Ricorda 1970: la “Giornata della Vendetta” e l’espulsione degli italiani dalla Libia

Il 7 ottobre 1970 è una data fondamentale nella storia contemporanea libica. Ricordata come “Giornata della Vendetta” e celebrata per anni come festività nazionale, rappresenta la ricorrenza della cacciata degli italiani dalla Libia a opera di Gheddafi. A un anno dalla Rivoluzione del 1969, la Giornata della Vendetta rappresentò un momento importante nell’attuazione dell’ideologia antimperialista e panarabista del raìs libico.

L’influenza di Nasser sul pensiero di Gheddafi e la Repubblica Araba Libica

Nato nel 1942, Mu’ammar Gheddafi aveva dieci anni quando Nasser depose re Faruq I e proclamò la Repubblica d’Egitto nel luglio del 1952. Gheddafi subì la fascinazione del colonnello egiziano, che lo “accompagnò” durante tutta la gioventù. Da Nasser, Gheddafi prese gli ideali socialisti e panarabisti, ma soprattutto il terzomondismo e l’antimperialismo. Su questi “pilastri” si basarono le politiche teorizzate nel “Libro Verde” (1975), dove Gheddafi espose il funzionamento dell’apparato statale libico. 

Nel settembre del 1961, quando diciannovenne intraprese gli studi all’accademia militare di Bengasi, il futuro raìs libico maturò per la prima volta l’idea di emulare il colonnello egiziano e rovesciare la monarchia. Una volta entrato negli ambienti militari, Gheddafi si accorse della sfiducia reciproca che legava l’allora re Idris I al-Senussi e l’esercito libico. La sfiducia era tale che lo stesso sovrano aveva da anni iniziato a tagliare i fondi destinati all’esercito, considerato infestato da valori “nasseriani” e non abbastanza fedele, per reindirizzarli a forze di sicurezza private gestite direttamente dai reali. D’altro canto, l’esercito non apprezzava la filo-occidentalità della monarchia senussita, sorretta da poche, potenti tribù cirenaiche. Il malcontento dei militari fomentò il coup militare guidato da Gheddafi che, esattamente come aveva fatto Nasser nel ‘52, rovesciò la monarchia. Il 1 settembre 1969, con “operazione Gerusalemme”, Re Idris I venne deposto e Gheddafi diventò, all’età di 27 anni, l’uomo forte della neonata Repubblica Araba Libica

Le politiche antimperialiste del raìs e la rottura con l’Occidente

Una volta al potere, Gheddafi si lanciò subito in attività di nazionalizzazione delle grandi imprese, organizzazione di assemblee popolari e costruzione di infrastrutture. Tuttavia, furono le relazioni con l’Occidente il nodo centrale delle prime politiche del regime. Fino al colpo di stato, infatti, la Libia aveva mantenuto una posizione filo occidentale: Idris I, posto sul trono dagli inglesi in cambio del sostegno militare delle tribù cirenaiche durante la Seconda guerra mondiale, dipendeva totalmente dagli investimenti occidentali.

Esattamente come Nasser, Gheddafi dipinse gli occidentali al popolo libico come la causa del malessere delle società arabo-islamiche e del mancato compimento della Rivoluzione. A capo di una Libia ancora debole militarmente e istituzionalmente instabile, Gheddafi tentò di attuare le sue politiche anti-occidentali tramite vie legali. I primi obiettivi individuati furono le basi militari anglo-statunitensi sulla costa. Durante i primi discorsi alla nazione, Gheddafi proclamò a nome del popolo, di non voler rinnovare gli accordi militari con Regno Unito e Stati Uniti. Fulcro degli accordi era la concessione sancita nel 1953, in epoca senussita, di basi militari sulla costa libica in cambio di aiuti economici. La decisione unilaterale di Gheddafi comportò l’evacuazione di tutte le truppe straniere presenti in Libia ma, dal momento che la decisione era legalmente inappellabile – si trattò di un volontario mancato rinnovo di concessioni – non vi furono episodi di violenza.

Eliminata la presenza militare occidentale nel Paese, Gheddafi procedette ad attaccare le compagnie petrolifere straniere. Sfruttando la sua popolarità, Gheddafi minacciò le grandi compagnie petrolifere di interrompere l’estrazione di greggio nel caso in cui i contratti non fossero stati ritrattati garantendo una maggiore equità negli introiti diretti alle casse libiche. Infatti, in epoca senussita, i contratti di estrazione erano concessi dalla corona alle compagnie estere in forma di cortesia privata con notevoli agevolazioni fiscali.

Nonostante la produzione petrolifera libica ai tempi fosse estremamente proficua (165,2 milioni di tonnellate l’anno), le maggiori compagnie petrolifere rifiutarono il diktat del raìs e le nuove condizioni imposte per le concessioni. Così facendo, lasciarono margine d’azione a enti più piccoli e alla National Oil Company, compagnia di bandiera libica, a cui spettarono il 70% delle concessioni lasciate “scoperte” dai colossi statunitensi ed europei. Gli introiti del quasi nazionalizzato settore petrolifero aumentarono fino ai 20 miliardi annui agli inizi degli anni ‘80. Entrate del genere rappresentarono una risorsa chiave per le casse libiche e la sopravvivenza del regime, che sponsorizzò negli anni grandi progetti infrastrutturali e militari a fini propagandistici.

7 ottobre 1970: La Giornata della vendetta

Sull’onda delle politiche anti-occidentali applicate fino a quel momento, nel 1970 Gheddafi decise di prendere di mira anche la comunità italiana in Libia. Stabilitasi nel Paese nel 1911, anno della conquista della Tripolitania e della Cirenaica dopo la guerra italo-turca, la comunità italiana risiedeva principalmente nelle grandi città della costa libica. Allo stesso tempo, essa possedeva vasti terreni e le imprese più redditizie. Nonostante in molti casi fossero nati e cresciuti nel Paese,  gli italiani si integrarono poco con la popolazione libica.

Nell’ottica della propaganda antimperialista, Gheddafi non poteva e non voleva risparmiare gli ex colonizzatori del Paese. Percependo il pericolo fin dal colpo di stato del 1969, la comunità italiana si dimezzò già durante l’evacuazione di cittadini e militari inglesi e USA. Così, nel 1970, gli italiani rimasti in Libia erano meno di 20 mila, a fronte dei 40 mila in epoca monarchica e del mezzo milione durante l’era coloniale

Nonostante sul piano delle relazioni formali tra i due Paesi non furono presi provvedimenti, visto anche il peso dei finanziamenti italiani alla fragile economia libica, Gheddafi usò parole dure durante i suoi discorsi sull’esproprio dei beni italiani. In un celebre discorso a Misurata, Gheddafi parlò di “ripulire la Libia dai rimasugli del passato coloniale” e che si trattasse “di un disegno di legge sul riappropriamento dei beni che gli italiani hanno usurpato e confiscato agli arabi durante 32 anni di colonialismo”.

In un clima sempre più teso, il 21 luglio 1970, poche settimane dopo il discorso di Misurata, il Consiglio del Comando della Rivoluzione (CCR) promulgò tre leggi che sancirono la confisca dei beni alla comunità italiana e a quella ebraica. Fu quindi ordinato alle comunità coinvolte di dichiarare i propri beni, con due anni di carcere previsti per i trasgressori o i ritardatari. Alla confisca dei beni, seguì l’espulsione delle due comunità, con gli ebrei che si diressero verso Israele e gli italiani verso il Bel Paese.

Quest’ultimi, evacuati tramite il ministero della Marina Mercantile, che mise a disposizione nove navi, furono “ospitati” in centri di accoglienza dislocati in tutta la penisola. Lasciati in tali soggiorni “temporanei” per anni,  i profughi italiani si trovarono a far fronte a un lunghissimo processo di re-integrazione sociale ed economica in una nazione che li aveva dimenticati. Inoltre, la comunità italiana espulsa dalla Libia si è ritrovata più volte a chiedere giustizia e risarcimenti per le proprietà perse in Nord Africa, risarcimenti che lo Stato italiano ha raramente garantito e quasi mai rispettando il valore reale delle proprietà.

Le operazioni di traghettamento di più di 17,000 italiani finirono il 15 ottobre 1970, otto giorni dopo l’ultimatum inviato da Gheddafi il 7 ottobre, data che ha segnato per 38 anni una festività nazionale libica molto sentita. La “Giornata della Vendetta” cambiò nome nel 2008 in “Giornata dell’Amicizia” per celebrare la rinnovata collaborazione con l’Italia di Berlusconi. 

L’evoluzione dei rapporti tra Gheddafi e l’Occidente dopo la “Giornata della Vendetta”

Guidato da un fervente antimperialismo, Gheddafi attuò sempre politiche “aggressive” nei confronti delle potenze occidentali. Avverso a ogni tipo di presenza statunitense in Medio Oriente, fu uno dei principali finanziatori dell’Organizzazione di Liberazione Palestinese (OLP) di Arafat. I finanziamenti a gruppi terroristici, in particolare, furono uno dei principali strumenti della politica estera del raìs. Gheddafi, infatti, fu un sostenitore anche dell’IRA irlandese e dei palestinesi durante il “settembre nero” in Giordania. 

Negli anni ‘80, le iniziative di Gheddafi portarono la Libia al confronto con gli Stati Uniti d’America più volte. Sotto la presidenza Reagan, nel 1986, fu anche effettuato un blitz militare con lo scopo di uccidere il raìs. I missili statunitensi rasero al suolo la residenza di Gheddafi che però sopravvisse. Lo stesso Ronald Reagan, qualche anno più tardi, inserì la Libia nella lista degli “Stati canaglia”, soprannominando Gheddafi “il cane pazzo del Medio Oriente”.

Le relazioni con gli Usa vennero ristabilite solamente a inizio anni 2000, quando Gheddafi si unì alla lotta globale contro il terrorismo islamico, giudicato una minaccia anche per la sua autorità. Il disgelo con gli Usa avvenuto sotto la presidenza Bush, porterà a un miglioramento anche nelle relazioni con le altre potenze occidentali, Italia in primis. La continua distensione politica targata Gheddafi-Berlusconi divenne il simbolo del riavvicinamento tra Libia ed Europa, almeno fino all’ottobre 2011, quando il raìs fu catturato e ucciso dalle forze rivoluzionarie.

 

Fonti e approfondimenti:

Baldinetti A., “Società globale e Africa musulmana: aperture e resistenze”, Rubettino Editore,2004.

Del Boca A., “Gheddafi: una sfida al deserto”, Laterza,  2010.

Emiliani M., “Medio oriente: una storia dal 1918 al 1991”, Laterza,  2012.

Novati,  Calchi G., “L’AZIONE INTERNAZIONALE DI GHEDDAFI FRA IDEOLOGIA E GEOPOLITICA.” Africa: Rivista Trimestrale Di Studi E Documentazione Dell’Istituto Italiano per L’Africa E L’Oriente 63, no. 2 (2008): 375-404.

Tonini A. e Simoni M., “Realtà e memorie di una disfatta. Il Medio oriente dopo la Guerra dei Sei Giorni”, Firenze University Press, 2010.

 

Grafica: Marta Bellavia – Instagram: illustrazioninutili_

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