Ruanda: un Paese di contraddizioni

Paul Kagame
Il Ruanda di Kagame: Un Paese di contraddizioni - Copyright World Economic Forum / Matthew Jordaan via Wikimedia Commons - CC BY 2.0

di Aurora Guainazzi

Il Ruanda: un Paese tanto piccolo, eppure così importante. Il Ruanda è tristemente conosciuto a livello internazionale per il genocidio del 1994 che portò al massacro di circa 800-850.000 persone, tra Tutsi e Hutu moderati, che si interruppe a seguito dell’avanzata delle milizie del Rwandan Patriotic Front, guidato tra gli altri da Paul Kagame. 

L’opinione pubblica internazionale ne sente spesso parlare bene. Le sue buone prestazioni a livello economico, il processo di democratizzazione continuo, il suo peso regionale, fanno del Ruanda un attore rilevante. Ma quali contraddizioni si celano dietro questa fiabesca facciata?

Kagame, l’uomo forte del Ruanda

Cessate le violenze, il Rwandan Patriotic Front ha gestito il processo di ricostruzione e democratizzazione che ha interessato il Ruanda dopo la fine del genocidio. Le contraddizioni del sistema di crescita interna e di costruzione di rilevanza internazionale ideato da Kagame sono state ben presto evidenti. Nonostante il Paese abbia registrato apparenti progressi in molti ambiti, la povertà, la censura e l’assenza di un reale sistema democratico rimangono questioni da risolvere. 

Primo e unico presidente del Ruanda dal 1994, Paul Kagame, 62 anni, è ancora il leader del Rwandan Patriotic Front ed è esponente della minoranza etnica Tutsi. La democratizzazione in Ruanda si è basata sulla negazione della suddivisione etnica del Paese. Fin dalla sua salita al potere, Kagame ha cercato di diffondere l’idea che le due maggiori etnie ruandesi, Hutu e Tutsi, in realtà non esistessero e ancora oggi, politici, giornalisti e gente comune evitano di pronunciarne i nomi. 

Per deviare l’attenzione dai problemi interni, Kagame si è impegnato a creare solidi legami con i Paesi occidentali, gli Stati Uniti in primis, ma anche con i Paesi europei. Il Ruanda inoltre, nonostante non sia mai stato una colonia britannica, nel 2009 è entrato a far parte del Commonwealth, rafforzando la propria posizione a livello globale. Non solo politica internazionale, ma anche regionale: sotto la guida di Kagame è stata rilanciata l’East African Community (EAC), con l’obiettivo di rinsaldare i legami economici tra i Paesi dell’area grazie a un mercato comune, lanciato nel 2010, e alla prospettiva di un’unione monetaria.

Il Ruanda presentato da Kagame

Uno dei maggiori vanti di Kagame in sede internazionale è la forte crescita economica del Paese. Negli ultimi anni infatti i tassi di crescita sono stati dell’8% circa. Inoltre, è stato fondamentale lo sviluppo di un ramificato sistema assistenziale e d’istruzione. I provvedimenti in ambito sanitario hanno favorito l’aumento della speranza di vita a poco più di 60 anni (dai 36 del 1994), mentre gli investimenti nelle scuole hanno permesso la costruzione di centinaia di edifici, aumentando il livello medio di alfabetizzazione del Paese. 

A tutto ciò si aggiunge il fatto che la capitale del Ruanda, Kigali, è attualmente considerata una delle città più pulite, sicure e sviluppate dell’intero continente africano. Il Ruanda poi vanta uno degli indici di partecipazione politica femminile più elevati al mondo. Le parlamentari sono ben il 55,7%, cifra che colloca il Paese ai vertici della graduatoria stilata dal Global Gender Gap Report del 2018, primo Stato africano e ben al di sopra di molti Paesi occidentali.  

Il Paese reale

Ma la realtà, a un’analisi più approfondita, è ben diversa. La crescita economica non va a vantaggio di tutta la popolazione, ma soprattutto della nuova classe media che abita nella Capitale. La maggior parte degli abitanti delle aree rurali sopravvive ancora con grandi difficoltà. L’ultimo rapporto del Global Multidimensional Poverty Index ha mostrato che il 55,5% della popolazione vive sotto la soglia di povertà stabilita a livello mondiale dalle agenzie ONU (1,90 $ a parità di potere di acquisto). Infatti, in media un cittadino del Ruanda sopravvive con meno di 1,50 $ al giorno.

Nonostante i recenti tentativi di migliorare le infrastrutture, l’economia si basa ancora sull’esportazione dei prodotti delle piantagioni di tè e caffè, nelle quali è impiegata la maggior parte della forza lavoro del Paese, mentre l’industria è ancora poco sviluppata.  

Una velata censura

Nonostante le libertà di parola ed espressione vengano legalmente tutelate, de facto il sistema le limita indirettamente. Il report annuale di Reporters sans Frontières ha collocato il Ruanda al 155° posto su 180 Paesi per libertà di stampa. Esso mette in luce che, per quanto negli ultimi anni gli abusi nei confronti dei giornalisti si siano ridotti, sono aumentate la censura e l’autocensura per evitare di entrare in conflitto con il regime. Inoltre, i giornalisti stranieri affrontano molteplici difficoltà nell’ottenere il visto e l’accreditamento per operare nel Paese. 

Un ulteriore tassello in direzione della limitazione della libertà di espressione è stata l’approvazione – il 12 agosto del 2009 – di una legge che ha stabilito che ogni organo di informazione nazionale dovesse chiedere un’autorizzazione alla diffusione entro i tre mesi successivi all’entrata in vigore della norma. Con tale pretesto l’High Media Council ha rivolto alle maggiori testate l’accusa di non essere in regola con la normativa vigente e alcune di esse sono state costrette a sospendere la loro attività. E’ il caso, ad esempio, di Umuseso, Umuvugizi e Umurabayo; oltre che di radio come Voice of Africa Rwanda e Voice of America. 

Arresti ed esclusioni: i limiti alla libertà di espressione

Attacchi non solo alla libertà di stampa, ma anche alla libertà di espressione politica. Già le elezioni presidenziali del 2010, vinte da Kagame con il 93% dei consensi, secondo gli osservatori del Commonwealth e di Human Rights Watch non si sono svolte in modo trasparente. Hanno visto l’esclusione dalla competizione elettorale di parte dell’opposizione, grazie a provvedimenti legali o amministrativi del governo, e la sospensione dell’attività di innumerevoli radio e giornali una settimana prima del voto. Ufficialmente perché non erano in regola con la legge sui media.

L’esclusione dalla tornata elettorale di Victoire Ingabire ha avuto la maggiore risonanza mediatica. A pochi mesi dalle elezioni, la leader delle Unified Democratic Forces è stata arrestata, imprigionata e condannata a otto anni di carcere con le accuse di terrorismo, minaccia alla sicurezza nazionale e per aver sminuito la portata del genocidio. 

Le elezioni del 2017 hanno riconfermato la leadership di Kagame con il 98% dei voti. A seguito del referendum del 2016 che ha esteso i poteri presidenziali, il leader del Rwandan Patriotic Front potrebbe restare al potere fino al 2034. Nel periodo immediatamente precedente alle elezioni Diane Rwigara, candidata indipendente, è stata oggetto di minacce, alcuni dei suoi collaboratori sono scomparsi e lei stessa è stata incarcerata con la madre per un anno e rilasciata a dicembre 2018. Il tutto a causa della sua esplicita opposizione al regime. 

Il Global Gender Gap Report e la realtà dietro i dati

Per quanto riguarda la condizione femminile, come anticipato, il Ruanda vanta tra i Paesi africani il maggior numero di donne in Parlamento: il 55,7%. Il dato rilevante non corrisponde però a un vero empowerment della donna.

In particolare, secondo i dati del 2014-15 della Demographic and Health Survey, anche se la legge formalmente garantisce l’uguaglianza tra uomini e donne, queste ultime sono soggette a continue discriminazioni. Le donne in Ruanda hanno maggiori difficoltà di movimento e accesso ai servizi bancari e, sebbene lo stupro sia considerato un reato, più di una donna su cinque ha subito tale violenza. Inoltre, nonostante l’età media dei matrimoni nel Paese sia di 21,9 anni, nel rispetto della legge che pone l’età minima a 21, circa il 31% delle ragazze contrae matrimonio entro il ventesimo anno d’età. E da ultimo, ma non per questo meno importante, le donne rappresentano il maggior numero di poveri in Ruanda.

Credenze e critiche

Le differenze tra il Paese reale e quello che Kagame mostra al di fuori dei confini ruandesi sono ancora tante. Molte delle problematiche evidenziate restano nascoste all’opinione pubblica internazionale, coperte dalla retorica proposta dal regime.

La realtà è però molto più dura. La povertà è ancora dilagante e velate limitazioni alla libertà di stampa e alla libertà di espressione politica sono all’ordine del giorno. L’assenza di un reale empowerment femminile è dovuta alla fedeltà al partito di quel 55,7% di parlamentari donne, che servono ad aumentare ancora di più il valore del discorso di Kagame sulla continua democratizzazione del Paese e non a proporre, e magari far approvare, leggi che migliorino la condizione delle ruandesi.

Le critiche si stanno comunque facendo sentire da più parti. Non sono solo le voci dell’opposizione ma anche le ONG operanti nel Paese, così come gli osservatori internazionali, cercano di mettere in luce le sue profonde contraddizioni.  

 

Fonti e approfondimenti

Topping, Alexandra, “Rwanda’s women make strides towards equality 20 years after the genocide”, The Guardian, 7/04/2014

Demographic and Health Survey, Republic of Rwanda, 2014-15

Gettleman, Geffrey, “The Global élite’s favorite strongman”, The New York Times Magazine, 4/09/2013

Reporters sans Frontières (RSF), Reporters sans Frontières Free Press Index, 2019

United Nations (UN), United Nations, Global Muldimensional Poverty Index, 2019

World Economic Forum (WEF), Global Gender Gap Report, 2018

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