Ciò non può fare altro che legittimare e fomentare le violenze perpetrate ai danni dei palestinesi anche da parte dei privati cittadini israeliani, soprattutto i coloni.

Per i rappresentanti del nuovo governo, il suprematismo ebraico è dunque un valore e un qualcosa di onorevole. Non si tratta certamente di una novità, ma adesso l’aperto odio anti-arabo presente in un così alto numero di personaggi chiave all’interno dell’esecutivo appena insediato non è controbilanciato da nessuna forza che sia almeno vagamente moderata; al contrario, si sono creati i presupposti per l’instaurazione di un’etnocrazia totale e probabilmente anche della ricerca di una “soluzione finale” per i palestinesi, sia nei Territori Occupati che in Israele.  

Cosa potrebbe succedere

L’orientamento del nuovo governo è problematica per gli alleati storici di Israele, in particolare per gli Stati Uniti. La chiusura o il raffreddamento dei rapporti tra Washington e Tel Aviv sono due scenari praticamente impossibili, ma parte della società civile statunitense, inclusi i cittadini di religione ebraica, hanno apertamente preso le misure dal nuovo esecutivo israeliano.

Oltre trecento rabbini americani hanno deciso di troncare ogni rapporto con i membri del governo di Tel Aviv, mentre Americans for Peace Now (un’associazione filo-israeliana) ha dichiarato senza mezze misure di non voler avere nulla a che fare con un governo composto da individui del calibro di Ben-Gvir e Smotrich. 

Nonostante queste prese di posizione non possano avere ripercussioni immediate sull’operato del governo israeliano o sui rapporti internazionali dello Stato ebraico, la crescita di una coscienza critica all’interno della società civile degli Stati Uniti potrebbe quantomeno aprire la strada a critiche aperte sull’operato di Netanyahu e dei suoi colleghi più estremisti anche all’interno degli ambienti istituzionali.

Un Israele così dichiaratamente razzista, discriminatorio e antidemocratico sarà certamente difficile da difendere per gli alleati storici di Tel Aviv. 

Alcune analisi, come quella apparsa su Middle East Monitor il 21 dicembre, vedono in questo governo del genere una possibilità: le posizioni così dichiaratamente estremiste e violente, essendo ingiustificabili da qualsiasi governo che voglia definirsi garante dei diritti umani, potrebbero infatti portare alla fine dell’eccezionalismo riservato dall’Occidente a Israele e quindi dell’impunità dei sionisti. Tuttavia, una svolta così epocale avrà sicuramente bisogno di tempo per svilupparsi. Nel frattempo, quale sarà il costo in termini di vite palestinesi?

 

Fonti e approfondimenti

Ramzy Baroud, Israel was never a democracy, so why is the West lamenting the end of a ‘liberal’ state?, Middle East Monitor, 03/01/2023.

Sylvain Cypel, Israël. Toujours plus à droite, une course à l’abîme, OrientXXI, 05/01/2023.

Sylvain Cypel, Itamar Ben Gvir, l’ascesa al potere di un fascista israeliano, OrientXXI, 10/01/2023.

Yoav Haifawi, Lessons from the 2022 Israeli elections, Mondoweiss, 05/11/2022.

Gideon Levy, Zionists only: The basic flaw of Israel’s new protests against judicial power grab, Middle East Eye, 25/01/2023.

Ben Lynfield, Extreme-right Israeli minister visits al-Aqsa mosque compound, The Guardian, 03/01/2023.

Ilan Pappe, Israel’s new government pushes country towards the precipice, Middle East Eye, 16/11/2022.

Middle East Monitor, Roadmap for turning Israel into a theocracy and putting Jewish law ‘above all’ uncovered, 23/01/2023.

Mitchell Plitnick, Biden administration and Israel lobby in a panic following Netanyahu’s far-right election sweep, Mondoweiss, 03/11/2022.

 

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