Gli aiuti allo sviluppo: il caso del Burundi

Gli aiuti economici ai paesi sottosviluppati sono da decenni materia di dibattito per economisti e politici. Oggi, analizzando la condizione politico-economica del Burundi, cercheremo di agevolare la comprensione di un argomento all’apparenza banale ma che, in realtà, è decisamente controverso. 

Cosa si intende per aiuti economici?

Gli aiuti economici sono dei trasferimenti di risorse finanziarie, beni o servizi a favore di gruppi, organizzazioni o Stati che si trovano in condizione di bisogno economico.  Chi si occupa di fornire questa assistenza economica sono gli organismi governativi, le agenzie e le organizzazioni non governative (ONG).

Quali tipologie di paesi possono beneficiare di questi aiuti?

  •  Paesi colpiti da catastrofi come le calamità naturali (es. il terremoto di Haiti) che richiedono uno sforzo economico per la ricostruzione tale da non essere spesso sostenibile, in questo caso si parla di aiuti di emergenza poichè l’intervento è mirato a gestire una crisi conseguente ad un singolo evento e con necessità di aiuto in tempi molto brevi.
  • Paesi che presentano grave crisi economica, politica e sociale e che necessitano di un piano di interventi mirati allo sviluppo dello Stato: piani di aiuti finanziari duraturi, per l’80% concessi da organi governativi,  ai così detti “paesi in via di sviluppo” (PVS).

L’analisi del Burundi ci aiuta a comprendere al meglio la situazione politico-economica in cui versa un PVS beneficiario, quali sono le condizioni che i donatori impongono affinché possa essere concesso un aiuto allo sviluppo e quali sono gli enormi rischi in cui possono incappare i protagonisti di questi movimenti finanziari.

Dal 1962, anno in cui viene ufficializzata l’indipendenza dalla colonizzazione tedesca e belga, il Burundi vede l’alternarsi di governi instabili, il più delle volte rovesciati da colpi di Stato. L’instabilità politica, l’altissima corruzione e le guerre civili hanno costretto la popolazione a vivere in un perpetuo stato di povertà. Dal 1994, anno della guerra civile in Ruanda, il Burundi è stato il primo paese verso cui i profughi ruandesi si sono rifugiati . La vicinanza geografica dei due Stati ha permesso che le atrocità del conflitto tra Hutu e Tutsi si protrassero anche in territorio burundese con numeri altrettanto spaventosi.

L’ultimo golpe, tentato il 13 maggio 2015, è avvenuto con l’intento di dimostrare l’incostituzionalità della presentazione di una terza candidatura consecutiva del Presidente Pierre Nkurunziza. Dalla nuova elezione del Presidente, la situazione politico-economica burundese è completamente sprofondata, costringendo la popolazione a fuggire nei paesi limitrofi (250.000 persone emigrate in Tanzania, Uganda, Ruanda e Repubblica Democratica del Congo) o a impugnare le armi e combattere una guerra civile che negli ultimi 10 mesi ha già causato la morte di 440 persone.

Il Burundi, come molti altri paesi in via di sviluppo beneficiari degli aiuti, nonostante gli introiti dalla comunità internazionale è ben lontano dal raggiungimento di una ripresa economica. Contrariamente, sembra sprofondare sempre più in un vortice di precarietà sociale, politica ed economica.

I dati che riguardano l’economia descrivono una condizione di assoluta recessione: nel 2016 il deficit (inteso come debito pubblico, ovvero il debito che lo Stato ha contratto con i soggetti che hanno investito nei titoli di Stato) ammonta a 400 milioni di franchi burundesi. Oggi le casse dello Stato sono completamente vuote: la mancanza di liquidità è strettamente connessa all’aumento della disoccupazione e il governo ha ammesso che non ci sono più fondi per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici.

Per far fronte a tale situazione, il governo ha adottato delle rigide politiche di risparmio che prevedono l’abbassamento della spesa pubblica (ovvero i soldi che lo Stato spende in beni e servizi pubblici) e il taglio dei fondi per la sanità, l’educazione e l’agricoltura facendo registrare un netto aumento della malnutrizione adulta e infantile.

Per di più, la crescente inflazione (l’aumento dei prezzi dei beni che porta a un calo del potere d’acquisto della moneta) ha costretto parte della popolazione a non potersi più permettere l’acquisto dei beni alimentari.

L’economia burundese si poggia per il 50% su aiuti internazionali, per la maggior parte proveniente dall’UE (nel periodo compreso tra il 2005 ed il 2015 il Burundi ha beneficiato di circa 650 milioni di euro). La Commissione Europea ha però negli ultimi mesi messo alle strette Nkurunziza, invitando il Presidente a riaprire il dialogo con il Ruanda e con le forze dell’opposizione affinché la stabilità politica possa condurre il paese ad una ripresa economica costante. Malgrado queste intimidazioni, il Capo dello Stato non sembra voler porre fine alla guerra civile e al conflitto tra Hutu e Tutsi e, di conseguenza, l’UE, lo scorso 14 marzo, ha deciso di sospendere il piano di aiuti economici che avrebbero rimpinguato le casse burundesi per una somma pari a 430 milioni di euro nel periodo compreso tra il 2015 ed il 2020.

Gli aiuti per lo sviluppo hanno come primo obiettivo quello di ridurre le diseguaglianze globali e, soprattutto, di portare benessere nei paesi che da tempo non ne hanno.

Affinchè si possano ottenere risultati duraturi è impossibile circoscrivere il sistema degli aiuti al mero aspetto economico. In Burundi sono spaventosi i numeri che riguardano l’alta mortalità, la presenza di acqua potabile, la natalità incontrollata, la scarsa igiene, la malnutrizione e le aspettative di vita.


Cooperare allo sviluppo non significa erogare ingenti somme di denaro a governi non democratici e corrotti,
con la speranza che dopo aver cancellato il debito pubblico il paese possa ripartire anche senza una solida struttura politica.
Promuovere lo sviluppo significa, in primis, migliorare il tenore di vita delle persone e questo non può essere evinto esclusivamente dai dati che riguardano il debito pubblico, la disoccupazione o l’inflazione.

Il vero problema non è il denaro, è la mancanza di capitale umano. In un ambiente “in cui la corruzione e il malgoverno si affiancano alla mancanza di capacità, non è strano che non arrivino investitori […] dopo la guerra dovevamo riuscire a far decollare gli investimenti, ma la nozione di Stato non è la stessa per tutti; alcuni lo concepiscono al servizio di interessi personali, come una macchina che lavora per il benessere di poche persone” (Charles Nihangaza, ex Ministro delle Finanze burundese).

 

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