Il rapimento delle spose in Kirghizistan

@US Central Intelligence Agency - wikimedia - licence: wikicommons/ @Ninara - Flickr - Licence CC BY 2.0

In tutta l’Asia centrale, il fenomeno del rapimento delle spose si registra solo in Kirghizistan e, all’interno del Paese, solo tra gli appartenenti all’etnia kirghisa.

Si tratta di una pratica sistematica, incoraggiata dalla collettività e tollerata dalle autorità perché percepita come espressione di un antico rito tradizionale nomade. In realtà il ricorso a questa pratica, marginale nel contesto delle tribù nomadi, si è intensificato dopo il crollo dell’Unione Sovietica quando è stato resuscitato e coinvolto nel processo di costruzione dell’identità nazionale kirghisa. 

Oggi, in Kirghizistan, i matrimoni che nascono dai rapimenti delle spose sono più numerosi di quelli consensuali o combinati dalle famiglie. Le donne che ne sono oggetto subiscono violenze sia fisiche che psicologiche e queste si protraggono una volta celebrato il matrimonio. Secondo le ricerche di Human Rights Watch, l’incidenza dei casi di violenza domestica è molto maggiore nei matrimoni in cui la sposa è stata rapita. 

Il ratto della sposa, in kirghiso ala kachuu (letteralmente “prendere e scappare”), vede l’uomo rapire la vittima designata con il supporto del proprio gruppo di amici, per portare la donna nella propria abitazione – spesso distante ore di viaggio dal villaggio della vittima – e costringerla al matrimonio. La famiglia dell’uomo, in particolare le donne che la compongono, si occupano di convincere la donna rapita, con l’intimidazione, ad accondiscendere all’unione. 

Quando questa “accetta” le viene simbolicamente posto sul capo lo jooluk bianco, ossia il velo che indossano le donne sposate. Si tratta di rituali di convincimento puramente simbolici, dal momento che la donna non ha realmente la possibilità di sottrarsi alle nozze: quando la vittima viene rapita, i preparativi per il matrimonio sono già in corso e la cerimonia si celebra il giorno stesso. La famiglia della sposa viene spesso informata solo a posteriori.

Uno dei problemi principali che si riscontra nell’analizzare il fenomeno dei matrimoni forzati è l’assenza di dati ufficiali. Sebbene non si conosca il numero preciso di questi rapimenti, gli studiosi sono concordi nel definire questa pratica pervasiva in tutto il Kirghizistan, sia nelle città che nelle zone rurali. Si stima che nelle grandi città, come la capitale Bishkek e Osh, circa il 40% delle donne sopra i 16 anni siano state rapite e costrette a sposarsi, mentre nei villaggi la percentuale sale al 60%. Secondo un reportage di Human Rights Watch, sulle testimonianze di 439 donne vittime di ala kachuu, in moltissimi casi le spose sono minorenni. Le vittime sono sempre giovanissime: la fascia più colpita è quella delle donne tra i 16 e i 25 anni. Gli uomini, invece, hanno generalmente circa 10 anni in più della donna che rapiscono. 

La pressione della comunità internazionale e delle organizzazioni a tutela dei diritti delle donne ha costretto il Kirghizistan ad adottare nel 2013 una legge che rende questa pratica illegale, pena la detenzione fino a 10 anni. Tuttavia, sebbene inserita nel codice penale kirghiso, questa norma non è attuata. Senza un profondo cambiamento nella percezione del ruolo della donna all’interno dello Stato questo fenomeno non può essere arginato, perché intrinsecamente connesso al sistema patriarcale su cui si fonda la società kirghisa.

Le origini e l’evoluzione del fenomeno

L’ala kachuu ha origine nel XII secolo, quando il Kirghizistan era abitato da tribù nomadi che combattevano tra di loro per il dominio sul territorio: gli uomini rapivano le donne dei clan rivali e il matrimonio era un mezzo per rafforzare il proprio potere. 

Già dal XVII secolo, però, il rapimento non era più la modalità abituale per ottenere una sposa. La maggior parte dei matrimoni erano combinati tra le famiglie e l’uomo doveva pagare un prezzo per la sposa, detto kalym, ai genitori di questa: non si trattava di unioni d’amore, ma di accordi che servivano a consolidare le alleanze tra clan. I rapimenti erano casi eccezionali che avvenivano quando lo sposo non poteva permettersi di pagare il prezzo concordato, o come forma di fuga d’amore per gli innamorati la cui unione non era appoggiata dalle rispettive famiglie. 

A sostegno del fatto che il ratto della sposa nell’antichità fosse una pratica non comune, si nota che l’ala kachuu non viene mai nominato nel Manas, il poema epico kirghiso tramandato oralmente per secoli, che costituisce la principale raccolta delle consuetudini diffuse tra le tribù nomadi. 

In Kirghizistan si è sviluppato un substrato culturale molto più vario rispetto ad altre Repubbliche centro-asiatiche, come l’Uzbekistan e il Tagikistan, perché qui per molti secoli sono coesistiti diversi credo religiosi come lo zoroastrismo, lo sciamanesimo e il tengrismo insieme all’islam, che è oggi la religione più diffusa (il 90% dei cittadini si dichiara musulmano e la corrente sunnita prevale). A causa di questa eterogeneità culturale gli istituti musulmani non sono stati applicati in modo rigoroso e questo ha permesso all’ala kachuu di venire inglobato nel rito religioso islamico del matrimonio come pratica tradizionale. 

Il rapimento della sposa è diventato una pratica diffusa in Kirghizistan solo dopo il crollo dell’URSS, quando il Kirghizistan ha dovuto affrontare grandi cambiamenti sociali, economici e politici nel processo di transizione dal comunismo. In Kirghzistan, i settant’anni di dominio sovietico imposero l’adozione di uno stile di vita stanziale, distruggendo il sistema sociale allora esistente fondato sulla divisione del territorio tra clan (prima del 1936 si contavano 40 clan diversi). Oltre a questo, i kirghisi furono costretti a rinunciare alle proprie credenze religiose (una mescolanza di islamismo, zoroastrismo e sciamanesimo) in favore dell’ateismo universale, come prescritto dall’ideologia sovietica.  

Le politiche sovietiche sull’istruzione, la famiglia e il lavoro puntavano a favorire l’emancipazione femminile anche in Asia Centrale. In particolare, le autorità sovietiche indirizzarono i propri sforzi a limitare i matrimoni combinati e tutte le pratiche a questi correlati, come il pagamento del kalym per la sposa, scardinando così il modello familiare che aveva caratterizzato il Kirghizistan per secoli. 

A partire dal 1918, vennero vietate le cerimonie religiose e fu istituito il Registro degli atti di stato civile (ZAGS), cioè degli enti preposti alla registrazione dei matrimoni civili. La procedura per sposarsi divenne piuttosto complessa ed era stata pensata proprio per impedire i matrimoni forzati. Un mese prima della celebrazione, gli sposi dovevano presentare una domanda di nozze allo ZAGS locale, ovvero una dichiarazione in cui entrambi attestavano la propria volontà di sposarsi, i documenti identificativi e una certificazione di buono stato di salute. Perché il matrimonio fosse registrato ufficialmente era necessaria la presenza di entrambe le parti. 

Tutti i cambiamenti apportati dalla dominazione sovietica provocarono nei kirghisi un senso di perdita della propria identità nazionale. Dopo il crollo dell’URSS, tra le sfide più impegnative con cui il nuovo Paese ha dovuto confrontarsi c’è stata proprio la costruzione di una nuova identità kirghisa: in questo senso, le antiche tradizioni nomadi hanno assunto una nuova importanza e sono diventate la base su cui fondare il senso di appartenenza alla comunità del popolo kirghiso. Tre le pratiche “riscoperte” dopo l’indipendenza del Kirghizistan c’è anche l’ala kachuu, che è stato recuperato e reinventato fino a ripristinare il sistema di potere patriarcale vigente nella società kirghisa prima dell’annessione all’URSS. 

Ad oggi, la popolazione kirghisa considera il rapimento delle spose un’antica consuetudine nomade che esprime l’identità e la virilità dell’uomo kirghiso: questa sua valorizzazione come retaggio del passato spiega come mai la pratica è tollerata anche dalle autorità. Inoltre, negli ultimi trent’anni l’immagine del rapimento come fuga d’amore è stata romanticizzata tanto da dare origine a una forma di ratto della sposa consensuale, in cui le giovani coppie mettono in scena il rapimento e convolano a nozze imitando l’usanza nomade. La resistenza teatrale che la donna simula in questo caso ne simboleggia la presupposta verginità. Al 2005, uno studio stimava che il 34% dei rapimenti fosse consensuale e pianificato con la futura sposa. Le coppie che scelgono di inscenare l’ala kachuu lo fanno per onorare quella che reputano un rito tradizionale. 

Ala kachuu e violenza di genere

In tutti quei casi in cui si tratta di un vero e proprio sequestro e non di un rituale simbolico. Spesso il rapitore è uno sconosciuto che per costringere la donna al matrimonio usa sia la violenza fisica che la coercizione psicologica. La pressione esercitata sulla sposa da parte di tutta la famiglia acquisita è una delle ragioni per cui le denunce contro i rapitori sono pochissime. Per ridurre ulteriormente le possibilità di fuga della vittima, inoltre, i rapitori scelgono generalmente ragazze che abitano in villaggi distanti: l’isolamento contribuisce alla loro resa. 

Dall’indagine condotta da Human Rights Watch nel 2006, emerge come i rapimenti possano essere accompagnati dallo stupro. Oltre al danno fisico e al trauma psicologico, la violenza sessuale riduce ulteriormente le possibilità che la donna si ribelli al matrimonio “riparatore” perché aggrava la sua condizione agli occhi della comunità: se una donna passa tutta la notte a casa di un uomo, consensualmente o meno, viene fortemente stigmatizzata. 

Nella cultura kirghisa, il primo rapporto sessuale è carico di significato morale per la donna perché indica la “perdita della purezza” e determina un passaggio di proprietà dal proprio padre al controllo di un altro uomo. La “perdita della verginità” (intesa come costrutto sociale) all’esterno del vincolo matrimoniale, quindi, comporta l’esclusione da parte della comunità: gli stessi genitori delle ragazze rapite potrebbero rifiutarsi di riaccogliere in casa le ragazze, qualora rifiutassero di sposare il loro rapitore. Tra le priorità delle organizzazioni per i diritti delle donne in Kirghizistan, c’è la sovvenzione di strutture per garantire un rifugio alle donne che vogliono scappare da un matrimonio forzato. 

A livello di relazioni di genere, la pressione sociale non agisce solo sulle donne. Perché un uomo kirghiso sia considerato di successo, deve essere sposato. A questo si aggiunge il fatto che le donne, una volta sposate, diventano forza lavoro domestica di proprietà del marito e la loro posizione rimane sempre subalterna rispetto alla famiglia acquisita. Tutto questo spinge i giovani kirghisi a scegliere la via dell’ala kachuu per trovarsi una moglie, per approfittare del  lavoro di cura e riproduttivo gratuito. Un’eventuale fuga della propria preda, o un successivo divorzio, danneggerebbero la reputazione dell’uomo che, agli occhi della comunità kirghisa, non sarebbe più degno di essere considerato tale. Di conseguenza, gli uomini sono disposti a utilizzare qualsiasi mezzo violento, incluso lo stupro, per trattenere la propria vittima una volta rapita. 

Per gli uomini, inoltre, il rapimento della sposa presenta dei vantaggi in termini economici, per evitare di pagare alla famiglia della moglie il kalym, ossia il prezzo della sposa (reintrodotto come consuetudine dopo il crollo dell’URSS). Una cifra che può arrivare fino all’equivalente di 800 dollari ed essere accompagnata da altri beni, come bestiame e gioielli. A seguito dell’ala kachuu, invece, lo sposo è costretto a dare alla famiglia della donna solo una compensazione monetaria, dal valore di circa un terzo del kalym. Dunque, l’incremento dei rapimenti risulta collegato anche alla crisi economica che ha colpito il Kirghizistan nel processo di adozione del sistema capitalista neoliberale e che ha portato alla situazione attuale, caratterizzata da altissimi livelli di disoccupazione e corruzione.  

Il quadro giuridico: ala kachuu come reato

Grazie al lavoro delle agenzie internazionali e di numerose organizzazioni non governative il fenomeno del rapimento delle spose in Kirghizistan è stato portato all’attenzione internazionale. Agli inizi degli anni Duemila, la comunità internazionale ha classificato l’ala kachuu come una pratica contraria ai diritti umani e ha chiesto al Kirghizistan di intervenire per renderla illegale

Il 20 dicembre 2012 il Parlamento kirghiso ha approvato una legge per inserire nel codice penale il reato di rapimento di una persona per costringerla al matrimonio. Il provvedimento, ratificato dal presidente della Repubblica Almazbek Atambayev, è entrato in vigore il 26 gennaio 2013. La nuova legge, che emenda gli articoli 154 e 155 del codice penale kirghiso, prevede una pena detentiva fino a 10 anni per chi commette ala kachuu nei confronti di una ragazza minore di 17 anni e una pena massima di 7 anni negli altri casi. Il reato è perseguibile d’ufficio, cioè senza necessità di una denuncia da parte della vittima e il procedimento penale non si chiude nemmeno in caso di conciliazione tra le parti. 

Una riforma varata dal Parlamento kirghiso nel 2016 ha introdotto un ulteriore comma all’articolo 155 del codice penale che ora sancisce anche il divieto di contrarre un matrimonio religioso per le persone minori di 18 anni. Una pena detentiva tra i 3 e i 5 anni, in questo caso, è prevista anche per i genitori della persona minorenne e per chi ha celebrato le nozze. 

Anche la procedura di registrazione dei matrimoni all’ufficio di stato civile (ZAGS, istituto introdotto dalle autorità sovietiche e mantenuto dopo che il Kirghizistan si è dichiarato indipendente) è stata recentemente modificata ed è stata introdotta una formula per chiedere alla sposa se ha acconsentito all’unione. La registrazione ufficiale dei matrimoni, però, è ancora piuttosto rara tra i kirghisi: nella maggior parte dei casi di rapimento, viene celebrato solo il matrimonio religioso, ufficiato dal leader musulmano locale (moldo) secondo i dettami della Sharia (la legge sacra islamica). 

Nel 2016, il Parlamento kirghiso ha discusso dell’introduzione dell’obbligo della registrazione civile del matrimonio prima di poter officiare la celebrazione religiosa, ma la proposta è stata respinta perché ritenuta in contrasto con la libertà di religione. Tra le richieste da parte delle associazioni che si battono per i diritti delle donne, c’è anche l’introduzione di un sistema per la registrazione dei matrimoni religiosi. 

Sebbene per la legge kirghisa il rapimento delle spose sia un reato, nella realtà i casi di ala kachuu non vengono perseguiti. La mentalità patriarcale influisce sull’atteggiamento della polizia e dell’ordinamento giudiziario e, nei rari casi in cui l’ala kachuu viene denunciato, non ci sono conseguenze per il rapitore. Un sondaggio del 2005, condotto dal personale di ricerca dell’American University of Central Asia e dell’Università di Filadelfia, attesta che l’84% dei rapimenti all’epoca si concludeva con il matrimonio.

Secondo il report del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro le donne (CEDAW), tra il 2011 e il 2016 sono state aperte indagini su 197 casi di sospetto rapimento: 26 sono stati chiusi per rinuncia di chi ha denunciato e 38 sono stati sospesi perché l’accusato si è sottratto alla giustizia non presentandosi al processo. In totale, nell’arco di cinque anni, sono stati condannati solo 38 responsabili nel 2015 e 27 nel 2016. In nessun caso è stata comminata la pena massima – ossia la detenzione di sette anni – poiché nella maggior parte dei procedimenti le corti optano per la sospensione della pena e l’imposizione di una multa. 

Per ottenere dei veri risultati nella lotta alla pratica dell’ala kachuu, quindi, sono necessarie delle misure trasversali nei settori della prevenzione, dell’accesso alla giustizia e del supporto alle vittime. Tra queste, dei percorsi di formazione per i funzionari delle forze dell’ordine, delle campagne di sensibilizzazione pubblica sul tema e lo stanziamento di risorse per aiutare le donne che vogliono scappare da contesti familiari violenti.

 

Fonti e approfondimenti 

CEDAW, “Inquiry concerning Kyrgyzstan under article 8 of the Optional Protocol to the Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women”, CEDAW, 2018

Borbieva O’Neill, N., “Kidnapping Women: Discourses of Emotion and Social Change in Kyrgyz Republic”, Anthropological Quarterly, 2012.

Dewe Mathews, J., “‘Ala Kachuu’, Bride Kidnapping in Kyrgyzstan”, 2009.

Human Rights Watch, “Reconciled to Violence. State Failure to Stop Domestic Abuse and Abduction of Women in Kyrgyzstan”, Human Rights Watch, 2006.

Kleinbach, R., Ablezova, M., Aktiva, M., “Kidnapping for marriage (ala kachuu) in a Kyrgyz village”, Central Asian Survey, 2005.

 

Editing a cura di Elena Noventa

Leave a comment

Your email address will not be published.


*