Tortura: una pratica ancora troppo comune

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il diritto internazionale dei diritti umani ha lo scopo di definire i limiti dello Stato nei confronti degli individui. Gli Stati si vincolano infatti volontariamente, firmando e ratificando trattati che riconoscono e assicurano i diritti di ogni persona. Il documento che in assoluto tutela i diritti dell’uomo è la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata nel 1948 dall’Assemblea Generale, nel cui art.5 si legge «nessun individuo può essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizioni crudeli, inumane o degradanti» . La tortura, pratica storicamente antichissima, è un esempio lampante per comprendere il tentativo di salvaguardia e tutela dei diritti degli individui nel panorama del diritto internazionale. Va, però, menzionato che, anche se la tortura è universalmente proibita – tanto da essere annoverata tra i principi fondamentali del diritto internazionale consuetudinario – rimane ancora oggi troppo comune.

La tortura nella storia

La tortura è una pratica antichissima e le prime tracce risalgono al tempo degli egizi (XX secolo a.C). Con i greci e poi con i romani essa ha assunto la valenza con cui la conosciamo tutt’oggi. Nel mondo romano, inizialmente, si ricorreva alla tortura (“torquere, torcere il corpo”) esclusivamente nei confronti degli schiavi e degli stranieri, ma in seguito, entrando a far parte del diritto, venne usata come strumento giudiziario e assunse connotazioni legali anche per altre categorie di crimini più ampi. Da quel momento, con connotati e modalità diverse, divenne un mezzo comune in tutte le epoche, sia con scopo punitivo sia con l’intento di estorcere informazioni. Il quadro culturale iniziò a cambiare con l’Illuminismo e la Rivoluzione francese. Il primo Paese a ripudiare la tortura fu la Prussia nel 1740, e, in linea con gli ideali del secolo, una voce fondamentale da menzionare è quella di Cesare Beccaria che nel trattato Dei delitti e delle pene (1764) la condannò come prassi inutilmente crudele.Per la prima volta in Italia, è possibile rinvenire in modo esplicito il divieto di tortura all’art. 34 della Costituzione del Regno di Sicilia, promulgata da Ferdinando III di Borbone nel 1812. In ogni caso, seppur via via si stava delineando, su un territorio sempre più esteso, il ripudio di questa pratica, si è continuato a farne ricorso in maniera costante, come è noto, per tutto il secolo scorso.

 

Livello internazionale

A livello internazionale, vi sono trattati e organi a essi preposti che hanno il compito di controllare affinché gli Stati rispettino quanto sancito. In tal senso, un ruolo primario è rivestito dal Comitato dei Diritti umani delle Nazioni Unite e dal Comitato contro la Tortura, che interpretano gli obblighi degli Stati in rispetto della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (1966) e della Convenzione contro la Tortura (1984). Oltre a questi due documenti fondamentali, dal Secondo dopoguerra il divieto di tortura è stato affermato in vari strumenti – vincolanti e non – adottati dalle Nazioni Unite, come, ad esempio, la Convenzione contro la Schiavitù, la Convenzione per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale, la Convenzione sul Genocidio, la Convezione sui Diritti del Fanciullo.

La Convenzione del 1966 è il primo trattato – vincolante – che esplicitamente ha incluso la proibizione della tortura, con lo scopo di proteggere la dignità sia fisica sia mentale di ogni individuo. Con tale strumento, però, non si dà ancora una definizione chiara degli atti proibiti, che viene, invece, espressa esplicitamente nella Convenzione contro la Tortura.

 

Convenzione contro la Tortura

Il trattato, all’articolo 1, definisce la tortura come segue:

Dalla definizione riportata emerge subito il fatto che per considerare la tortura tale deve sussistere il consenso (espresso o tacito) della funzione pubblica, vale a dire l’azione di uno Stato. Inoltre, l’articolo contempla una condotta attiva ( vale a dire la necessità di “infliggere”), ma il Comitato ONU contro la tortura ha ritenuto corretto considerare anche condotte omissive, come nel caso in cui la tortura consista nel far patire al soggetto la fame e la sete.

La Convenzione sancisce tra l’altro i seguenti principi:

  • divieto di estradizione di una persona verso un altro Stato qualora vi siano serie ragioni per ritenere che in tale Stato essa rischi di essere sottoposta a tortura;
  • disciplinamento della pena per le persone che compiono atti di tortura e della loro estradizione;
  • disciplinamento della prevenzione e dell’individuazione di casi di tortura.

 

Come già anticipato, il Comitato contro la Tortura (CAT) è l’organo delle Nazioni Unite, con sede a Ginevra, preposto a controllare il rispetto del trattato da parte degli Stati che lo hanno ratificato. Esso è composto da 10 membri in carica per 4 anni. Tutti gli Stati parte sono obbligati a presentare regolarmente al CAT dei report sull’implementazione dei diritti umani all’interno del proprio territorio. Il primo rapporto deve essere consegnato dopo un anno dalla ratifica, e poi uno ogni quattro anni. La Commissione esamina i documenti ricevuti e in risposta formula delle “osservazioni conclusive” in cui esprime eventuali raccomandazioni o preoccupazioni sul comportamento di ogni Stato.

Nei confronti dell’Italia si è espresso il Comitato contro la tortura, spiegando che l’art.4 obbliga gli Stati membri a «incorporare nel diritto nazionale il reato di tortura e adottare una definizione che copra tutti gli elementi contenuti nell’articolo 1 della Convenzione». In Italia, solo nel luglio del 2017, questo reato è stato introdotto nel codice penale – articolo 613-bis. Il dibattito sulla tortura, approvato in via definitiva dalla Camera era in discussione dal luglio 2013, quando era arrivato in commissione Giustizia del Senato, e aveva, finalmente, subìto un’accelerazione nell’aprile 2015, quando la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo aveva condannato il Paese per la condotta tenuta dalle forze dell’ordine in occasione dell’irruzione alla scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001.

 

Conclusione

Nonostante i mezzi che tentano di monitorare e porre fine alla tortura, questa atroce pratica resta diffusa in numerosi Paesi e, di particolarmente impressionante, è la vendita sul mercato in tutto il mondo, da parte di moltissimi Stati, di strumenti volti a questo scopo. Nel giugno 2019 l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato, con 81 voti favorevoli, 20 contrari e 44 astenuti, una risoluzione – non vincolante – con lo scopo di bandire il commercio di apparecchi di tortura per mezzo di norme internazionali comuni. Il numero di Stati che si sono detti contrari al documento non è irrilevante, ma il tentativo di trovare una soluzione internazionale alla vendita rappresenta, in ogni caso, è un buon punto di partenza.

 

 

Fonti e Approfondimenti

Association for the Prevention of Torture (APT) and Center for Justice and International Law (CEJIL), Torture in International Law, a guide to jurisprudence, 2008

Focus, La storia della tortura, 17 settembre 2014

Sara Bianchi, L’Organizzazione Mondiale contro la Tortura: intervista al Segretario Generale Gerald Staberock, Lo Spiegone, 28 maggio 2018

Carmelo Danisi, Divieto e definizione di tortura nella normativa internazionale dei diritti dell’uomo

United Nations Human Rights Office of the Hight Commissioner, Committee against Torture

United Nations, General Assembly Adopots Text on Torture-Free Trade, Assisting Terrorism Victims, Anniversary of Cairo Population Conference, 28 June 2019

 

 

 

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