Nella storia recente, il contesto centroamericano è stato segnato da violenza, instabilità politica, corruzione, guerre civili, regimi autoritari, migrazioni, povertà e carenza di giustizia sociale. In questo quadro, vi è un Paese che secondo gli indicatori si discosta drasticamente dai suoi vicini: la Costa Rica.
La Pace
In grande contrasto con gli altri Paesi dell’istmo, la Costa Rica sembra essere la custode della pace: ha abolito l’esercito nel 1948; nel 1987 il presidente in carica vinse il premio Nobel per la pace per aver avviato i processi di pace in Salvador, Guatemala e Nicaragua; nel Paese vi è la sede della Corte Interamericana dei Diritti Umani e quella dell’Università della Pace delle Nazioni Unite. Insomma, un quadro “idilliaco”, che ha portato per anni la nazione in cima alle graduatorie dei Paesi “più felici” al mondo.
La stabilità
Lo status di custode regionale della pace è una conseguenza della lunga stabilità politica, in atto dal 1949. Da allora, la Costa Rica ha potuto, diversamente dai suoi vicini, rafforzare il suo sistema democratico, e dedicarsi in tal modo al proprio sviluppo sociale ed economico. Non è un caso che tra i Paesi dell’istmo, la nazione “tica” presenti l’economia più competitiva e attrattiva nonché i migliori indicatori relativi alla qualità della vita. Testimone di ciò è l’impatto dell’attuale crisi da Covid-19: il contenimento e il sostengo economico alla popolazione sono stati i migliori della regione.
Ma questi grandi risultati economici non sono stati esenti da crisi e da costi, così come non beneficiano ugualmente tutta la popolazione costaricense. E proprio nelle ultime settimane, a causa di scelte politiche legate all’economia, il Paese esempio di stabilità in America centrale è caduto preda delle proteste.
Il debito tra riforma fiscale e pandemia
Per capire il perché di tali eventi, bisogna tornare al 2018. Allora, dinnanzi a una situazione economica difficile, il neo-governo di Carlos Alvarado ha adottato una discussa e severa riforma fiscale. In tal modo, si è sin da subito inimicato vari settori – in primis i sindacati – che vedevano nella disposizione un impoverimento ulteriore delle fasce meno privilegiate.
Ancora prima di vedere i risultati della riforma, è arrivata la pandemia da coronavirus. Questo ha messo in pausa l’implementazione di tali misure e ha causato un’ulteriore battuta d’arresto all’economia tica. Questa chiuderà l’anno con una diminuzione di almeno 5% e con una disoccupazione più che duplicata.
Questi dati sono riscontrabili in tanti Paesi del mondo nel 2020. E come tanti altri, per far fronte alla pandemia, la Costa Rica è ricorsa a prestiti di organismi multilaterali, tra cui il Fondo Monetario Internazionale.
La peculiarità del Paese sta nel fatto che sono decenni che finanzia la sua spesa pubblica tramite l’indebitamento. Questo rappresenta attualmente circa il 60% del PIL, e l’anno prossimo dovrebbe superare il 70% e così anche la media regionale. L’economia costaricense è così intrappolata in un circolo vizioso, in cui per pagare il debito ricorre a ulteriori debiti. E il pagamento di questi, alimentato dall’aumento delle tasse che grava sul settore pubblico, sposta e riduce i fondi che lo Stato stanzia, con evidenti conseguenze sociali.
Le proteste
Il 17 settembre scorso, il presidente Alvarado ha annunciato la negoziazione di un accordo con il FMI per un ulteriore prestito di 1,75 miliardi di dollari. Questo avrebbe causato un ulteriore aumento delle tasse, la diminuzione della spesa pubblica, la vendita di beni statali e l’eliminazione dei bonus dai salari dei funzionari pubblici. Come reazione, dal 30 settembre parte della società civile, e in prima linea il settore pubblico, è scesa per strada.
In alcuni contesti, le proteste e i blocchi sono stati guidati da gruppi criminali estranei alla causa iniziale. Vi sono stati anche atti di vandalismo e scontri violenti tra i manifestanti e la polizia. Il bilancio è stato di un centinaio di poliziotti feriti – anche se nessuno grave – e di un’ottantina di arresti. Inoltre, i blocchi stradali e delle frontiere per due settimane hanno causato cospicue perdite per il commercio interno – soprattutto per il settore agricolo – e internazionale.
Il principale promotore delle proteste pacifiche è stato il Movimiento Rescate Nacional (MRN), un gruppo che si autodefinisce come portavoce del popolo costaricense per salvare la sovranità del Paese dalle influenze straniere. Il suo obiettivo è stato quello di far cadere l’accordo con il FMI, e in seguito di spingere il governo a instaurare un dialogo in cui partecipassero tutti i settori della società civile per arrivare a una soluzione democratica della crisi economica.
La mesa de diálogo
Davanti a questo scenario, il 4 ottobre, il presidente ha annunciato che non avrebbe portato avanti la negoziazione con il FMI, e che avrebbe convocato un tavolo delle trattative con i diversi settori della società civile. Tuttavia, rifiutando di invitare il MRN, ha segnato il fallimento dell’iniziativa. Infatti, vari altri settori hanno rifiutato di partecipare, facendo saltare il primo appuntamento fissato per il 17 ottobre. Le trattative sono state rimandate e avviate il 23 ottobre.
Il malcontento
Nel 2007, dopo un referendum popolare, la Costa Rica è entrata a far parte del CAFTA, il Trattato di Libero Commercio tra Repubblica Domenicana, America centrale e Stati Uniti. Tramite l’adesione a questi tipi di trattati, a poco a poco la sovranità economica e giuridica del Paese è diminuita. Il tutto ha beneficiato le grandi compagnie nazionali o straniere, che godono di esenzioni fiscali e lasciano pochi profitti in loco.
Le condizioni di vita di ampie fasce di costaricensi si stanno logorando da anni. Il detonante delle proteste è stato l’annuncio dell’accordo con il FMI, ma questo si è sommato a un accumulo di frustrazioni da parte di cittadini stanchi di misure politiche che non li prendessero in considerazione, ma che privilegiano piuttosto il grande capitale.
Il malcontento si è nascosto dietro agli indicatori socioeconomici. Tuttavia, ve n’è uno che poteva essere rivelatore: quello della disuguaglianza. Infatti, la Costa Rica, che alla fine del secolo scorso presentava una situazione molto egualitaria, è recentemente entrata a far parte dei Paesi più diseguali del continente, nonché del mondo.
L’esemplare sviluppo costaricense è dunque ostacolato da due grandi sfide che lo Stato deve affrontare: la situazione fiscale e la disuguaglianza.
La crisi degli anni Ottanta
Negli anni Ottanta, la Costa Rica ha attraversato una gravissima crisi economica, cadendo in mora degli organismi internazionali a causa dell’indebitamento. La gestione della situazione creò un forte malcontento popolare, che sfociò in manifestazioni e nella sconfitta elettorale del governo. Il successivo adottò una serie di riforme fiscali di stampo neoliberale, allineandosi con il FMI e diventando un alleato fondamentale dell’amministrazione Reagan. Questa fornì cospicui aiuti economici alla nazione centroamericana in cambio della collaborazione nel contenimento del sandinismo nicaraguense. Questi aiuti hanno di gran lunga contribuito al ribilanciamento dell’economia tica. Insieme alle misure adottate, hanno permesso al Paese di ottenere tra gli indicatori socioeconomici e di qualità della vita più promettenti dell’America latina. Tuttavia, le dipendenze dai prestiti esteri sono rimaste un grande fardello che ciclicamente, come nell’ultimo mese, torna a intaccare la stabilità del Paese.
La presidenza Alvarado
Il presidente ha fatto riferimento alla crisi degli anni 80 per giustificare la negoziazione con il FMI e l’impiego di misure drastiche pur di non ripetere una storia la cui memoria è ancora viva in molti costaricensi.
Oggi, come nel 2018, il presidente si trova a dover far fronte a una forte opposizione sociale a causa della sua gestione dell’economia. La sua credibilità e il suo capitale politico sono sempre più deboli, e resta da vedere se ciò avrà altre ripercussioni da qui alla fine del suo mandato nel maggio 2022.
Prospettive future
Chi ha sostenuto le manifestazioni ha espresso la propria preoccupazione riguardo alla composizione non rappresentativa della mesa de diálogo organizzata dal governo, con il grande assente MRN. Nel frattempo, la mesa va avanti. Vedremo se le forti basi democratiche della Costa Rica e la sua stabilità reggeranno dinnanzi all’attuale crisi sociopolitica, per poter in seguito affrontare sulle stesse basi quella economica. Ciononostante, la reiterazione del dialogo come meccanismo privilegiato e il tono prevalentemente pacifico del mentre e del dopo delle proteste sottolineano la grande differenza con la maggior parte dei contesti latino-americani.
La società civile chiede di superare le tradizionali strutture del dialogo, rendendolo pubblico e del tutto inclusivo. Molti ribadiscono la necessità di instaurare il Consejo Económico y Social, organo previsto da un decreto esecutivo del 2018 ma lasciato sulla carta. Questo avrebbe il ruolo di sostenere lo Stato nella costruzione di un dialogo sociale permanente con i diversi settori. Insomma, un meccanismo che avrebbe senz’altro, se non evitato, almeno ammortizzato l’attuale crisi sociopolitica del Paese.
L’inclusività effettiva metterebbe fine a un sistema in cui si tende a nascondere la realtà del Paese dietro agli indicatori socioeconomici e si promulgano misure che beneficiano la parte agiata della popolazione ma che sono insostenibili per le altre.
Prospettive regionali
Nel contesto dell’attuale crisi dovuta al Covid-19, le misure per diminuire la spesa pubblica rischiano di propagarsi per tutta la regione e anche in altre parti del mondo. La Costa Rica rappresenterebbe dunque in questo momento una finestra sul futuro, una finestra in cui però la democrazia per fortuna è molto salda, il che non si può dire per molti Paesi limitrofi.
Probabilmente, il malcontento sociale si farà sentire nel futuro prossimo in altre società latinoamericane, sperando che la via del dialogo e della pace sia, come in Costa Rica, privilegiata anche altrove.
Fonti e approfondimenti
Y.L. Jímenez, “La crisis que tumbó a Costa Rica en los 80“, La Nación, 09/09/2018
“Las protestas que sacuden desde hace dos semanas Costa Rica, el país ejemplo de estabilidad en Centroamérica” BBC News Mundo, 14/10/2020
I. Cota, “Un intento por subir impuestos enciende la protesta social en Costa Rica”, El País, 16/10/2020
O. Ugarte, “¿Cuáles fueron los componentes que detonaron el diálogo convocado por el Gobierno?”, Seminario Universidad, 20/10/2020