Dalla terra al mercato: il commercio della vaniglia in Madagascar

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Come abbiamo già visto nei precedenti articoli, le economie di molti Paesi africani ruotano intorno alla produzione ed esportazione di specifiche commodities. Oggi, dopo aver trattato di caffè e cacao, esploriamo il commercio della vaniglia. Centro della nostra analisi è il Madagascar, l’isola a cavallo tra Africa e Asia, dove viene prodotto più del 64% della vaniglia mondiale.

Esportazioni e guadagni

La vaniglia è una spezia dal valore notevole: è seconda solo al saffron, con un prezzo di poco inferiore rispetto all’argento. Naturale conseguenza di ciò sono i consistenti guadagni che il Madagascar trae dal suo commercio: nel solo 2018 le esportazioni di vaniglia hanno fruttato al Paese circa 945 milioni di dollari.

Nello specifico, le sue vendite rappresentano circa il 27% delle esportazioni totali del Madagascar. Una percentuale in crescita negli ultimi anni, soprattutto a fronte del declino del commercio di chiodi di garofano, l’altra commodity prodotta maggiormente dal Paese. A livello di settore primario, invece, il 73% delle esportazioni malgasce riguarda la vaniglia. I due dati dimostrano l’importanza del prodotto per l’economia del Paese.

Ogni anno il Madagascar produce approssimativamente 12.000 tonnellate di vaniglia. Di queste, più del 41% viene acquistato dagli Stati Uniti, seguiti da Francia (24%), Germania (12,9%) e Canada (4,73%). Le esportazioni, quindi, sono dirette principalmente in Europa e Nord America. La percentuale destinata al continente africano (5%), invece, è esigua ed è acquistata quasi interamente dalle Isole Mauritius.

Negli anni Novanta, il principale rivale del Madagascar nella produzione di vaniglia era l’Indonesia. Infatti, nel 1995, sebbene l’isola africana controllasse quasi il 50% delle esportazioni globali, il Paese asiatico era in grado di vendere poco meno del 20% della vaniglia commerciata nel mondo. Oggi, invece, a fianco del consolidamento delle esportazioni malgasce, l’Indonesia ha perso un’ampia fetta di mercato, calando fino al 5,60% delle esportazioni mondiali, superata, seppur di poco, anche dalla produzione francese.

 

Dal Messico al Madagascar

Le prime coltivazioni di vaniglia nacquero in Messico e solo successivamente giunsero nel continente africano. Inizialmente si diffusero nelle Isole Réunion e poi, date le condizioni ambientali favorevoli, vennero introdotte anche in Madagascar. A partire dal 1880 sorsero piantagioni sull’isola di Nosy Be, prima di diffondersi, alcuni anni dopo, anche sull’isola principale. Nel giro di pochi anni la produzione crebbe rapidamente, tanto che nel 1929 il Madagascar era in grado di esportare mille tonnellate annue, dieci volte la quantità delle isole Réunion.

L’ambiente tropicale è il contesto in cui la vaniglia prospera. La combinazione di posizione geografica e clima rende dunque il Madagascar uno dei Paesi più indicati per la sua coltivazione. In particolare, le piantagioni si concentrano lungo la costa orientale, nella regione di Sava. In quest’area viene infatti coltivata la Vanilla Planifolia A, meglio conosciuta sul mercato internazionale con il nome di Bourbon Vanilla.

 

La delicatezza del processo di coltivazione

In Madagascar, la coltivazione di vaniglia si estende su 25.000 ettari di terra e coinvolge circa 800.000 contadini, per lo più distribuiti in piccole fattorie famigliari.

Considerando che le piante di vaniglia sono delle liane e che quindi necessitano di un supporto di ancoraggio per poter crescere, possiamo distinguere tre specifiche tecniche di coltivazione, tutte diffuse in Madagascar. La meno intensiva consiste nel lasciare crescere le piante in natura, nel sottobosco, utilizzando come supporto i tronchi degli alberi. La coltivazione intercalare, invece, prevede la coltivazione della vaniglia assieme ad altre piante, come la canna da zucchero, che fungono da supporto. Infine, la coltivazione intensiva si sviluppa in serra con supporti artificiali.

Generalmente la vaniglia viene piantata a mano, tra settembre e novembre, e prima di ottenere i primi frutti passano tre anni. Il momento più importante del processo di coltivazione è la fecondazione del fiore, che avviene a mano. Si tratta di un passaggio cruciale, dato che i fiori di vaniglia sopravvivono per poche ore ed è essenziale, quindi, che gli agricoltori colgano il momento adeguato all’impollinazione per evitare che, per quella stagione produttiva, la pianta non produca baccelli.

Al momento della raccolta i frutti sono inodori, perché il profumo si sviluppa durante la maturazione del baccello. Una serie di tecniche di essiccazione per un periodo di circa cinque mesi prima della vendita permettono di ottenere il profumo inebriante che tutti conosciamo.

 

Contadini e grossisti: guadagni sproporzionati

L’ultima fase, la vendita, si sviluppa nei mercati locali, dove spesso i contadini giungono dopo lunghi tragitti a piedi portando sacchi di baccelli di oltre 40 chili. Lì il raccolto viene presentato agli ispettori autorizzati dal governo, che si assicurano della sua qualità. Poi, effettuato il controllo del peso dei sacchi, inizia la contrattazione del prezzo tra i contadini e i rivenditori sul mercato internazionale.

Proprio la contrattazione del prezzo, il più delle volte, si rivela un ostacolo: spesso i contadini non riescono a ottenere un guadagno corrispondente al reale valore del bene e del lavoro eseguito. Ciò è dovuto principalmente all’assenza di adeguate informazioni sull’andamento dei prezzi sul mercato internazionale e alla limitata capacità contrattuale dei contadini stessi. Ne consegue che la maggior parte del guadagno finisce nelle mani degli intermediari.

 

Cicloni, inondazioni e tsunami: un disastro anche economico

La posizione geografica del Madagascar, che garantisce al Paese le condizioni ottimali per la coltivazione di vaniglia, è anche causa di alcuni dei maggiori problemi che i contadini si trovano ad affrontare: cicloni tropicali, inondazioni e tsunami. L’impatto è duplice: dapprima sulla produzione e quindi, a catena, sui redditi già limitati degli agricoltori.

Tendenzialmente si delineano due scenari. Nel primo caso, il passaggio delle catastrofi naturali comporta la distruzione non solo del raccolto per quella stagione, ma anche delle piante in sé. In questo caso i contadini sono costretti ad attendere almeno tre anni prima di poter ritornare a produrre, con conseguenze drammatiche sulle capacità di sopravvivenza delle loro famiglie. L’impatto di queste catastrofi naturali sui redditi dei rivenditori sul mercato internazionale, invece, è ben diverso. Essi, infatti, il più delle volte dispongono di stock del prodotto che vengono immagazzinati nei periodi di sovrapproduzione per affrontare eventuali periodi di scarsità del raccolto.

Nel secondo caso, invece, i contadini, essendo consapevoli dell’arrivo dei cicloni, optano per un raccolto prematuro, quando le piante non hanno ancora raggiunto il loro pieno sviluppo. Il risultato è un’inevitabile riduzione della qualità del prodotto e, dunque, del suo valore sul mercato.

 

Vaniglia artificiale vs vaniglia naturale

Nonostante le consistenti quantità di vaniglia prodotte dal Madagascar, a oggi la vaniglia artificiale riveste un ruolo essenziale per l’industria alimentare mondiale. Già nell’Ottocento, infatti, la produzione di vaniglia naturale non era in grado di soddisfare una domanda costantemente in aumento e, dunque, iniziarono i primi esperimenti chimici per trovare metodi di produzione della vaniglia in laboratorio. I primi tentativi riguardarono il catrame derivante dal carbone, ma la tecnica venne presto abbandonata man mano che si acquisiva consapevolezza del rischio cancerogeno annesso. Oggi, circa l’85% della vaniglia artificiale deriva dal guaiacolo, un composto petrolchimico dall’odore aromatico e dal sapore dolciastro; il restante, invece, da materiali lignei.

Recentemente, però, la ricerca di un’alimentazione sana ha spinto i consumatori a richiedere maggiori quantità di vaniglia naturale. Sulla spinta di ciò, alcune compagnie internazionali, dedite alla vendita delle spezie, come Symrise e International Flavors&Fragrances, si sono pubblicamente impegnate a migliorare la qualità dei prodotti venduti, riducendo la componente artificiale e incrementando quella naturale. Altre compagnie, invece, tra cui Nestlé e Kellogg’s, hanno annunciato l’intenzione di eliminare la vaniglia di origine artificiale dalla maggior parte dei cibi venduti negli Stati Uniti.

 

Prospettive future

La crescente richiesta di vaniglia naturale non può che essere vista in modo positivo dalla produzione malgascia, a patto, però, che il Paese sia in grado di introdurre alcune svolte, in particolare, per contrastare l’impatto degli eventi naturali e rafforzare il potere contrattuale dei contadini.

Per quanto riguarda il primo aspetto, lo sviluppo e l’utilizzo di tecnologie informatiche e di comunicazione potrebbero permettere una raccolta di informazioni e dati utili a prevedere eventuali catastrofi naturali e sviluppare una cultura della prevenzione tra la popolazione.

Nel secondo caso, invece, risulta utile rafforzare le iniziative per favorire la nascita di associazioni di contadini, sulla scia di quanto è avvenuto nella provincia di Sambava. I risultati, infatti, sono evidenti: i contadini riescono a ottenere maggiori guadagni, dato che presentandosi riuniti in cooperative e non singolarmente sono in grado di far valere un maggior potere contrattuale.

 

Fonti e approfondimenti

A. N. Rakotonanahary, J. Cao, An ICT integration approach on malgasy agriculture: the case of vanilla production, Open Journal of Social Sciences, vol. 8, pagine 208-216, 06/2020

L. Garfield, Coal is used to make a surprising everyday ingredient in food, Business Insider, 08/05/2016

M. Reel, The volatile economics of natural vanilla, Bloomberg Businessweek, 17/12/2019

M. M. Bomgardner, The problem with vanilla, Scientific American, 14/12/2016

O. Dahi, E. Meyers, Vanilla bean farming in Madagascar: an economic and social report of policies and development, Hampshire College, Amherst MA, 08/05/2019

OEC, Vanilla Beans, The Observatory of Economic Complexity, 2018

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