In lobby with EU: le regole del gioco

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Spesso pensiamo all’Unione europea come un insieme di istituzioni lontane e isolate, che non interagiscono con i cittadini. Al contrario, l’UE dipende dal dialogo costante con organizzazioni, cittadini, imprese, sindacati, amministrazioni locali. Questi soggetti, organizzati come gruppi d’interesse, contribuiscono a influenzare, anche in modo significativo, le decisioni prese a Bruxelles. In questo progetto esamineremo l’attività delle lobby nell’Unione europea, le loro strategie e le conseguenze per i cittadini.

Cos’è il lobbying?

L’attività formale di lobbying è comunemente associata alla politica statunitense, mentre è relativamente nuova in Europa. Nella letteratura, il lobbying anglosassone e quello europeo sono associati a due modelli diversi, anche se studi più recenti tendono a sfumare questa distinzione.

  • Il modello pluralista, nel quale i gruppi d’interesse hanno uguale accesso al sistema politico (ma non uguale influenza). In questo caso, lo Stato ha un ruolo passivo e non interferisce nel “libero mercato” delle idee. Per questo, il modello pluralista è tipico dell’esperienza statunitense.
  • Il modello corporatista, con lo Stato che ha un ruolo attivo nell’agevolare e mediare il dialogo tra i gruppi, favorendo alcuni interlocutori/interessi (ad esempio le parti sociali o i rappresentanti della società civile).

L’enciclopedia Treccani definisce la lobby un

“Gruppo di interesse che opera prevalentemente nelle sedi istituzionali di decisione politica attraverso propri incaricati d’affari o apposite agenzie allo scopo di influenzare e persuadere il personale politico a tenere conto degli interessi dei propri clienti nell’emanazione di provvedimenti normativi.”

Il lobbying, dunque, è un’attività portata avanti da un gruppo d’interesse per influenzare il processo decisionale in un sistema politico: in questo caso, l’Unione europea.

Si parla di gruppi d’interesse privati – gruppi di aziende, organizzazioni di settore – e pubblici, come ONG e associazioni di consumatori. I primi rappresentano interessi particolari, solitamente di tipo economico; le seconde sono portatrici di interessi diffusi, come la tutela ambientale o i diritti civili.

 

Lobby nell’Unione europea: i numeri

È difficile stabilire quante organizzazioni siano coinvolte nel lobbying a livello europeo. Attualmente, 11.847 organizzazioni sono iscritte al Registro per la trasparenza, istituito nel 2011 in seguito a un accordo interistituzionale tra Commissione e Parlamento; il Consiglio, al momento, ha scelto di non farne parte.

 

Andamento iscritti al registro

 

Circa la metà sono rappresentanti di interessi economici: associazioni di categoria, commerciali e professionali, e lobbisti interni. Le organizzazioni non governative sono circa il 26%, seguite dalle società di consulenza specializzate, studi legali e consulenti indipendenti (intorno al 10%).

Intorno ai due terzi delle organizzazioni registrate sono “associazioni” europee. Queste dovrebbero rappresentare interessi collettivi a livello europeo e possono essere composte da organizzazioni nazionali, imprese, cittadini, ONG e/o autorità pubbliche.

In totale, le organizzazioni iscritte al registro impiegano più di 82.000 persone, di cui quasi 7.000 sono accreditate per accedere al Parlamento. Un vero e proprio esercito di lobbisti in contatto costante con le istituzioni europee. Per fare un confronto, la Commissione europea impiega intorno alle 39.000 persone; il Parlamento europeo circa 9.000.

I gruppi d’interesse, però, non interagiscono soltanto con la Commissione e il Parlamento. Hanno infatti a disposizione una serie di altri canali, a livello nazionale e sovranazionale: il Consiglio e i suoi gruppi di lavoro, il COREPER, le delegazioni UE all’estero e, ovviamente, la politica nazionale. Questa presenza “a più livelli” permette ai gruppi di influenzare il processo decisionale a ogni stadio: proposta legislativa, discussione del testo e degli emendamenti, implementazione negli Stati membri. Questo comportamento strategico è detto venue shopping: il gruppo d’interesse sceglie il canale più appropriato a seconda dell’ambito di competenza legislativa, del tema in discussione, o delle risorse e contatti a disposizione.

 

Perché il lobbying?

Il fenomeno del lobbying nell’Unione europea, anche se non molto noto, ha però una portata significativa. Ma perché le istituzioni europee consentono l’accesso a questi soggetti?

Il lobbying è legato a doppio filo con l’integrazione europea: è la stessa Unione ad affermarlo. Una nota del Consiglio sul ruolo delle lobby nel processo decisionale comunitario specifica che: “I gruppi d’interesse sono un elemento fondamentale dell’integrazione europea.” L’espansione delle competenze comunitarie, infatti, sta spostando il centro dell’azione politica – almeno in parte e in alcuni settori politici – dalle capitali nazionali alle sedi istituzionali europee.

Il lobbying risponde a due esigenze fondamentali per l’Unione europea:

  1. Informazioni confidenziali e conoscenze tecniche;
  2. Partecipazione e consenso politico.

Commissione e Parlamento si trovano a discutere argomenti spesso tecnici e complessi, senza avere l’esperienza o la preparazione necessarie. Per un’organizzazione con un apparato amministrativo ridotto (in proporzione alla popolazione), l’expertise e le informazioni dei gruppi d’interesse sono una risorsa preziosa. L’input di professionisti, tecnici ed esperti del settore è essenziale per stilare e approvare i provvedimenti. L’UE, dunque, riceve consulenze, relazioni e note tecniche gratuite; in cambio, i gruppi d’interesse coinvolti possono usare questo canale per portare avanti le proprie posizioni.

Il lobbying, per l’UE, è anche uno strumento di consenso. Offre, infatti, un canale di dialogo e legittimazione politica ulteriore rispetto alle elezioni parlamentari, consentendo anche alle istituzioni europee non elette direttamente – in primis la Commissione – di interagire con i cittadini e di recepire le loro istanze.

L’Unione europea è un’organizzazione sovranazionale, che allo stesso tempo deve trovare un equilibrio tra gli interessi e le posizioni di 27-28 Stati membri. Vi sono dunque molteplici interessi economici, sociali e politici da conciliare. Attraverso il lobbying, le istituzioni europee mantengono un dialogo costante con i rappresentanti di questi interessi, attuando una forma di democrazia partecipativa.

 

Criticità del sistema lobby nell’Unione europea

Squilibri organizzativi

Abbiamo parlato del venue shopping e della struttura “multilivello” dell’Unione europea. Un sistema così complesso tende a favorire gli attori con maggiori risorse economiche e umane. Essi, infatti, possono agire contemporaneamente su più fronti: individualmente con i propri rappresentanti o attraverso un’agenzia; attraverso le organizzazioni di settore nazionali; attraverso le “associazioni” europee. Gruppi più piccoli e con risorse ridotte, al contrario, avranno molte più difficoltà a trovare punti di contatto.

Iscritti al Registro per la trasparenza per categoria

Per cercare di ridurre questo squilibrio, Parlamento e Commissione finanziano le associazioni portatrici di interessi diffusi che tendono ad avere meno risorse e capacità organizzative. Solo nel 2016, ad esempio, la Commissione ha erogato circa 2 miliardi di euro alle associazioni non governative. Se da un lato questo sostegno consente a molte organizzazioni di sopravvivere, dall’altro c’è chi esprime dubbi sulla loro autonomia, data la dipendenza dai finanziamenti europei.

 

Trasparenza limitata

In tempi recenti, le istituzioni europee si sono dotate di regolamenti per garantire la trasparenza nel lobbying. È importante, infatti, che i cittadini conoscano quali organizzazioni tentano di influenzare le decisioni prese nell’Unione europea e quali risorse hanno a disposizione.

Il Registro per la trasparenza, istituito dal Parlamento europeo nel 1995, è nato proprio a questo scopo. Esso include tutti i soggetti che tentano di influenzare il processo decisionale europeo. Nel 2008 la Commissione ne ha creato uno analogo; dal 2011 esiste un registro unico, cui si può aderire su base volontaria. Gli iscritti devono dichiarare una serie di informazioni (come obiettivi e dati finanziari) e devono aderire a un codice di condotta. In cambio, beneficiano di alcuni privilegi, ad esempio inviti a commissioni parlamentari o pass per accedere al Parlamento.

La Commissione Juncker ha proposto di rendere l’iscrizione obbligatoria, ma l’iniziativa è in discussione ormai da un anno tra Commissione, Parlamento e Consiglio.

Le procedure della Commissione tendono ad essere più trasparenti rispetto al Parlamento. Infatti, attraverso le consultazioni legislative online, individui e organizzazioni possono contribuire con le loro proposte (rese pubbliche sul sito web). Inoltre, nella formulazione delle proposte legislative, la Commissione attinge a un Registro di esperti e gli incontri tra lobbisti e commissari sono pubblici, così come quelli con i loro collaboratori stretti, o i direttori generali.

Forse perché fino a tempi recenti il Parlamento europeo ha avuto un ruolo di secondo piano nella legislazione, il lobbying è meno formalizzato e soggetto a regole meno stringenti. I MEP non sono tenuti a dichiarare i loro incontri con rappresentanti di gruppi d’interesse e persino le loro spese sono soggette a controlli molto limitati. A gennaio 2019, però, sono entrate in vigore nuove procedure che obbligano i relatori delle proposte legislative a citare nella loro relazione eventuali incontri e scambi avvenuti con gruppi d’interesse. La riforma dovrebbe rendere il procedimento legislativo più trasparente, agendo su uno dei principali canali di influenza per le lobby nell’Unione europea.

 

Autonomia

Con una relazione così stretta tra gruppi d’interesse e istituzioni europee, in molti mettono in dubbio l’autonomia decisionale di queste ultime. Il discorso è valido soprattutto per il Parlamento europeo, i cui membri non possono contare su un apparato tecnico-amministrativo come quello della Commissione.

Per ovviare a questo problema, il Parlamento si è dotato nel 2013 di un Dipartimento di ricerca, il Parliament Research Service, che produce relazioni e analizza temi rilevanti per l’Unione europea. Tuttavia, specialmente nelle commissioni, i MEP si servono ampiamente di consulenze esterne.

Il caso della GDPR, la nuova legislazione europea sulla protezione dei dati personali, ne è la prova. Il sito Lobbyplag confronta gli emendamenti presentati dai MEP con i documenti forniti loro dai gruppi d’interesse: molto spesso, intere frasi vengono copiate e incollate nella bozza legislativa, a riprova dell’influenza che le lobby hanno sul processo legislativo. Il risultato è un compromesso tra i gruppi pro-privacy e quegli attori, come Amazon ed eBay, che vorrebbero regole più flessibili.

Può capitare, inoltre, che i MEP siano direttamente legati a interessi terzi, perché i regolamenti attuali non vietano di avere un impiego esterno, a patto che il reddito da esso derivante sia inferiore ai €5.000 annui.

Nel 2015, ad esempio, un’indagine di Alter-EU ha rivelato che 9 MEP avevano un impiego con aziende o gruppi iscritti al Registro per la trasparenza. La maggior parte di essi faceva anche parte di commissioni parlamentari e aveva dunque un ruolo attivo nella modifica e discussione delle proposte legislative.

Un caso interessante, per esempio, era quello di Birgit Collin-Lagen, parlamentare tedesca in quota PPE, membro della Commissione sull’ambiente e impiegata per RWE, una compagnia elettrica che fa ampio uso di combustibili fossili.

 

Conclusioni

I gruppi d’interesse sono una risorsa preziosa per l’Unione europea, ma possono facilmente trasformarsi in una vulnerabilità. Per questo, è importante conoscere e approfondire questo mondo spesso nascosto agli occhi dei cittadini. Che influenza esercitano questi gruppi sulle politiche europee? Quali sono i soggetti con più risorse e influenza? Come si svolgono queste interazioni? Nei prossimi articoli, risponderemo a queste domande.

 

 

Fonti e approfondimenti

Alter-EU, Whose representatives? MEPs on the industry payroll. Giugno 2015.

Council of the EU – General secretariat, “Interest groups in EU decision-making”, Council of the EU Library Note, 16/05/2013

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European Parliament, “EU pushes for a mandatory EU Transparency Registry”, European Parliament Multimedia Centre, 22/05/2018

Dür, Andreas. 2008. “Interest Groups in the European Union: How Powerful Are They?West European Politics. 31 (6): 1212-1230.

Delić, Anuška. “No transparency please, we’re MEPs”, Politico, 07/03/2018.

European Parliament, “Negotiations begin on a mandatory Transparency Register for the three EU institutions”, press release, 17/04/2018

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Woll, Cornelia. 2006. “Lobbying in the European Union: From sui generis to a comparative perspective'”. Journal ofEuropean Public Policy, 13:3, 456 — 469

Charrad, Kristina. 2011. “Lobbying the European Union“. Nachwuchsgruppe “Europäische Zivilgesellschaft und Multilevel Governance”.

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Lobbyplag

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