La crisi agraria in India, tra indifferenza e disperazione

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Nelle ultime settimane, in concomitanza con il crescere delle tensioni in vista delle elezioni ormai prossime, si sono intensificate le proteste degli agricoltori indiani contro le mancate riforme agricole, promesse dal governo in carica e mai attuate. Diverse migliaia di contadini sono scesi in piazza a Delhi, Mumbai e altre grandi città di tutto il Paese per protestare contro il disinteresse mostrato dal governo nei confronti della crisi del settore agricolo in corso in India.

A coordinare le manifestazioni la All India Kisan Sangharsh Coordination Committee (AIKSCC), movimento che riunisce più di duecento organizzazioni contadine sparse in tutto il Paese e che attraverso una piattaforma online lotta per il rispetto dei diritti dei lavoratori agricoli. In particolare, l’AIKSCC ha denunciato il mancato rispetto da parte dell’attuale governo delle promesse fatte a inizio mandato riguardo il miglioramento delle condizioni lavorative della popolazione contadina.

Queste avrebbero dovuto comprendere innanzitutto l’implementazione delle raccomandazioni della Swaminathan Commission, una commissione creata nel 2004 per venire incontro al deterioramento progressivo delle condizioni di vita dei contadini indiani. Nel 2006 i suoi membri hanno stilato una lista di raccomandazioni giudicate urgenti, tra cui la necessità di un aumento della remunerazione agricola; questa dovrebbe essere pari al 50% in più del costo di produzione medio del bene in questione, ma ciò non si è ancora verificato.

Se durante le proteste gli agricoltori hanno espresso il loro dissenso nei confronti dell’operato del Primo Ministro Modi e le mancate riforme in campo agrario, è anche vero che le cause della stagnazione in cui si trova attualmente questo settore in India sono più profonde. Già dall’avvento del neoliberismo negli anni Novanta le condizioni della popolazione contadina erano andate via via peggiorando; dal 2014 in particolare, con il brusco aumento del prezzo del carburante e dei fertilizzanti da un lato e il progressivo declino dei salari agricoli, sono aumentati notevolmente i lavoratori agricoli che non riescono a mantenere la propria famiglia.

La situazione è inoltre aggravata dal fatto che la terra fertile adibita all’agricoltura è in calo, venendo progressivamente destinata a usi non agricoli come la costruzione di infrastrutture, industrie e abitazioni, e di conseguenza è in aumento il numero di contadini privati della propria terra (quasi il 40% della popolazione contadina non possiede attualmente alcuna terra).

Un censimento sui possedimenti terrieri degli agricoltori indiani mostra come questi siano diminuiti notevolmente negli ultimi quarant’anni: nel 1970 la media nazionale si attestava intorno ai 5,63 acri per agricoltore, per poi scendere a 4,55 dieci anni dopo e arrivare quasi a dimezzarsi nel presente. Nel complesso, dall’Indipendenza a oggi circa 50 milioni di acri di terra coltivabile (il 6% dell’intero territorio indiano) sono stati convertiti per usi non agricoli; in particolare, questa tendenza ha subito un’accelerazione negli ultimi dieci anni.

Come mostrano i due grafici seguenti, l’agricoltura continua a occupare gran parte della forza lavoro indiana (42%), ma contribuisce in misura minima al PIL del Paese (15%); questo sovraffollamento di manodopera nel settore rende impossibile guadagni dignitosi ai 244 milioni di indiani impiegati in attività legate alla terra.

Durante le proteste che si stanno susseguendo in questo periodo dunque la popolazione contadina chiede innanzitutto che vengano fissati dei prezzi minimi più alti per i prodotti agricoli, in linea con il rapido aumento del costo della vita. Si richiede inoltre una adeguata compensazione per i lavoratori agricoli che subiscono danni dovuti a cause di forza maggiore, come prolungati periodi di siccità e calamità naturali. Le famiglie vittime di eventi simili sono infatti costrette spesso a indebitarsi, rischiando di entrare in un circolo vizioso senza fine se lo Stato non interviene in loro aiuto. Infine le proteste si sono indirizzate anche verso le acquisizioni di terre destinate alla realizzazioni di grandi progetti industriali, svendute dallo Stato a grandi aziende (soprattutto straniere).

Le conseguenze di queste acquisizioni hanno investito quasi 60 milioni di persone, alimentando la crescita del numero di contadini senza terra. Alcuni sono stati espropriati della propria terra forzatamente, e a molti di questi non sono stati offerti mezzi di sostentamento alternativi o opportunità di reinsediamento e compensazione.

Ad essi vanno aggiunte tutte quelle comunità i cui membri non posseggono ufficialmente alcuna terra ma la cui sopravvivenza dipende dall’utilizzo di terre “in comune”, le cosiddette common property resources (CPRs), in particolare foreste e corsi d’acqua nei pressi dei quali vivono esse stesse. Le CPRs coprono circa l’11% del territorio indiano, ma poiché il governo ne riconosce ufficialmente solo uno 0,04% i restanti territori non sono soggetti a nessuna tutela contro le acquisizioni.

In fatto di legislazione la terra resta in India uno dei settori meno riformati, e anche per questo motivo una crisi come quella attualmente in corso era quasi inevitabile. Inoltre le compensazioni che per legge spetterebbero alle vittime di un’acquisizione di terra spesso sono irrilevanti, insufficienti nel fornire mezzi di sostentamento equivalenti a quelli sottratti.

L’insieme di questi fattori ha contribuito al peggioramento della crisi del settore agricolo e delle condizioni di vita di chi trae da esso la principale fonte di sostentamento, determinando l’aumento di un fenomeno tristemente diffuso in tutto il Paese: il suicidio di contadini. L’incremento del tasso di suicidi tra contadini è allarmante: la media nazionale si aggira intorno ai 12.000 suicidi l’anno dal 2014 a oggi.

Sono tante le associazioni e le Ong che cercano di tutelare i diritti dei lavoratori agricoli, dall’accesso alla terra alle garanzie minime su salari e condizioni lavorative. Tra queste, numerosissime sono nate con l’obiettivo specifico di contrastare il fenomeno dei contadini suicidi o di fornire supporto ai loro parenti. Una delle più conosciute è l’Ong Save The Indian Farmers, tra i cui scopi vi è quello di diffondere e aumentare la consapevolezza della portata del fenomeno, oltre che aiutare le vedove di contadini suicidi a trovare una nuova fonte di sostentamento.

L’esistenza di diverse centinaia di associazioni che si dedicano a questa causa da un’idea della gravità del fenomeno; rende inoltre chiara l’urgenza di una riforma del settore agricolo nel suo complesso, per adattarsi ai cambiamenti sociali ed economici dell’attuale contesto indiano e permettere allo Stato di uscire dalla crisi in cui si trova al presente.

Fonti e approfondimenti:

The Diplomat, “Farmers anger descends on Delhi”, https://thediplomat.com/2018/12/farmers-anger-descends-on-delhi/

Indian Express, “Many demands, one voice as farmers march” https://indianexpress.com/article/india/farmers-protest-delhi-ramlila-maidan-parliament-street-5473460/

Piattaforma online per il coordinamento delle organizzazioni contadine indiane, informazioni generali: http://aikscc.com/

Economic and Political Weekly, “How can we understand India’s agrarian struggle beyond “Modi Sarkar Murdabad?” https://www.epw.in/engage/article/how-can-we-understand-indias-agrarian-struggle-beyond-modi-sarkar-murdabad

Sanjoy Chakravorty, The Price of Land. Acquisition, conflict, consequence, Bengaluru, Oxford University Press, 2013

 

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